City and “cultural capital” – Città e “capitale culturale”

In the search for greater and better well-being for a society, an objective that economic science explicitly sets itself, while proposing recipes of varying success, an important role for culture emerges today. The idea emerges that, in the commitment to find other parameters to accompany the traditional gross domestic product (GDP) to measure not only material well-being but also intangible, one can usefully include the reference to “cultural capital”. This concept was introduced in the economic literature by David Throsby in 2001 to highlight how culture plays an important role for a qualitative superior socio-economic development of a territory, a big area, a circumscribed or urban center. In cultural capital coexist the tangible dimension of culture, consisting of works of art, artistic artefacts, museums, monuments and buildings of artistic and architectural value, for which the asset value is quite evident, and the intangible one deriving from the set of ideas of attitudes, symbols, beliefs, habits and customs, common or shared values and traditions of a society or group belonging to it.

Nella ricerca del maggior e miglior benessere per una società, obiettivo che la scienza economica si pone esplicitamente, pur proponendo ricette dall’altalenante successo, emerge oggi un ruolo importante per la cultura. Si affaccia l’idea che, nell’impegno a trovare altri parametri da affiancare al tradizionale prodotto interno lordo (PIL) per misurare oltre al benessere materiale anche quello immateriale, si possa utilmente includere il riferimento al “capitale culturale”. Questo concetto è stato introdotto nella letteratura economica da David Throsby nel 2001 per mettere in luce come la cultura svolga un ruolo importante per uno sviluppo socio-economico qualitativamente superiore di un territorio, area vasta, circoscritta o centro urbano che sia.

Nel capitale culturale coesistono la dimensione tangibile della cultura, composta da opere d’arte, manufatti artistici, musei, monumenti ed edifici di valore artistico e architettonico, per la quale il valore di asset è piuttosto evidente, e quella intangibile derivante dall’insieme delle idee degli atteggiamenti, simboli, credenze, usi e costumi, valori e tradizioni comuni o condivisi di una società o di un gruppo a essa appartenente. Entrambe le dimensioni entrano a pieno titolo nella produzione di quei beni basati sulla creatività e sulla attività intellettuale che rappresentano la chiave per la valorizzazione delle risorse locali e dunque della crescita economica e che, nonostante lo spirito universale della cultura, sono anche sempre fortemente legati a un luogo preciso.

In questi termini si possono accomunare i lavori di Elettra Chiereghin su “Qualità di vita e orizzonti culturali della Terraferma veneziana” e di Corinna Conci che scrive di “Smart Parma, o no?”. Sono due pezzi interessanti che indagano se, e in che misura, la cultura sia riuscita a farsi strada fra i programmi proposti dalle pubbliche amministrazioni o intrapresei da soggetti privati, e si interrogano sull’efficacia delle scelte fatte.

Il primo, partendo dall’esempio delle esperienze internazionali che dimostrano come il coinvolgimento e la fiducia della popolazione siano fondamentali per ottenere risultati significativi e duraturi nei programmi di riqualificazione urbana, approfondisce il tema della riqualificazione a matrice culturale nelle quattro municipalità non insulari del comune di Venezia: Mestre centro, Marghera, Favaro Veneto e Chirignago Zelarino.

Il secondo ripercorre la complicata recente storia di Parma, una “donna di provincia con i gioielli di una principessa”, come la descrive l’autrice, che ha mostrato nel 2012 di avere un debito del Comune di quasi un miliardo di euro, indicando la realtà di una città che viveva al di sopra delle sue possibilità. Questo è un risultato che comprende sprechi e distorsioni che non hanno risparmiato il settore culturale, ma che, proprio attraverso una rinnovata attenzione al settore culturale stesso, potrebbe permettere di guardare con fiducia al futuro. Gli interessi delle nuove generazioni e della vasta popolazione universitaria della città spingono lo sguardo di tutti verso inziative inedite e sostenibili che coinvolgano l’arte locale e contemporanea e aprano al nuovo in tutti i sensi, culturale, artistico e umano.

Siamo in entrambi i casi nella auspicata dimensione di quella che potremmo definire “arte a Km0”. Una formula che pone la contemporaneità artistica lontana dall’autoreferenzialità elitaria di un’arte, pur eccellente e ricca dei milioni di dollari che dominano i risultati delle aste di case come Sotheby’s o Christie’s per i lotti del contemporaneo, ma lontana, inarrivabile e escludente. L’arte a chilometro zero è invece esperienziale, interattiva, ad ampio accesso e produttrice di capitale sociale. Si richiama a una logica adatta alle politiche che aprono al dialogo tra culture e che rendono gli attori del mondo dell’arte partecipi di un processo che abbassa il costo, monetario e psicologico, di accesso alla cultura.