Se pensate di essere soddisfatti e realizzati dallo standard di vita consumistico proposto dai modelli di sviluppo vigenti, con tutto ciò che ne consegue in termini di costi sociali e ambientali, e pensate che le risposte ai problemi eventualmente rilevati siano identificabili in dottrine e formule eminentemente economico-finanziarie, non leggete questo numero della rivista, perché la prospettiva analizzata e le iniziative di cui si dà conto vanno nella direzione opposta.
Gli articoli di Chiara Galloni e Filippo Fabbrica, infatti, assai diversi per stile e soggetto, manifestano una coerenza singolare con la mia personale visione del significato essenziale del lavoro e dell’attività in ambito culturale, come strumenti per costruire una vita migliore. Vita migliore significa, infatti, un mondo in cui siano ristabilite relazioni umane e sociali improntate al rispetto reciproco e delle regole indispensabili del vivere comune, in cui la velocità non sia sinonimo di superficialità, in cui la crescita economica non sia realizzata a scapito delle risorse naturali non rinnovabili, in cui la diversità non sia emarginata, ma costituisca un elemento di ricchezza condivisa, in cui la società civile sia rappresentata da una classe politica adeguata a sostenere le sfide del momento e a prevedere quelle future, in cui le masse siano educate dai mezzi d’informazione alla ricerca delle diverse facce della verità, piuttosto che narcotizzate da messaggi di bieco edonismo consumistico e verità precostituite, finalizzate all’omologazione passiva dei cittadini (considerati solo in quanto consumatori), in cui, infine, le città e i loro centri storici tornino ad essere luoghi di vita, relazioni e attività degli esseri umani e non parcheggi o circuiti per autovetture smisurate (in dimensioni e quantità).
I valori e la visione evocati sembrano essere ispirati da una elevata componente utopistica, ma è probabilmente giunto il momento di guardarsi intorno e rendersi conto che “quelli che la pensano diversamente” sono più numerosi di quanto si pensi e che l’adesione a modelli alternativi e la loro realizzazione non solo sia necessaria, ma anche possibile. Se ne parla, ad esempio diffusamente in due libri proposti qualche tempo fa proprio sulle pagine web di Tafter (S.Bartolini, Manifesto per la felicità, Donzelli, 2010 – E.Cheli, N.Montecucco, I creativi culturali, Xenia, 2009) ed emerge con evidenza in quanto ci racconta Filippo Fabbrica a proposito dell’esperienza di Cittàdellarte-Fondazione Pistoletto, esperienza che merita di essere conosciuta e approfondita, così come traspare dal fervore che anima l’intervento di Chiara Galloni sulla necessità di ripensare il ruolo dell’impresa culturale nel contesto sociale ed economico dei nostri tempi.
Conforta, inoltre, pensare che la Galloni è stata tra i protagonisti di un incontro tenutosi a Roma il 20 dicembre scorso, animato da una quarantina di trentenni ai quali, con il contributo di Tafter Journal, si è chiesto di formulare ipotesi di lavoro per la messa in opera di un think tank sulle politiche culturali nel nostro paese e del quale si darà conto su questa rivista non appena il progetto avrà prodotto i documenti necessari per aprire una più ampia fase di dibattito su questo argomento.
Utopia, sano realismo e volontà costruttiva sono, infatti, ingredienti indispensabili se vogliamo che la cultura si affermi veramente come antidoto ai troppi malesseri che, paradossalmente, affliggono il consorzio umano nel momento in cui, per la prima volta nella storia, potrebbe soddisfare tutti i bisogni primari degli individui ad esso appartenenti.
Cultura come strumento per una vita migliore
Se pensate di essere soddisfatti e realizzati dallo standard di vita consumistico proposto dai modelli di sviluppo vigenti, con tutto ciò che ne consegue in termini di costi sociali e ambientali, e pensate che le risposte ai problemi eventualmente rilevati siano identificabili in dottrine e formule eminentemente economico-finanziarie, non leggete questo numero della rivista, perché la prospettiva analizzata e le iniziative di cui si dà conto vanno nella direzione opposta. Gli articoli di Chiara Galloni e Filippo Fabbrica, infatti, assai diversi per stile e soggetto, manifestano una coerenza singolare con la mia personale visione del significato essenziale del lavoro e dell’attività in ambito culturale, come strumenti per costruire una vita migliore. Vita migliore significa, infatti, un mondo in cui siano ristabilite relazioni umane e sociali improntate al rispetto reciproco e delle regole indispensabili del vivere comune, in cui la velocità non sia sinonimo di superficialità, in cui la crescita economica non sia realizzata a scapito delle risorse naturali non rinnovabili.