Arte migrante a Milano e Provincia: le reti come strumento d’integrazione e come sfida per rilanciare il sistema dell’arte contemporanea milanese

Questo articolo intende presentare la nuova realtà dell’arte migrante a Milano e Provincia, fenomeno manifestatosi a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, per illustrarne problematiche e potenzialità. Dopo aver definito i concetti di “arte straniera” e “arte migrante”, verranno delineate le criticità dell’associazione La Casa delle Culture del Mondo, istituzione artistico-culturale fondata a Milano nel 2009, e del futuro progetto La Città delle Culture, mettendole a confronto con realtà europee virtuose quali la Werkstatt der Kulturen di Berlino. Saranno quindi esposte le motivazioni storiche, politiche, sociali e sociologiche che ostacolano l’inserimento degli artisti migranti nel sistema dell’arte contemporanea milanese; il tutto verrà supportato da testimonianze rilevate attraverso interviste qualitative realizzate con gli stessi artisti. Le reti, contrariamente al sistema istituzionale, verranno infine indicate sia come potenziale strumento di integrazione, sia come fattore per rilanciare la competitività internazionale dell’arte contemporanea milanese.

1. Seconda ondata migratoria a Milano: l’arrivo degli “artisti migranti”

 

A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, in concomitanza con la prima crisi petrolifera europea che aveva messo in ginocchio le economie dei paesi sviluppati(1), Milano viene investita da una seconda ondata migratoria. Rispetto a quella precedente, avvenuta a partire dal 1945, coincisa con il miracolo economico e formata per lo più da cittadini italiani, quella in questione è caratterizzata da persone provenienti da paesi molto diversi tra loro, e in particolar modo dal Nord Africa, dall’America Latina e dall’Est Europa(2), i quali vanno a inserirsi in un panorama economico basato sui servizi e sulla piccola industria(3). Se i protagonisti del primo flusso d’immigrazione erano inizialmente maschi, giovani e a bassa istruzione, i rappresentanti del secondo sono ragazzi, donne primo migranti, con rilevanti quote di popolazione istruita(4) tra i quali, dunque, vi sono anche numerosi artisti(5).

 

Prima di addentrarci nelle difficoltà che questi professionisti hanno incontrato e incontrano tutt’oggi nell’esercitare la loro arte all’interno di una città come Milano, si procederà, in primo luogo, con l’analisi delle tappe storiche fondamentali che hanno portato l’Italia e il capoluogo lombardo ad assumere un ruolo di protagonista all’interno del panorama artistico nazionale e internazionale. Verrà quindi illustrata l’attuale condizione del sistema dell’arte contemporanea italiana e milanese e le ragioni della perdita della centralità di quest’ultimo rispetto al passato.

 

2. Ascesa e declino dell’arte italiana e milanese nel panorama internazionale: punto di vista storico e sociologico

 

Alla fine del XIX secolo l’Italia, mancando di strutture mercantili adeguate e di uno stretto legame tra gallerie e istituzioni museali forti(6), si trovava in una posizione marginale rispetto al sistema internazionale del mercato dell’arte, che allora ruotava intorno a Parigi. Un sentore di apertura viene percepito nel 1895, anno in cui, con l’inaugurazione della Prima Esposizione Internazionale d’arte della città di Venezia, vengono gettate le basi per la creazione di un mercato dell’arte contemporanea italiana. Determinante per l’evoluzione moderna di quest’ultimo sarà poi l’avvento, nella città di Milano, del Divisionismo, la cui tecnica verrà fatta propria dai Futuristi. Successivamente sarà proprio il Futurismo, grazie alle modalità organizzative, promozionali e commerciali adottate, ad essere considerato il primo vero movimento d’avanguardia italiano(7), permettendo all’Italia e soprattutto a Milano, di affermasi nel panorama internazionale(8). Sebbene tra le due guerre l’attività delle gallerie italiane sia poco collegata al circuito delle gallerie internazionali(9), dagli anni Trenta fino agli anni Settanta Milano è stata una città molto fervente dal punto di vista del mercato dell’arte, grazie all’attività dei suoi mercanti e dei suoi galleristi. I motivi del progressivo declino del capoluogo lombardo sono da ricollegarsi alla condizione più generale di debolezza del sistema dell’arte italiana a partire dagli anni Sessanta; rispetto ai sistemi di altri paesi europei l’Italia registrava allora una mancanza di musei di arte contemporanea, fatta eccezione per la Galleria d’arte Moderna di Roma e per la Galleria Civica d’Arte Moderna di Torino(10). Questo dato è ancora più significativo se teniamo conto che è proprio a partire da quegli anni che l’evoluzione dinamica di queste istituzioni ha avuto inizio, contribuendo in maniera essenziale a definire la nuova scena artistica internazionale(11). A tutt’oggi Milano non dispone di un museo d’arte contemporanea, fatta eccezione per il PAC – Padiglione d’Arte Contemporanea, inaugurato nel 1954 – che però non si avvale di una collezione permanente. Indice di un circuito artistico sofferente è anche la mancata capacità di far decollare la fiera MiArt – Mostra Internazionale d’Arte Moderna e Contemporanea – soprattutto se si tiene conto del fatto che Milano dovrebbe essere la città «più adatta per questo genere di manifestazioni, avendo la più grande concentrazione di gallerie in Italia», mentre invece si ritrova a cedere il passo alla più rinomata Arte Fiera di Bologna e alla più innovatrice Artissima di Torino(12).

 

Dopo aver dato una breve spiegazione storica dell’ascesa e del declino dell’Italia e di Milano sulla scena dell’arte internazionale, altri motivi del lento recesso del capoluogo lombardo sono da ritrovarsi in motivazioni di natura più strettamente sociologica. Tra queste la progressiva scomparsa, a partire dagli anni Ottanta, di una upper class in grado di sostenere gli artisti emergenti; il ruolo concessionario e non più promotore assunto conseguentemente dalle gallerie; da ultimo le sfavorevoli condizioni economiche, politiche e sociali che indeboliscono tutt’oggi il ruolo dell’Italia come paese in grado di contare sulla scena internazionale e quindi sul circuito dell’arte contemporanea mondiale(13).

 

Al fine di trovare una soluzione a questa impasse, nel paragrafo successivo, dopo aver delineato la differenza tra “artista straniero” e “artista migrante”, illustrerò il caso dell’associazione artistico-culturale berlinese Wekstatt der Kulturen, che potrebbe essere presa d’esempio come modello di best practice da altre istituzioni analoghe.

 

3. Definizione di “artista straniero” e “artista migrante” e il caso virtuoso della Werkstatt der Kulturen di Berlino

 

Come si può evincere dalla precedente descrizione delle ragioni relative all’ascesa e al declino dell’Italia e di Milano, per avere un peso a livello internazionale è necessario essere pienamente inseriti nei circuiti in cui l’arte e il suo sistema fungono da fulcro del mercato mondiale. Come afferma il sociologo americano Howard S. Becker infatti, «ciò che viene fatto varia a seconda delle modalità di partecipazione al mondo dell’arte»(14) e questo vale non solo per i singoli paesi, ma per gli stessi artisti.

 

Proprio questa riflessione mi spinge a dover fare una distinzione ben precisa all’interno della categoria degli artisti contemporanei che, provenienti da un paese diverso dall’Italia, scelgono Milano come città in cui produrre: occorre cioè distinguere tra “artisti stranieri” e “artisti migranti”. Per “artisti stranieri” ho voluto intendere l’insieme degli artisti contemporanei – di solito piuttosto affermati nel panorama dell’arte internazionale – che provengono da quei paesi il cui sistema dell’arte è legato alla tradizione euro-americana(15) e che mantengono costanti relazioni e collaborazioni con le istituzioni e con gli attori dell’arte contemporanea italiana e, nel nostro caso specifico, milanese. Come afferma Poli, di solito le norme che regolano il sistema dell’arte nei paesi d’origine di questi artisti si allineano con quelle vigenti all’interno del sistema dell’arte internazionale(16). Riprendendo una definizione del sociologo Becker, è proprio in virtù della condivisione delle «convenzioni»(17) che gli attori istituzionali italiani o milanesi che decidono di presentarne la produzione attraverso l’organizzazione di esposizioni riconoscono il valore e il prestigio della formazione di questi artisti, sebbene la stessa non sia stata corredata da specializzazioni ottenute nel nostro paese(18). Questi artisti possono quindi essere definiti «professionisti integrati», in quanto «conoscono, comprendono e usano abitualmente le convenzioni che mandano avanti il loro mondo»(19).

 

Ci sono invece artisti – che definirò “migranti”(20) – che, soprattutto a partire dagli anni Settanta, sono approdati in Italia, e successivamente a Milano, per ragioni più impellenti, legate principalmente alle sfavorevoli condizioni economiche, politiche e sociali del paese che hanno abbandonato(21). La maggior parte di essi(22) possiede una formazione artistica accademica ottenuta nel proprio paese d’origine(23), che però non viene ritenuta spendibile sul mercato dell’arte contemporanea, mentre altri hanno cominciato a realizzare le proprie produzioni artistiche una volta giunti in Italia, conseguendo qui una formazione specialistica nell’ambito che poi hanno deciso di trattare(24). Non conoscendo le dinamiche del mondo dell’arte in cui sono approdati, gli “artisti migranti” hanno più difficoltà a sostenere gli standard che lo stesso produce(25).

 

Una soluzione a questo problema potrebbe essere l’adozione di politiche culturali efficaci a favore dei migranti in primo luogo, e quindi di coloro che ho voluto definire “artisti migranti”. Un modello virtuoso potrebbe essere quello di Berlino, che dal 1979 promuove un programma denominato Sostegno alle attività culturali dei concittadini stranieri. Nato con lo scopo di rafforzare e sviluppare ulteriormente l’identità culturale dei migranti all’interno della società civile multiculturale, il modello berlinese si pone il principale obiettivo di sostenere il dialogo interculturale e lo sviluppo del potenziale artistico delle generazioni dei migranti(26). All’interno di questo programma il Senato berlinese ha deciso di finanziare, a partire dal 1993, l’istituzione artistico-culturale Werkstatt der Kulturen, luogo d’incontro dove persone di origini, culture e religioni differenti hanno la possibilità di ritrovarsi e di godere di un ricco programma di eventi, letture, concerti, feste, mostre e workshop sui più diversi temi artistici e culturali(27). Il Senato, inoltre, interviene in maniera sistematica su tale tema, promuovendo studi che permettano di individuare le criticità di questa istituzione, migliorandone così l’efficacia(28). Ecco dunque che le difficoltà emerse da un’indagine realizzata nell’anno 2004/05 da una classe di studenti di sociologia della Freie Universität di Berlino(29) sono state in parte analizzate e affrontate(30) dalla Werkstatt der Kulturen, la quale ha adottato criteri di sponsorizzazione e collaborazione con partner non solo pubblici, ma anche privati, e ha cercato di definire in maniera sempre più precisa la propria identità. Per raggiungere tale obiettivo non è stato decisivo un lavoro basato esclusivamente sulle pubbliche relazioni, quanto piuttosto l’attenzione riposta sui progetti presentati, sulla programmazione degli eventi e sulla comunicazione degli stessi al pubblico. A partire dal 2008, inoltre, la direzione artistica è stata affidata a Philippa Ébené, attrice, curatrice e libera professionista cresciuta tra il Camerun e la Germania. Rispetto al 2007(31) l’istituzione si è inoltre dotata di curatori per la maggior parte di origine non tedesca che vivono tra Berlino, il paese natale e altri capoluoghi europei e mondiali. L’obiettivo è quello di aumentare progressivamente lo spazio dedicato alle produzioni culturali migranti e minoritarie, puntando sulla professionalità e dando alle stesse un’immagine meno folcloristica e autoreferenziale rispetto ai discorsi elaborati dalla cultura dominante(32). Possiamo quindi affermare che la Werkstatt der Kulturen si presenta oggi con un’identità propria ben definita, essendo l’unica istituzione culturale berlinese che pone il suo focus sulla transculturalità(33) e sulla pluralità della cultura e dell’arte migrante e minoritaria(34).

 

4. La Casa delle Culture del Mondo e La Città delle Culture: potenzialità e criticità

 

Se quindi l’arte migrante, per poter essere rappresentata, ha bisogno di una politica culturale e interculturale forte, come si comporta l’amministrazione milanese a riguardo?
A partire dal Gennaio 2009 anche la città di Milano si è dotata di un «luogo dedicato all’attività artistica e alla creatività dei migranti milanesi»(35), La Casa delle Culture del Mondo, voluta dalla Provincia in collaborazione con Centro COME e Arci Milano. Il rispetto degli obiettivi iniziali è stato da me indagato attraverso una serie di interviste realizzate a 16 artisti migranti(36) – individuati grazie al sito Talenti Extravaganti(37), progetto realizzato tra il settembre 2006 e il dicembre 2007 dalla Provincia di Milano sempre in collaborazione con il centro COME – tramite un approccio metodologico qualitativo non standard(38). Dalle testimonianze raccolte è emerso che La Casa delle Culture del Mondo presenta una serie di criticità che andrebbero analizzate e affrontate in vista di un uso più consono del luogo, anche rispetto ai propositi che ci si era prefissati.

 

Tra queste sono state evidenziate: un’intermittenza collaborativa tra il centro interculturale e gli artisti migranti; una carenza di efficaci strumenti di comunicazione e sponsorizzazione degli eventi; l’edificio si presenta inoltre inadeguato ad ospitare manifestazioni musicali e performative a causa della mancanza di appropriati sistemi di isolamento acustico e di un palcoscenico che permetta l’osservazione della scena da un punto di vista privilegiato(39). Problematiche, queste, che sembrano essere comuni ai centri culturali italiani, come sottolineano Graziella Favaro e Lorenzo Luatti, ne Il tempo dell’integrazione. I centri culturali in Italia, in cui gli autori lamentano «la gestione degli spazi, avvertiti come insufficienti rispetto alle attività e alle aspettative di crescita», oltre che «inadeguati» per svolgervi le relative attività(40). Interessante rilevare come le prime ragioni a «pesare fortemente nell’azione e nel lavoro dei centri sembrano essere di natura economica, intese sia come difficoltà nel reperimento di contributi per i progetti, sia come discontinuità e ritardo nell’erogazione dei finanziamenti accordati»; fattori che vanno poi a ripercuotersi sull’ultimo anello della catena dando vita, come sostenevano i vari artisti intervistati, «a collaborazioni e incarichi precari, spesso legati al corso di un progetto»(41). In ultimo, «la difficoltà a stimolare i soggetti politici del territorio nell’affrontare il tema immigrazione e i continui cambiamenti delle figure politiche di riferimento» porta ad operare oggi «in un contesto socio-culturale meno favorevole ed accogliente, con il rischio di produrre progetti significativi e di qualità che non trovano ampio riscontro nel tessuto sociale e nelle istituzioni di riferimento»(42). E proprio sulla necessità di dare importanza politica alla cultura – dove per politica si intende volere e potere decisionale di riconoscere nelle realtà immigrate una reale presenza di capitale culturale e sociale – fanno leva gli artisti migranti da me intervistati.

 

Questa scarsa capacità e il mancato accordo sulla politica culturale cittadina è riscontrabile, tuttavia, anche nella diatriba dello scorso novembre 2011 sollevatasi tra l’assessore alla cultura, moda e design Stefano Boeri e il sindaco di Milano Giuliano Pisapia rispetto alla prevista realizzazione, nel 2012, della nuova Città delle Culture nell’ex zona industriale Ansaldo. Progettata dall’architetto David Chipperfield nel 1999(43) come un grande polo museale comprendente il Nuovo Museo Archeologico, il Centro delle Culture Extraeuropee, il CASVA (Centro di Studi sulle Arti Visive) e il Laboratorio di marionette tradizionali dei fratelli Colla(44), tale progetto era stato messo in discussione dall’assessore Boeri, il quale aveva annunciato che l’area dell’ex Ansaldo sarebbe diventata un «hub del contemporaneo»(45).

 

L’idea originaria de La Città delle Culture, però, con «oltre 7 mila oggetti [che] coprono (…) un arco cronologico che va dal Perù del 900 a. C. all’ inizio del Novecento nostro, uno spaccato della storia precolombiana, il nucleo islamico (…) Cina, Giappone, Sud-Est Asiatico, Oceania», sembra molto più legata al passato che al presente, più intenta ad «analizzare i punti di contatto»(46) a livello storico che non contemporaneo. Come suggerisce Mixa, il magazine dell’Italia multietnica, «l’idea (…) [dovrebbe invece essere] quella di superare il concetto di museo etnografico e di lavorare molto sull’attualità, sulla contemporaneità, proponendo lo sviluppo di una nuova identità cittadina, cosmopolita e transnazionale», di immaginare «un luogo che sia un osservatorio sulla mutliculturalità, con attività di ricerca interdisciplinare. Un luogo dove sia possibile fare esperienza della diversità e della contaminazione, dove recuperare le proprie origini e ipotizzare una nuova identità. Un luogo dinamico e interattivo, con un forte supporto tecnologico, dove artisti con vocazione internazionale possano trovare sede purché lavorino sulla mixité (…). Un luogo che riesca a coinvolgere e a divertire famiglie e bambini, che ospiti convegni e dibattiti e che serva anche come laboratorio per dare risposte e servizi ai molti cittadini di origine straniera che abitano a Milano»(47). Sperando quindi che quel tanto nominato «hub del contemporaneo» possa «ospitare molte altre attività di ricerca e produzione di cultura multidisciplinare»(48), ciò potrebbe evitare che si perda l’occasione di dare visibilità agli artisti migranti che ancora oggi faticano a rientrare nel sistema dell’arte contemporanea occidentale, cogliendo l’opportunità per ripensare quest’ultimo in chiave differente.

 

5. Politica culturale milanese: difficoltà di gestione

 

Ad un’analisi più allargata e sempre riferendoci alle esperienze vissute in prima persona dagli artisti migranti, le criticità rilevate per La Casa delle Culture del Mondo e per La Città delle Culture sembrano essere parallele alle difficoltà che la stessa città di Milano incontra nella gestione della politica culturale cittadina. Ecco quindi che, per motivi legati all’adempimento di determinati obblighi legislativi o per forti interessi politici, in seno alle amministrazioni locali viene riscontrata una mala gestione dei luoghi pensati per le manifestazioni artistiche(49): ampio spazio viene garantito alle attività culturali ritenute più redditizie e in grado di attirare maggior pubblico, come agli eventi concertistici o alle programmazioni cinematografiche, rispetto invece a quelle teatrali. Si ripresenta, inoltre – accentuata dai tagli del precedente governo alla cultura e dettati anche dalla crisi finanziaria – la scarsa incapacità di investire su nuove idee, mantenendosi radicati su vecchie sicurezze e privandosi così della possibilità di scommettere sui giovani, sia a livello di produzione che di fruizione. Molte manifestazioni giudicate “minori” vengono inoltre presentate al di fuori dell’immediato centro urbano, togliendo loro l’adeguata visibilità e privando la città di un lavoro d’integrazione della periferia verso il centro e di riflessione sulla periferia stessa(50). Tutto ciò sembra rispondere a calcoli politici molto più ampi, se teniamo conto che, come afferma Becker, «lo stato persegue i suoi interessi sia sostenendo ciò che approva, sia scoraggiando o vietando ciò che disapprova»(51). Milano potrebbe in questo caso prendere esempio da un’altra città europea come Parigi, che ha deciso di attuare una politica di avvicinamento tra centro e periferia. Un esempio a riguardo è il centro artistico-culturale 104(52) che, situato nel diciannovesimo arrondissement, “importa” spettacoli e mostre in programmazione nei più importanti teatri e gallerie dei quartieri centrali della città per ricambiare il favore “esportando” spettacoli e artisti in quegli stessi luoghi.

 

Ciò che si dovrebbe garantire affinché gli artisti migranti possano trovare spazio per produrre in una città come Milano è, da un lato, un sostegno finanziario(53) adeguato in cambio delle proprie produzioni e, dall’altro, «aree di sopravvivenza» dove poter vivere ed eventualmente esporre(54). La necessità del sostegno pubblico è infatti uno degli argomenti che torna spesso tra le rivendicazioni degli artisti migranti intervistati. Sebbene essi esercitino un’attività secondaria che consente loro di mantenersi, tali professionisti sono comunque convinti che gli investimenti in cultura siano indispensabili per liberare l’aspetto vitale e creativo dell’arte, spesso soffocato dalla frenesia, dall’ansia e dalla velocità del dover produrre per vivere, soprattutto in una città come Milano. Inoltre, ciò che da più di vent’anni è carente nella gestione della politica culturale cittadina è un nucleo d’indagine critica che abbia un suo spessore(55).

 

6. La forza dei legami deboli e il potenziale dell’arte

 

Nonostante il tessuto sociale e artistico milanese sia carente nel favorire un’integrazione adeguata degli artisti migranti all’interno del sistema ufficiale, il potenziale del capitale culturale(56), del capitale umano(57), del capitale sociale(58) e del capitale sociale etnico(59) – quest’ultimo con le relative criticità e ambiguità che può presentare(60) – permette loro di creare un efficace sistema di relazioni, legami deboli e quindi network in grado di facilitare il processo d’integrazione(61). I legami deboli, contrariamente ai legami forti, sono infatti basati su relazioni acquisite – vicinato, conoscenze, amicizie di lavoro – tipiche di «una società aperta, dalle appartenenze deboli e frammentate»(62) e la loro forza consiste proprio nella capacità di «costruire ponti verso la diversità, collegando gruppi coesi con altri gruppi coesi, sebbene dotati di caratteristiche diverse»(63). Particolare attenzione merita inoltre il potenziale dell’arte che, in base alle interviste da me raccolte, sembra funzionare da strumento moltiplicatore di contatti. Anche in situazioni di difficoltà legate alla scarsa conoscenza della lingua italiana e delle regole che ruotano intorno al sistema dell’arte ufficiale, la pratica artistica, grazie al suo linguaggio universale, interculturale e polivalente(64), ha di fatto contribuito ad abbattere i muri che di solito vengono eretti nei confronti del migrante comune, consentendo inoltre di intraprendere collaborazioni artistico-lavorative con professionisti precedentemente sconosciuti.

 

La forza, spesso informale, proveniente dal basso non sembra però essere sostenuta da reti istituzionali più formalizzate che fungano da «punti di riferimento per la socializzazione e l’interscambio»(65); per fare ciò è necessario, ancora una volta, un fermo intervento da parte del governo e della politica italiana le quali, come dichiarano gli artisti migranti, dovrebbero dimostrare un reale interessamento per la questione immigrazione. In attesa di politiche culturali efficaci non ci resta che fare riferimento ad esempi di network virtuosi applicati proprio dai soggetti istituzionali attivi nel settore dell’arte contemporanea. Nel 2006 la Provincia di Milano ha riunito diverse associazioni artistiche non-profit dando il via a “inContemporanea, la rete dell’arte”, «un modo nuovo per sostenere e valorizzare l’attività artistica che si svolge nell’area milanese mettendo in comune, tra tutti i suoi attori, pubblici e privati, energie e risorse»(66). Sempre nello stesso anno è nata l’associazione culturale STARTMILANO, il cui obiettivo principale è di dar vita ad una rete di gallerie interessate alla contemporaneità e il cui interesse verte sul «ruolo della città di Milano nel panorama artistico internazionale»(67). Nell’ottobre 2009, a seguito di un lavoro durato un anno e mezzo e scaturito da un’idea della Regione Lombardia, viene inaugurato Twister, «grande progetto che vede la creazione di una rete di dieci musei lombardi con la partecipazione di altrettanti artisti»(68). La sensibilità della Regione Lombardia riguardo a questo tema è riscontrabile anche in relazione ad un altro progetto sorto nel 2006, dal nome “LAC – Lombardia Arte Contemporanea”, un portale che mette in relazione 36 musei lombardi di arte contemporanea(69); infine la decisione, nel 2008, di dar vita al «circuito delle case museo di Milano». Ultima per citazione ma prima per costituzione è ACACIA – Associazione Amici Arte Contemporanea Italiana(70). Nata nel marzo 2003 dalla necessità di creare un dialogo fra i collezionisti attivi nell’ambito artistico-culturale, milanese e non, ha come scopo quello di promuovere l’arte e gli artisti e soprattutto di stimolare la costituzione di un museo pubblico di arte contemporanea a Milano attraverso un dialogo costante con le istituzioni cittadine. Da questi esempi si evince che, se «le potenzialità sono davvero interessanti anche rispetto alla possibilità di captazione di finanziamenti pubblici e privati», forse la rete è uno strumento che gli stessi artisti, autoctoni e non, potrebbero adottare nel momento in cui si riconoscono sotto un linguaggio comune.

 

In attesa che le politiche culturali giochino un ruolo sempre più importante all’interno delle future riflessioni sulle possibilità di crescita dei paesi industrializzati(71) e che il sistema dell’arte milanese si apra alla realtà degli artisti migranti, la creazione di reti istituzionalizzate potrebbe essere un mezzo per consentire a questi ultimi di ovviare all’isolamento che, molto spesso, ho rilevato esistere fra loro e per risolvere il problema della mancanza di comunicazione sui progetti che ognuno di loro vorrebbe realizzare; uno strumento per evitare inutili sprechi di energie su un territorio dispersivo come quello di Milano che, dando vita a una disparità tra centro e periferia, tende già di per sé a creare delle nicchie. Se all’interno del sistema dell’arte contemporanea il processo di circolazione, valorizzazione e legittimazione della produzione artistica, nella sua dimensione più specificamente culturale, è rappresentato, come afferma Poli, dall’entità della rete di istituzioni museali ed espositive(72), e se l’ampiezza delle reti può favorire la realizzazione di «effetti sistemici» ed «esternalità positive», nonché «favorire la creazione di beni collettivi»(73), allora gli artisti migranti potrebbero attingere insegnamento proprio da quel mondo che spesso hanno difficoltà a decifrare, imparando l’arte di mettersi in rete e dando vita così ad un possibile sistema alternativo che riesca, in ultima analisi, a rappresentarli in maniera degna.

 

Note

(1) Ambrosini, Maurizio, La fatica di integrarsi. Immigrati e lavoro in Italia, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 15; Ambrosini, Maurizio, Sociologia delle migrazioni, Bologna, Il Mulino, 2005; Mora, Emanuela, Culture metropolitane. Attraverso la Milano degli Anni Novanta, Milano, Franco Angeli, 2001.
(2) Foot, John, Milano dopo il miracolo. Biografia di una città, Milano, Feltrinelli, 2004, pp. 13-14.
(3) Ibidem, pp. 51-52.
(4) Ambrosini, Maurizio, La fatica di integrarsi, cit., p. 15; Perotti, Loris, “Le progressioni di carriera degli immigrati”, in Colombo, Asher – Sciortino, Giuseppe, (a cura di), Stranieri in Italia. Trent’anni dopo, Bologna, Il Mulino, 2008; Oropallo, Elisabetta, “… e la città viva. Intervista di Elisabetta Oropallo a Gad Lerner”, in Milano: l’arte, la bellezza, la città, i tesori, i personaggi, Milano, Celip, 2000.
(5) Azuma, Anri, “Un’educazione etica al nuovo: Kengiro Azuma”, in Milano: l’arte, la bellezza, la città, i tesori, i personaggi, Milano, Celip, 2000.
(6) Poli, Francesco, Il sistema dell’arte contemporanea, Bari, Laterza, p. 29.
(7) Ibidem, p. 36.
(8) Ivi.
(9) Ibidem, p. 38.
(10) Ibidem, p. 43.
(11) Ibidem, p. 126.
(12) Ibidem, p. 78.
(13) Intervista effettuata dalla sottoscritta a Philippe Daverio, Milano, 10 dicembre 2009.
(14) Becker, Howard S., I mondi dell’arte, Bologna, Il Mulino, 2004, p. 246.
(15) E quindi prevalentemente dall’Europa Occidentale, piuttosto che dall’America Settentrionale. È necessario puntualizzare che musei, fiere e Biennali sono i principali indicatori delle sviluppo di un sistema dell’arte di respiro internazionale. Ecco perché bisogna citare la Biennale di San Paolo del Brasile, nata nel 1951 sul modello veneziano. Tra i due artisti di origine brasiliana da me intervistati, solo Isi è attiva nel settore delle arti visive, sebbene come fotografa. La sua attività in patria era ben remunerata – tanto che è venuta in Italia per ragioni sentimentali – ma non ha mai citato fiere o biennali come occasioni di cui lei ha usufruito per accedere al mercato dell’arte. Di più giovane costituzione e rappresentative di situazioni artistiche decentrate sono invece le Biennali di Australia (Sydney), giunta alla diciassettesima edizione (http://www.bos17.com), di Taiwan (Taipei) (http://www.tfam.museum/Index.aspx), di Corea (Gwangju), inaugurata nel 1995 e da considerarsi la più datata biennale asiatica (http://www.universes-in-universe.de/car/gwangju/english.htm), di Cina (Shanghai), arrivata, nel 2009, all’ottava edizione (http://www.universes-in-universe.de/car/shanghai/english.htm), e Pechino, inaugurata nel 2003 (http://www.bjbiennale.com.cn/lao/english/introduction.asp). In Africa abbiamo la Biennale di Città del Capo, giunta nel 2009 alla seconda edizione (http://universes-inuniverse.org/eng/bien/cape), e quella di Dakar, in Senegal, giunta alla nona edizione (http://www.dakart.org). Vedi anche Poli, Francesco, Il sistema dell’arte contemporanea, cit., pp. 125-144. Per la piuttosto recente costituzione delle Biennali sopracitate e per la mancata partecipazione alle medesime da parte degli artisti da me intervistati, ho deciso di non inserire gli stessi nella categoria “artisti stranieri”, che definirò in seguito.
(16) Poli, Francesco, Il sistema dell’arte contemporanea, cit.
(17) Becker, Howard S., I mondi dell’arte, cit., p. 57.
(18) Si veda anche Daverio, Philippe, (a cura di), Babel, in Miart ’99. Catalogo delle esposizioni presenti alla fiera di arte contemporanea di Milano nel 1999.
(19) Becker, Howard S., I mondi dell’arte, cit., p. 248.
(20) L’aggettivo migrante è stato da me preferito rispetto a immigrato in quanto, sebbene la maggior parte degli artisti incontrati si sia ormai definitivamente stabilita nel nostro paese, alcuni di essi non hanno ancora trovato il loro posto nel mondo, dividendosi così tra due realtà, oppure aspirando a nuove destinazioni al di fuori dei confini italiani.
(21) Brasile, Serbia, Argentina, Burkina Faso, Vietnam, Algeria, Colombia, Senegal, Russia, Romania, Cina, Camerun, Repubblica Democratica del Congo. Motivazioni della scelta di Milano: 3% esilio politico; 34% presenza di parenti o amici; 9% affetti; 6% motivi personali; 15% maggiori opportunità economico-lavorative; 6% rispondente alla propria idea di metropoli o città d’arte; 6% maggiore fermento artistico rispetto ad altre città italiane; 6% desiderio di ottenere maggiori specializzazioni artistiche; 15% contatti professionali legati alla propria attività artistica.
(22) L’81% del totale del campione, indagato tramite lo strumento di indagine quantitativa del questionario.
(23) Per l’elenco completo vedere il sito http://www.provincia.milano.it/talentiextravaganti/paesi_di_provenienza/index.html
(24) Tra i 27 artisti indagati, 5 di essi (il 19%), non avevano una formazione prettamente artistica all’arrivo in Italia. Tra loro, 2 (il 4%) hanno provveduto a frequentare accademie di belle arti, scuole e laboratori di teatro, disponendo così della possibilità di avere maggiore accesso al sistema dell’arte. I restanti 3, sebbene non abbiano frequentato corsi di specializzazione, praticano comunque la loro attività artistica e sono riusciti ad inserirsi, con maggiore o minore successo, all’interno del sistema dell’arte italiana/milanese.
(25) Becker, Howard S., I mondi dell’arte, cit., p. 249.
(26) Traduzione realizzata dalla sottoscritta dal sito http://www.berlin.de/sen/kultur/foerderung/interkulturelle-projektarbeit/, Dicembre 2011.
(27) http://www.werkstatt-der-kulturen.de/, Dicembre 2011.
(28) Projektseminar Kulturarbeit. Ein Kursbuch für eine zukünftige Kultur – Beiträge zur Werkstatt der Kulturen in Berlin, Berlin, 2005, p. 5.
(29) Lo studio è stato finanziato dalla Delegazione del Senato di Berlino per l’Integrazione e la Migrazione e dall’Istituto di Sociologia della Freie Universität di Berlino.
(30) Il sito non dispone, ad oggi, di una versione inglese, elemento che ostacola la partecipazione di un pubblico più ampio e internazionale. Il suggerimento di dotare di una versione inglese la pagina web del Karneval der Kulturen, manifestazione nata in seno alla Werkstatt der Kulturen, è stato invece seguito.
(31) Anno in cui ho avuto modo di analizzare l’associazione artistico-culturale berlinese Werkstatt der Kulturen.
(32) http://www.werkstatt-der-kulturen.de/de/ueber_uns/kuratoren/
(33) Rispetto al concetto di multiculturalità, che riconosce la presenza di culture indipendenti e separate che convivono all’interno di uno stesso territorio nazionale, quello di transculturalità prevede che una determinata cultura non abbia più, oggi, dei contorni ben definiti, ma che piuttosto sia caratterizzata da fusioni e identità plurime. Si veda l’intervista fatta a Philippa Ébené, Wir brauchen für Vielfalt eine Quote, sulla rivista online taz.de del 20 ottobre 2008,  http://www.taz.de/1/archiv/print-archiv/printressorts/digi-artikel/?ressort=bl&dig=2008%2F10%2F20%2Fa0122&cHash=4fa94e0668
(34) http://www.werkstatt-der-kulturen.de/de/ueber_uns/
(35) http://www.provincia.milano.it/cultura/progetti/la_casa_09/index.html. Va specificato che il testo originario della pagina web, qui riportato, è stato modificato, e La Casa delle Culture del Mondo, da «luogo dedicato all’attività artistica e alla creatività dei migranti milanesi» si dichiara, a partire dal 14 dicembre 2010, «un luogo dedicato all’attività artistica e alla creatività», tralasciando quindi la parte attiva pensata, all’atto della sua fondazione, per i migranti e per gli artisti migranti.
(36) Le interviste sono state realizzate dalla sottoscritta tra il settembre 2009 e il gennaio 2010.
(37) http://www.provincia.milano.it/talentiextravaganti/
(38) Lunghi, Carla, Culture creole. Imprenditrici straniere a Milano, Milano, Franco Angeli, 2003; Kaufmann, Jean-Claude, L’intervista, Bologna, Il Mulino, 2009; Cardano, Mario, Tecniche di ricerca qualitativa. Percorsi di ricerca nelle scienze sociali, Roma, Carrocci editore, 2003; Corbetta, Piergiorgio, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, Bologna, Il Mulino, 1999; Gobo, Giampietro, Descrivere il mondo. Teoria e pratica del metodo etnografico in sociologia, Roma, Carrocci editore, 2001; Schwartz, Howard – Jacobs, Jerry, Sociologia qualitativa. Un metodo nella follia, Bologna, Il Mulino, 1987.
(39) L’inadeguatezza architettonica delle nuove strutture artistiche contemporanee nell’ospitare le relative manifestazioni è già stata messa in evidenza da Francesco Poli all’interno del suo libro Il sistema dell’arte contemporanea, cit., pp. 128-129.
(40) Favaro, Graziella – Luatti, Lorenzo, Il tempo dell’integrazione. I centri culturali in Italia, Milano, Franco Angeli, 2008, p. 98.
(41) Ibidem, p. 95.
(42) Ibidem, pp. 97-98-99.
(43) Armando, Stella, Nasce all’ ex area Ansaldo il museo delle culture del mondo. Il progetto dell’ archistar Chipperfield. Sarà inaugurato nel 2012, 20 aprile 2011, http://archiviostorico.corriere.it/2011/aprile/20/Nasce_all_area_Ansaldo_museo_co_7_110420022.shtml
(44) Milano, Area Ansaldo – Città delle Culture, urbanfile, Architetture urbane in Italia, 4 maggio 2008, http://www.urbanfile.it/index.asp?ID=3&SID=140
(45) Cirillo, Anna, Pisapia ai ferri corti con Boeri “Quei giudizi sono solo suoi”, 26 novembre 2011, http://milano.repubblica.it/cronaca/2011/11/26/news/il_sindaco_pisapia_richiama_boeri_quelle_valutazioni_sono_solo_sue-25603765/
(46) Ibidem
(47) Battistini, Ginevra, Museo delle culture del mondo. Un’occasione da non sprecare, 14 dicembre 2011, http://www.mixamag.it/archivio/milano/268/Museo_delle_Culture_del_Mondo._Un_occasione_da_non_sprecare.
(48) Ibidem, Boeri, Stefano, La risposta di Stefano Boeri.
(49) Frigo, Daniela, Artisti migranti a Milano e Provincia: l’arte come strumento di comunicazione e integrazione, Milano, 2010, pp. 163-164. L’analisi risale alla stesura della tesi, ovvero agli anni 2009-2010.
(50) Ibidem, p. 168.
(51) Becker, Howard S., I mondi dell’arte, cit., p. 181.
(52) http://www.104.fr/#/fr/
(53) Inteso non come intervento patronale o impresario, ma piuttosto da realizzarsi attraverso «abbattimenti fiscali e concessioni per agevolare il cammino finanziario degli artisti e delle organizzazioni d’arte», Crane, Diana, La produzione culturale, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 200.
(54) Intervista da me effettuata a Philippe Daverio, Milano, 10 dicembre 2009.
(55) Ivi; Agosti, Giovanni, Le rovine di Milano, Milano, Feltrinelli, 2011, p. 44.
(56) Titolo di studio superiore, conoscenza della lingua italiana, curiosità, esperienze, contesto sociale di provenienza.
(57) Determinato dai cambiamenti nelle persone che danno vita ad abilità e capacità che le rendono in grado di agire in nuove direzioni, e solitamente misurato attraverso la formazione dei genitori, la quale a sua volta incide sul potenziale sviluppo cognitivo del figlio. In Coleman, James S., Social Capital in the Creation of Human Capital, University of Chicago, 1998, pp. 100-109.
(58) La «situazione relazionale», l’insieme di contatti che si possono raggiungere. In Ibidem, pp. 95-96.
(59) «Un capitale sociale specifico, la cui utilizzabilità dipende dall’esistenza di una “comunità etnica” insediata nella società ricevente o di un network transnazionale». Ambrosini, Maurizio, “Delle reti e oltre: processi migratori, legami sociali e istituzioni”, in Decimo, Francesca – Sciortino, Giuseppe, Stranieri in Italia. Reti migranti, Bologna, Il Mulino, 2006, p. 27.
(60) Ambrosini, Maurizio, Sociologia delle migrazioni, cit., p. 85.
(61) Ambrosini, Maurizio, “Delle reti e oltre: processi migratori, legami sociali e istituzioni”, cit.; Barbieri, Paolo, “Le fondamenta micro-relazionali del capitale sociale”, in Rassegna italiana di sociologia, Anno XLVI, n. 2, aprile-giugno 2005; Bourdieu, Pierre, “Le capital social”, in Actes de la recherche en sciences sociales, Volume 31, Numéro 1, Année 1980; Granovetter, Mark, La forza dei legami deboli e altri saggi, Napoli, Liguori Editore, 1998.
(62) Barbieri, Paolo, “Le fondamenta micro-relazionali del capitale sociale”, cit., pp. 361-353.
(63) Sedita, Silvia Rita – Paiola, Marco, (a cura di), Il management della creatività. Reti, comunità e territori, Roma, Carrocci editore, Febbraio 2009, p. 84.
(64) Artista Electa, da me intervistata nel Gennaio 2010, minuto 129:17.
(65) Ambrosini, Maurizio, “Delle reti e oltre: processi migratori, legami sociali e istituzioni”, cit., p. 29.
(66) Comunicato, 2 marzo 2006. “inContemporanea-numero zero”, in “inContemporanea la rete dell’arte”,
http://www.incontemporanea.it/index.php?a=1139934712&p=1138794069#1141648989. Bisogna specificare che “inContemporanea” è stata attiva dal 2006 al 2009. In seguito, con l’avvento della nuova giunta provinciale, tale progetto non è stato più portato avanti.
(67) StartMilano: il week end di arte contemporanea a Milano del 18 19 e 20 settembre 2009, http://www.startmilano.com/blog/wp-content/uploads/2009/08/start_we.pdf
(68) http://www.twisterartecontemporanea.com/
(69) www.artecontemporanealombardi.it
(70) ACACIA, Associazione Amici Arte Contemporanea, http://www.acaciaweb.it
(71) Crane, Diana, La produzione culturale, cit., pp. 5-6.
(72) Poli, Francesco, Il sistema dell’arte contemporanea, cit., p. 125.
(73) Barbieri, Paolo, “Le fondamenta micro-relazionali del capitale sociale”, cit., p. 377.