La recente riunione annuale della World Heritage Convention ha portato venticinque nuove nomination per i Siti Mondiali Unesco, ma anche molte polemiche, come quella della Tailandia che ha minacciato di denunciare la Convention poiché un suo sito, il Temple of Preah Vihear, non ha ancora ricevuto l’ambito riconoscimento. Avere un sito iscritto nella lista del Patrimonio Mondiale non comporta vantaggi economici ma è comunque un fatto di prestigio che molte istituzioni vogliono conquistare, cimentandosi per raggiungere l’ammissione che richiede il rispetto di una serie di complesse norme. L’Unesco ha anche una lista del Patrimonio a Rischio nella quale, l’essere inseriti, è considerato un discredito per l’istituzione o il Paese responsabile. Per fortuna a fronte di 926 siti iscritti nella lista di protezione se ne hanno solo 36 in quella a rischio. A volte la sola minaccia di declassificazione è già un buon deterrente per evitare scempi e distruzioni. A Damasco pochi anni fa si è rischiata la distruzione di un’intera parte di abitato storico ridossato alla “Old City”, la città vecchia iscritta nel Patrimonio Mondiale sin dal 1979, per una forte pressione di investitori che causarono anche le dimissioni di alcuni vertici del Ministero della Cultura. In questo caso l’intervento Unesco, chiamato a verificare se una tale distruzione dell’abitato a ridosso potesse ledere l’integrità del luogo, riuscì ad evitare lo scempio con la semplice minaccia di degradare il sito nella lista del Patrimonio a Rischio.
Conoscere le regole di organizzazione della lista e tutti gli aspetti connessi che la rendono di così alto prestigio è veramente interessante e pieno di spunti. Ce ne parla Bertacchini nel suo articolo “Patrimonio Mondiale UNESCO: la tensione tra valore universale e interessi nazionali”.
Il connubio tra informazione e musei, è invece il tema di Elisa Mandelli, Andrea Resmini e Luca Rosati, autori dell’articolo dal titolo “Architettura dell’informazione e design museale”, una interessante relazione ove si affronta anche il tema dell’interazione tra informazione digitale e impianto museale visto sotto i suoi numerosi aspetti. Il problema della fruizione di oggetti museali da sempre allena curatori e architetti in esercizi complessi ove i più puntano alla realizzazione di percorsi di visita flessibili e adattabili. Come il caso dello studio di fattibilità realizzato dal Ministero degli Esteri italiano per il Grande Museo Egizio di Giza ove le possibilità di avere percorsi di visita diversi, tra stesse posizioni degli oggetti, visitabili seguendo diversi filoni come la religione, la vita, l’agricoltura, la morte, etc. originò schemi distributivi talmente complessi da trovare poi ardua attuazione nel mondo reale. Più facile è la posizione del mondo virtuale che oggi può dare soluzioni a complesse situazioni portando a realizzare anche mostre e percorsi immaginari. Al Museum of Modern Art di New York, recentemente, un paio di nuovi artisti ha organizzato un intervento singolare in quanto a multimedialità. Si trattava di mostrare numerose opere d’arte in più nelle gallerie e addirittura introdurre un piano completamente nuovo – il settimo – nella parte alta dell’edificio. E tutto questo all’oscuro dei vertici istituzionali, almeno all’inizio. Questo stratagemma, apparentemente impossibile, è stato realizzato utilizzando la Realtà Aumentata (Augmented Reality), con sovrapposizione di elementi digitali su una visione dal vivo di uno spazio reale, attraverso un dispositivo smartphone. I due artisti, Sander Veenhof e Mark Skwarek, hanno effettuato questo intervento al MoMA nell’ambito del Conflux Festival di arte partecipativa e tecnologia che si stava svolgendo a New York in quel momento.
Un esempio di confluenza tra Bit e Atomi nell’accezione del tema proposto dai nostri autori.
Convention, atomi e bit
La recente riunione annuale della World Heritage Convention ha portato venticinque nuove nomination per i Siti Mondiali Unesco, ma anche molte polemiche, come quella della Tailandia che ha minacciato di denunciare la Convention poiché un suo sito, il Temple of Preah Vihear, non ha ancora ricevuto l’ambito riconoscimento. Avere un sito iscritto nella lista del Patrimonio Mondiale non comporta vantaggi economici ma è comunque un fatto di prestigio che molte istituzioni vogliono conquistare, cimentandosi per raggiungere l’ammissione che richiede il rispetto di una serie di complesse norme. L’Unesco ha anche una lista del Patrimonio a Rischio nella quale, l’essere inseriti, è considerato un discredito per l’istituzione o il Paese responsabile.