David Chipperfield’s “City of Cultures”: A Case Study in Functional Conversion and Urban Regeneration | Conversione funzionale e ri-funzionalizzazione come strategia di rigenerazione urbana. Il progetto “La Città delle culture” di David Chipperfield per l’isolato ex Ansaldo

This paper explores the application of various urban regeneration strategies to the former Ansaldo site in Milan. By examining functional conversion, refunctionalization, and the creation of cultural and innovation hubs, the study highlights the complex challenges and opportunities of revitalizing post-industrial urban areas.

1. Premessa

 
Il dibattito intorno alla rigenerazione urbana è oggi molto vivace. La letteratura del settore ha studiato numerosi strumenti di intervento a diverse scale: dalla riqualificazione di comparti urbani, ai processi di riuso di edifici obsoleti, fino alla ridefinizione degli interni abitati. L’intervento che ha interessato l’area ex-Ansaldo a Milano presenta molteplici approcci rigenerativi, che comprendono la conversione funzionale e la ri-funzionalizzazione degli edifici, i landmark urbani, gli insediamenti aggregativi legati alla cultura e all’innovazione. Rispetto a tali processi sono stati studiati i fattori di stimolo e contemporaneamente i rischi. Ora che sono avviati e applicati ad organismi urbani in dinamica trasformazione, è possibile valutarne il funzionamento e la complessità.  Il progetto dell’amministrazione comunale milanese per il polo culturale della Città delle Culture nell’area ex-Ansaldo prevede dunque la realizzazione di un nuovo edificio museale e la conversione d’uso di alcuni edifici industriali esistenti. L’isolato urbano in oggetto si trova in una zona della città di Milano che presenta però un tipo di rigenerazione autonoma, alimentata da attività recenti, legate prevalentemente al design ed alla moda; il marchio ZonaTortona, rappresenta tale processo, continuamente alimentato da ricchi stimoli di progetto particolarmente visibili con l’evento del Fuori Salone durante la Fiera del Salone del Mobile. L’incontro tra il progetto museale dell’amministrazione e il processo di rigenerazione spontanea della zona, fa emergere la necessità di prestare attenzione alle trasformazioni urbane e sociali, conservando una certa flessibilità nell’attività progettuale ed istituendo sistemi di programmazione atti a coordinare in sinergia le diverse realtà.

2. Processi di aggregazione insediativa e conversione funzionale degli interni nella città contemporanea


Ancora oggi vaste aree industriali sono interessate dal fenomeno di dismissione causato dal passaggio dall’economia produttiva industriale a quella dei servizi. Il processo ha assunto una maggiore complessità durante l’ultimo decennio, con l’avvento dell’Information and Communication Technology che ha generato un rapido decentramento e una delocalizzazione geografica di servizi, di alcune attività produttive e anche della residenza. È quindi emerso un incremento della dismissione fino a comprendere non più solo attività di tipo produttivo, ma anche una più ampia varietà di tipologie edilizie e di infrastrutture. Inoltre i nuovi stili di vita e d’uso degli spazi si evolvono rapidamente e faticano a trovare corrispondenza nel costruito. Questo scollamento inerziale tende a generare il fenomeno della dismissione e fa sì che il tema della conversione funzionale diventi di grande attualità (Branzi, 2004). A questo punto occorre  fare chiarezza sull’uso dei termini; la conversione funzionale prevede in particolare il cambiamento di destinazione d’uso di un edificio, mentre il concetto di ri-funzionalizzazione o ri-uso sottolinea l’aspetto di rimessa in attività dopo un periodo di dismissione(1). I due termini sono usati indifferentemente perchè si riferiscono a tipologie d’intervento differenti ma spesso congiunte. La definizione della tipologia del loft (magazzino), nata dalla conversione funzionale di interni produttivi in residenza per artisti, costituisce uno dei primi esempi di questa pratica. In tempi recenti, la dismissione di altre tipologie di spazi ha portato a inedite formule ibride di residenza e lavoro, tra le quali il SOHO (Small Office, Home Office) o l’antica formula della residenza-laboratorio-spazio di vendita. Interessanti processi di ri-funzionalizzazione spontanea si possono rintracciare attualmente nelle cosiddette Creative Communities, definite da Richard Florida (Florida, 2002), che si organizzano per condividere in maniera sinergica attività e risposte ai loro bisogni. A queste esperienze si possono collegare le pratiche di co-housing e co-working, che stanno acquisendo grande importanza nella società contemporanea. A questo proposito Saskia Sassen ha descritto come alcune attività informali si formano sfruttando i settori interstiziali del mercato (Sassen, 2006). Esse spesso sono costituite da professionalità, non inquadrate, che possono trarre vantaggio dalla posizione urbana centrale delle aree dismesse e dalla possibilità di avvicinare competenze professionali diverse che, in sinergia, permettono di offrire servizi innovativi e un supporto specializzato, sia materiale che tecnico, sempre più legato alla terziarizzazione di alcune attività aziendali trainanti. Giovanni Padula esprime lo stretto legame tra lavoro e residenza in questo tipo di comunità: […] viene premiata la ricerca e l’affinamento delle doti creative, del talento personale e della capacità di metterlo a frutto in un team di lavoro. Le stesse scelte e gli stessi stili di vita delle persone sono oggi sempre più influenzati da questo ethos. Al punto che la scelta di “dove vivere” diventa altrettanto importante rispetto alla scelta del “per chi lavorare”  (Padula, 2005). E’ interessante osservare come tale processo di rinnovamento urbano avviene a partire dagli interni abitati (Branzi, 2003; Zardini, Borasi, 2004) ed è in grado di modificare  profondamente la città e il suo funzionamento. Esiste dunque una profonda difficoltà nella rappresentazione e nello studio dei modelli urbani contemporanei, in particolare per quanto riguarda questi fenomeni spontanei ed autogestiti. La loro rappresentazione ed analisi diventa ancor più interessante in una realtà in rapido e continuo divenire poiché deve prevedere le tendenze di sviluppo in tempo reale ed agire per catalizzare forze e risorse(2). E’ importante studiare gli esiti dell’applicazione delle strategie di rigenerazione urbana su città reali che si trovano in trasformazione, che presentano solo parzialmente le caratteristiche del modello shrinking city, ovvero della città che si sta spopolando (Oswalt, 2006). Si rivela così la necessità di programmi d’intervento più flessibili e valutabili secondo scansioni di verifica nel tempo.

3. Approcci di rigenerazione urbana programmata e contesti in dinamica trasformazione

 

La conversione funzionale spontanea di edifici esistenti e di comparti urbani, dunque, è spesso riferibile all’aggregazione insediativa spontanea di individui che condividono attività e interessi. Tali specificità sono spesso correlate a competenze di alto livello e connotate da un profondo legame con l’arte e l’innovazione. Il recupero e la bonifica dei quartieri abbandonati di molti organismi urbani (Londra, Berlino, Amsterdam, …) sono dovuti alla presenza di insediamenti di creativi. In alcuni casi, come quello della città di Toronto, le scelte amministrative urbane hanno manifestato la capacità di riconoscere tali germi di creatività e quindi incentivato le attività connesse alla cultura, alla comunicazione ed alla cooperazione (Carta, 2007). Inoltre, anche in assenza del rischio di spopolamento, sono state garantite strutture ed infrastrutture per l’elaborazione di progetti culturali e artistici, ed è stata definita una vasta programmazione di eventi per alimentare il processo, garantendo effetti positivi prolungati e rinnovabili. Uno degli aspetti di interesse del progetto di ri-funzionalizzazione per la Città delle Culture nell’area ex Ansaldo a Milano è dovuto al fatto che la zona si trova in un comparto urbano che da tempo si sta rigenerando autonomamente seguendo stimoli ed energie differenti. L’area limitrofa a via Savona infatti costituisce ormai un distretto creativo legato al design, alla moda e all’arte in generale. Una realtà che si è configurata e rafforzata nel tempo anche grazie ad un’operazione di city brand e marketing urbano legata al marchio ZonaTortona che permette di gestire la promozione degli eventi del Fuorisalone, in occasione del Salone del Mobile.  A questo proposito diventa fondamentale acquisire la consapevolezza dell’esistenza di due approcci rigenerativi. Il primo di carattere istituzionale, e grande rilevanza culturale, programmato in tempi remoti dall’amministrazione. Il secondo, di carattere creativo, più o meno spontaneo, si trova in dinamica e biotica espansione proprio verso l’area ex-Ansaldo. Essi riguardano la medesima zona urbana, pertanto occorrerà analizzarne le reciproche influenze e sinergie. L’intervento ideato dall’amministrazione di Milano per l’area ex Ansaldo, a fine anni ’90 prevede la realizzazione di un parco tematico, denominato Città delle Culture, che comprenda diversi poli culturali di grande interesse ottenuti mediante la ri-funzionalizzazione di alcuni edifici e la realizzazione ex novo di altri. In particolare  il progetto di costruzione più rappresentativo è assegnato ad un edificio di nuova costruzione destinato a Centro delle Culture Extraeuropee (CCE) che assume valore di landmark urbano in quanto singolo edificio rappresentativo che emerge dal contesto e, sia esso di carattere figurativo o funzionale, ha la forza e il vantaggio di essere facilmente comunicabile e promuovibile come marchio territoriale.

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I rischi che generalmente gli studiosi associano a questo tipo di intervento possono essere di due tipi. Uno è dovuto alla standardizzazione delle pratiche di rifunzionalizzazione; operazioni commerciali di valorizzazione di waterfront, banchine, porti, oppure musei in edifici industriali dismessi, rischiano di perdere autenticità ed identità individuale, quando vengono usati con criteri omogenei in città e contesti culturali differenti, creando luoghi privi di connotazione locale(3). L’altro rischio è lo scollamento tra la dimensione urbana esistente e nuovi interventi che naturalmente rilanciano l’economia della città ma rischiano di non innescare una effettiva rigenerazione e riqualificazione in una dimensione urbana profonda. L’obiettivo quindi è accogliere le importanti peculiarità del contesto esistente e coinvolgere la popolazione urbana nell’operazione rendendola consapevole della ricchezza di servizi offerti.

4. La Città delle Culture a Milano. Un progetto di landmark urbano legato alla tradizione locale

 
La Città delle Culture prevede la realizzazione di un vasto e articolato parco tematico culturale all’interno dell’area industriale dove sorgono gli insediamenti produttivi dismessi dell’Ansaldo. L’isolato interessato dall’intervento si trova a Sud-Est di Milano, non lontano da Porta Genova e dalla circonvallazione esterna della città. Una cortina edilizia continua lungo via Tortona, via Borgognone, Via Savona e via Stendhal ne definisce nettamente il perimetro e la forma quadrilatera.

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Il contesto in oggetto appare come un organismo impermeabile nei confronti della città, pur mantenendo una topografia interna di gradevole dimensione microurbana, caratterizzata da volumi eterogenei, capannoni, tettoie, strade interne e scorci prospettici intriganti. Alcuni edifici interni all’area, sono ristrutturati ed attualmente funzionanti. Oltre agli uffici comunali che si affacciano su via Borgognone, esistono nell’isolato alcune strutture del Teatro alla Scala di Milano; i laboratori di scenografia e quelli di sartoria, inoltre, in un padiglione per le prove sceniche, denominato Visconti, è stato ricreato uno spazio identico nelle dimensioni al Teatro. Ciclicamente tale spazio e anche gli altri capannoni dismessi dell’area ospitano allestimenti particolarmente scenografici in occasione di eventi correlati alla fiera del Salone del Mobile di Milano.
Il concorso per l’intervento nell’area è stato bandito alla fine del 1999 ed il vincitore, David Chipperfield Architects, proclamato all’inizio del 2000. Da quel momento è iniziata l’elaborazione del progetto fino ad arrivare, nel Novembre del 2002, alla consegna dell’esecutivo dell’intervento. Una rielaborazione parziale dovuta ad adeguamenti normativi, è stata consegnata nel 2007, il cantiere è stato avviato nell’Ottobre del 2008, mentre la conclusione dei lavori è prevista entro 30 mensilità dall’apertura. Il progetto originale prevede alcune destinazioni d’uso specifiche alle quali corrispondo anche differenti criteri d’intervento.  Le sedi del Museo Archeologico di Milano (attualmente collocato all’interno di due edifici in centro città) e del Centro di Studi Avanzati per le Arti Visive (CASVA) sono previste nella medesima struttura edilizia esistente lungo via Tortona che sarà rifunzionalizzata mediante una importante ristrutturazione che ne conserverà le facciate. La sede Grupporiani (destinata al laboratorio di marionette dei Fratelli Colla), sarà realizzata in un edificio costruito sul sedìme di uno esistente ed ospiterà anche gli impianti tecnici necessari al funzionamento del Centro delle Culture Extraeuropee (CCE)  che costituisce il principale polo museale da realizzare ex novo all’interno del lotto, in seguito alla demolizione di alcuni piccoli capannoni esistenti.

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La fase esecutiva in atto è centrata appunto sull’edificazione del CCE e dei suoi vani accessori, mentre, per il momento, non interessa le aree adiacenti. L’edificio sarà formato da una compenetrazione ideale di volumi a forma di parallelepipedo, le pareti perimetrali sono costituite nella parte inferiore da bande vetrate alternatamente specchianti e trasparenti, mentre la superficie restante è rivestita mediante lamiera in zinco titanio. Queste scelte costituiscono un forte riferimento alla natura industriale del sito.

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Un altro aspetto di rilievo dell’edificio è costituito dalla grande piazza interna perimetrata in vetro curvato, che si trova al centro del volume e sorge come una lanterna quadriloba dal centro dell’edificio; una forma organica che genera un ambiente protetto visibile dall’esterno: un landmark introflesso. La centralità di questo elemento interno, insieme all’impermeabilità visiva delle superfici esterne, rimanda (confatte) all’introflessione dell’architettura della tradizione locale architettonica e culturale del milanese, sfatando il rischio di autoreferenzialità e globalizzazione dell’immagine, spesso riscontrabile negli interventi di rigenerazione urbana.

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5. Conclusioni


Dall’analisi effettuata emerge che la rapidità dei cambiamenti sociali ed economici richiede altrettanta dinamicità di gestione nelle strutture e infrastrutture costruite.  La locuzione Reduction of planning time horizons, ampiamente usata in economia, si riflette in edilizia dove non è più ragionevole affermare che uno stock di edifici resterà in una classe d’uso specifica e monologica per tutto il suo ciclo di esistenza. Quindi è opportuno, già in fase progettuale, riverificare continuamente le condizioni al contorno ed eventualmente correggere alcune caratteristiche originarie. Il termine anglosassone adaptive reuse(4), porta il concetto di adattamento in primo piano e contiene le due diverse accezioni di ri-funzionalizzazione e conversione; si riferisce ad interventi ottenuti mediante operazioni di adattamento e presuppone una trasformazione che permetta di riutilizzare gli edifici per funzioni differenti rispetto a quelle originarie. Si determina così un’estensione del ciclo di vita dei fabbricati, cradle to grave, rispondendo anche ad obiettivi di sostenibilità: minimizzazione della dispersione e preservazione dei materiali, conservazione dell’energia, ecc. Considerando che l’area ex Ansaldo si trova in uno dei contesti urbani di Milano in dinamica evoluzione, occorre prevedere gradi di libertà nella progettazione, spazi flessibili che possano accogliere nuovi stimoli ed essere ridefiniti nel tempo. Acquisteranno dunque importanza gli spazi, fisici e virtuali, che permettono l’interazione con le attività in essere nella zona, valorizzando le aree per le mostre temporanee, l’auditorium, i servizi accessori di intrattenimento o i laboratori, gli spazi per la didattica ed i negozi del settore, che possono stabilire sinergie con l’esistente e mantenere vitale nel tempo il nuovo polo in costruzione. Di contro la Città delle Culture potrà esercitare il proprio potenziale di stimolo culturale valorizzando l’attività fieristica della zona che altrimenti tenderebbe a parcellizzarsi e a perdere la propria capacità di promuovere novità e creatività.

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Immagini e modelli di David Chipperfield Architects.
Foto di Richard Davies.

Note
(1) Camocini, Barbara (2007), L’architettura degli interni per la conversione del terziario avanzato nelle nuove forme dell’abitare urbano, Tesi di dottorato, rel. Andrea Branzi, Politecnico di Milano.
(2) A questo proposito la ricerca coordinata da Carlo Ratti nel SENSEable City Laboratory – MIT, introduce il tema della rappresentazione della dinamicità della città contemporanea. La ricerca è basata sull’elaborazione dei dati relativi alla localizzazione nello spazio e nel tempo dei telefoni cellulari. I dati raccolti permettono di interpretare i flussi quotidiani e le attività degli abitanti anche quando queste sono difficilmente registrabili e si svolgono in ambienti diversamente vocati.
(3) L’origine di tale riflessione proviene dalla definizione di International blandscapes (paesaggi senza identità) coniata da John Short, dovuta al rischio correlato alla standardizzazione delle pratiche di ri-funzionalizzazione ed alle operazioni commerciali di valorizzazione di comparti urbani con lo scopo di rilanciare il turismo e la cultura.
(4) Il concetto di adaptive reuse trae la sua origine dal dibattito sulla tutela del patrimonio storico, ma interessa anche edifici che hanno valore in quanto semplici risorse immobiliari. Derek Latham, esperto di creative reuse of building, specifica come questa attività determini un prolungamento del periodo che intercorre tra la “culla e la tomba” di un edificio. “[adaptive reuse is] the process that adapts buildings for new uses while retaining their historic features […]” da LATHAM, Derek, Adaptive reuse, MIT, 2000 in http://www.archinode.com/lcaadapt.html

Bibliografia
Branzi, Andrea (2006), Modernità debole e diffusa. Il mondo del progetto del XXI secolo, Skira, Milano
Branzi, Andrea (2004), “Urban Housing” in Lotus International, n.112, Edizioni Lotus, Milano,
Carta, Maurizio (2007), Creative City. Dinamics, Innovations, Actions, Barcellona, List
Couch, Chris, Fraser, Charles, Percy, Susan (2003), Urban regeneration in Europe, Blackwell Publishing, Oxford
Florida, Richard (2002), The rise of the creative class, Basic Books, New York
Hall, Peter (2006), Cities in Civilization: Culture, Innovation and Urban Order, Orion Publishing Group
Oswalt, Philipp (2006), “Multistrategie per affrontare il processo di contrazione urbana” in Rassegna. n.82, Editrice Compositori, Bologna
Padula, Giovanni (2005), “Flussi creativi fra città creative” in Cluster on innovation. City n.05, Edizioni Cluster S.r.l., Torino
Ratti, Carlo “Lanscape Mobile: Graz Real Time” in http://senseable.mit.edu/graz/
Sassen, Saskia (2006), “Other economies for another architecture” in Archplus. Convertible city, n.180, September, Aachen, Berlin
Short, John R. (1989), The human city: cities as if people matter, Blackwell, Oxford
Zardini, Mirko, Borasi, Giovanna (2004), “Italia 2004. Notizie dall’interno” in Catalogo della mostra Metamorph. 9. Mostra Internazionale di Architettura, Edizioni Marsilio, Venezia
Toronto Artscape (2005) www.torontoartscape.on.ca
Zukin, Sharon (1995), The culture of cities, Blackwell, Oxford