Introduzione
A seguito di un processo in atto almeno dalla seconda metà degli anni ’70, il territorio romano – e per estensione quello del Lazio – si colloca nel contesto nazionale tra le principali aree di immigrazione e di residenzialità di singoli e famiglie di origine immigrata.
La provincia di Roma, al 1° gennaio 2011, annovera tra i componenti stabili della propria popolazione oltre 440.000 residenti stranieri, che la abitano ormai stabilmente e che non scelgono di viverne soltanto la dimensione urbana e metropolitana, ma sempre più spesso si insediano in comuni di piccole e medie dimensioni, con ricadute rintracciabili anche dal punto di vista urbanistico. Gli immigrati, infatti, in quanto parte integrante del territorio, contribuiscono nel corso del tempo anche a trasformarlo, e d’altra parte ne sono essi stessi trasformati. E così, se in una grande città quale Roma si assiste alla rigenerazione di interi quartieri, rivitalizzati a seguito dell’arrivo di nuovi abitanti di origine immigrata, che vi avviano attività economiche ma anche pratiche di socializzazione all’aperto e di riappropriazione dello spazio pubblico, in molti comuni di più piccole dimensioni accade che i centri storici, oggetto di abbandono da parte della popolazione locale, tornino ad essere abitati e vissuti.
La dinamica che ha portato l’immigrazione e gli immigrati a raggiungere anche i comuni minori del nostro paese, va rintracciata all’interno di un processo ben più ampio: la progressiva espansione territoriale delle metropoli italiane da centri urbani tradizionali ad aree metropolitane, vale a dire a grandi aree costituite da un principale centro urbano di riferimento cui si legano, attraverso una fitta rete di interconnessioni, i diversi comuni limitrofi.
È quanto accaduto alla Capitale e a tutta quell’area diffusa e sempre più estesa che ad essa attiene, tenute insieme da complesse dinamiche economiche e sociali che vedono crescere sempre più il numero di cittadini – italiani e non – quotidianamente in movimento tra il luogo dell’abitazione, solitamente lontano dalla grande città e tanto più dal suo centro, e il luogo del lavoro, che quasi sempre continua a gravitare attorno a Roma. I residenti stranieri, al pari di quelli italiani, partecipano a questo processo di espansione e dispersione su un territorio sempre più vasto, un processo da più parti descritto come il modello della “città diffusa” o della “città infinita”.
Il caso dell’area romana è in tal senso emblematico, avendo essa registrato negli ultimi anni, e continuando ancora a registrare, un ininterrotto spostamento di cittadini, sia italiani che di origine straniera, dalla Capitale verso i comuni che la circondano, in primo luogo quelli immediatamente confinanti – la cosiddetta prima cintura – e, progressivamente, quelli più esterni appartenenti alla cosiddetta seconda cintura.
Si tratta di un processo che ha origine negli anni 1950-’70, con il fenomeno della gentrificazione dei centri storici, che da una parte ne ha accresciuto lo status e il valore economico, ma dall’altro ha generato derive speculative di varia natura, il cui principale effetto sugli abitanti originari è stato proprio l’espulsione della classe media e della popolazione meno abbiente, indotta a trasferirsi prima nelle grandi periferie metropolitane, fatte di quartieri e zone della città sempre più distanti dal centro, e successivamente nei comuni dell’hinterland. Molti comuni esterni alla Capitale hanno assistito, nel giro di pochi anni, all’arrivo di nuovi abitanti alla ricerca di una migliore qualità della vita e di costi più sostenibili, non soltanto cittadini romani ma anche singoli e famiglie di origine immigrata. In diverse circostanze le conseguenze sono state inaspettatamente positive in termini di rivitalizzazione di tessuti sociali e umani fortemente indeboliti, ma in diverse altre ne sono derivati attriti e reazioni di insofferenza da parte degli autoctoni, anche per l’assenza di un progetto politico serio che sapesse accompagnare il mutamento con gradualità e chiarezza di obiettivi.
La componente straniera, in ogni caso, ha certamente modificato, a volte stravolto, i precedenti equilibri della piccola provincia romana, ma all’interno di un processo più ampio in cui il vero assente è stata proprio una politica, prima nazionale e poi locale, che ponesse come obiettivo prioritario il benessere e il miglioramento delle condizioni di vita di tutti i cittadini.
La dinamica di progressiva estensione della periferia romana oltre i confini amministrativi della Capitale e il moltiplicarsi dei legami che, connettendo la Capitale ai comuni ad essa più vicini, ne fanno un’area metropolitana in progressiva crescita, aiutano a spiegare i movimenti demografici registrati nella provincia di Roma negli ultimi anni. L’analisi dei dati Istat relativi alla popolazione residente, sia italiana che straniera, mostra chiaramente come nuove dinamiche insediative coinvolgano non soltanto il capoluogo di provincia, ma con intensità e ritmi differenti quasi tutti i comuni, particolarmente quelli della prima cintura metropolitana(1). In questi comuni, infatti, si registra la quota più alta dei residenti dell’hinterland, pari al 48% e a 687.037 abitanti, a differenza della seconda cintura che, sebbene inizi ad attrarre nuove quote di popolazione, resta un’area meno popolata all’interno della provincia. Ciò che porta a prediligere i comuni della prima cintura rispetto agli altri, è chiaramente la prossimità geografica con la Capitale insieme a una rete di collegamento – più o meno efficiente – con essa, fattori che giustificano e rendono più sostenibile il trasferimento abitativo al di fuori dalla città di Roma. Negli ultimi anni, però, comincia a delinearsi un ridimensionamento della capacità della prima cintura di Roma di attrarre ancora nuovi residenti – tra il 2009 e il 2010, ad esempio, gli stranieri sono ancora cresciuti, ma al di sotto della variazione media registrata nell’intera provincia -, a favore di nuovi comuni, in particolare quelli della seconda cintura, che stanno vivendo la loro fase di espansione.
All’inizio del 2011 la provincia di Roma, con una popolazione di 4.194.068 abitanti pari ai tre quarti della popolazione di tutto il Lazio (5.728.688), si presenta come la provincia più popolosa d’Italia, ma se si osserva l’evoluzione che ha portato a tale esito nel corso degli ultimi 30 anni, si rileva che tra il 1981 e il 2010 la variazione di popolazione è stata di segno positivo solo nell’hinterland (+67,3% di residenti, pari a 576.268 abitanti in più), mentre nel capoluogo ha avuto un andamento negativo (-2,8%, pari a 78.782 residenti in meno). Le percentuali di crescita più alte hanno riguardato, in particolare, i comuni di Fiano Romano, Nettuno, Capena e Mazzano Romano(2).
All’interno di questo scenario complessivo rientra anche l’evoluzione registrata, nella stessa area, dalla popolazione straniera, che tra il 2001 e il 2010 è cresciuta del 119% nella Capitale e del 206% nella media dell’hinterland romano.
Gli immigrati nel territorio della provincia di Roma
Al 1° gennaio del 2011 i residenti di cittadinanza straniera nella provincia di Roma risultano essere 442.818, il 9,2% in più in un anno (a fronte del +7,9% registrato in Italia) e il 10,6% della popolazione complessiva (7,5% in Italia). L’area metropolitana romana si colloca così al secondo posto in Italia, dopo quella di Milano, per numero di residenti stranieri.
Complessivamente, il bilancio demografico dei residenti stranieri mostra, a fine anno, un incremento di popolazione di 37.161 unità, da ascrivere in primo luogo a nuove iscrizioni anagrafiche di persone provenienti dall’estero (41.204), ma anche a iscrizioni da altri comuni italiani (12.820) e ai 5.802 bambini nati nel 2010 da genitori di cittadinanza straniera. Parallelamente, hanno lasciato il territorio di Roma quasi 12.000 stranieri trasferitisi in altri comuni italiani, 1.200 che si sono trasferiti all’estero, 4.066 cittadini stranieri che nel 2010 hanno ottenuto la cittadinanza italiana e 5.509 persone che sono state cancellate d’ufficio per motivi quali irreperibilità o scadenza e mancato rinnovo del permesso di soggiorno.
Gli attuali 442.818 residenti di cittadinanza straniera della provincia di Roma, rappresentano l’81,6% di tutti gli stranieri residenti nel Lazio e il 9,7% dell’intera presenza registrata in Italia, per cui il Lazio, nel contesto nazionale, arriva ad assorbire oltre un decimo (11,9%) dell’immigrazione del paese.
La regione, proprio per il forte peso della Capitale e della sua provincia, registra all’inizio del 2011 una popolazione straniera di 542.688 unità, presenza che, secondo la stima elaborata dal Dossier Statistico Immigrazione 2011 Caritas/Migrantes, sale a circa 590.000 persone se si includono anche tutti coloro che vivono regolarmente in Italia ma non hanno ancora proceduto all’iscrizione anagrafica o la cui pratica è ancora in attesa di registrazione. Secondo questa stima, anche a livello nazionale l’intera presenza regolare supererebbe quella dei soli residenti stranieri (4.570.317), raggiungendo la cifra di 4 milioni 968mila persone(3).
A partire dagli archivi anagrafici è possibile rintracciare le aree di origine di questi cittadini, seppure la cittadinanza straniera non sia sempre e automaticamente sinonimo di immigrazione (è il caso delle seconde generazioni). L’Europa, con il 59,2%, continua ad essere la principale area di provenienza degli immigrati residenti nella provincia di Roma, soprattutto per la forte partecipazione degli ultimi 12 paesi entrati a far parte dell’Unione europea, che da soli rappresentano il 41,4% dell’intera presenza europea. Un altro quinto dei residenti stranieri (20,1%) proviene dal continente asiatico (per l’11% dall’Asia orientale), un 10,6% dall’Africa e il restante 10,1% dall’America (per il 9,2% America Latina). Quest’ultima componente si distingue per una più elevata incidenza di donne, rappresentate tra i latinoamericani nella misura del 62,8%, a fronte di una media del 53,4% nella provincia di Roma.
I romeni si confermano la prima collettività, con oltre 153mila residenti e una quota percentuale sul totale del 34,7%, cinque volte più alta dei filippini che, pur continuando a occupare il secondo posto in graduatoria, vedono ulteriormente allargarsi lo scarto numerico dai romeni. I filippini sono infatti poco più di 30mila, il 6,9% degli immigrati, seguiti da polacchi (oltre 20mila), bangladesi (oltre 15mila), ucraini, albanesi e peruviani (ciascuno con più di 14mila unità), e altre collettività di più recente insediamento (cinesi, oltre 13mila, e moldavi, più di 10mila).
Al di là delle specificità interne a ciascuna collettività nazionale, la componente femminile pesa in media sul totale dei residenti stranieri della provincia romana per il 53,4%, mentre è di 80.089 il numero dei minori, pari al 18,1% della popolazione straniera, a fronte, invece, di una corrispondente quota in Italia del 21,7%. Almeno 51.000 sono le persone – per lo più minorenni – di cittadinanza straniera nate sul territorio italiano. L’11,5% dell’immigrazione, dunque, tanto a Roma quanto nel resto della penisola, è di seconda generazione.
I dati ci parlano, quindi, di una popolazione estremamente articolata al proprio interno – adulti ma anche minori, immigrati di prima generazione ma anche bambini e giovani nati in Italia da genitori stranieri – e distribuita sull’intero territorio provinciale. Attualmente se ne registra la presenza in ciascuno dei 121 comuni della provincia e, se nel 2006 erano solo 9 i comuni romani con più di 2.000 residenti stranieri, nel 2011 questi sono saliti a 20.
Al di là della Capitale. I comuni di piccole e medie dimensioni
Il primo comune per numero di residenti stranieri, dopo Roma, è Guidonia Montecelio, che ne registra nelle proprie liste anagrafiche 9.323; seguono Fiumicino, con 8.066 residenti, Ladispoli e Pomezia (più di 7.000), Tivoli e Anzio (più di 6.500), Ardea, Fontenuova e Velletri (più di 4.700), Monterotondo, Albano Laziale, Nettuno, Marino e Cerveteri (più di 3.000). Con numeri tra i 2.900 e i 2.000 stranieri, si collocano invece Mentana, Civitavecchia, Bracciano, Palestrina, Zagarolo e Ciampino.
La graduatoria per valori assoluti, tuttavia, non sempre coincide con quella stilata per incidenza percentuale degli stranieri sul totale della popolazione. In questo caso, infatti, il valore medio nella provincia è del 10,6%, ma a superarlo in misura significativa sono solo alcuni comuni, spesso con numeri assoluti di poco superiori alle 1.000 unità: Ladispoli 18,8%, Marcellina 18,4%, Trevignano Romano 18,3%, Sacrofano 17,4%, Fontenuova 16,7%, Rignano Flaminio 16,6%, Riano 15,8%, Campagnano di Roma 15,7%, Morlupo 14,8%; con incidenze superiori al 13,0% si distinguono Capena, Mentana e Formello, mentre con valori del 12,0%, Zagarolo, Bracciano, Fiano Romano, Monte Compatri, San Cesareo e Tivoli.
Del resto, se si estende l’analisi statistica all’intero elenco dei comuni romani, la graduatoria degli stessi per incidenza percentuale degli stranieri sul totale dei residenti risulta radicalmente diversa da quella per valori assoluti e vede salire ai posti più alti comuni di dimensioni molto piccole, la cui popolazione non supera le 7mila unità (tra i primi otto – Civitella San Paolo, Ladispoli, Marcellina, Trevignano Romano, Pisoniano, Sant’Angelo Romano, Ponzano Romano, Sacrofano – fa eccezione solo Ladispoli, che ne conta 41mila)(4). Allargando l’analisi all’intero Lazio, emerge invece il comune di Monterosi, in provincia di Viterbo, che conta in tutto 4.082 residenti, il 19,0% dei quali di cittadinanza straniera.
Accanto al peso percentuale esercitato dalla popolazione straniera su quella complessiva, vi è poi un altro indicatore utile a misurare l’impatto che, nei singoli comuni, può derivare dall’arrivo e dall’insediamento abitativo di cittadini stranieri. Si tratta della densità di questi ultimi per kmq, ovvero del rapporto tra la superficie territoriale di ciascun comune – e in media dell’intera provincia – e il numero di residenti stranieri che vi vivono. Da questo calcolo, risulta che mediamente nella provincia romana tale densità è di 82,3 residenti stranieri per kmq (in Italia 15,2), ma che in molti comuni il valore viene ampiamente superato. La Capitale si distingue in questo senso, con 225,3 residenti stranieri per kmq, ma nonostante ciò non è Roma il comune con il valore più alto. Lo sono, invece, Ladispoli, dove l’indice è di 296,6 stranieri per kmq, e Fontenuova, con 235,9 stranieri per kmq. Altri comuni che, pur collocandosi al di sotto del valore della Capitale, superano la densità media registrata nella provincia, sono Anzio (150), Albano Laziale (140,2), Marino (128,9), Mentana (120,5), Guidonia Montecelio (118,3) e Tivoli (98,9).
Probabilmente, quindi, è proprio nei contesti minori, laddove è più forte l’impatto prodotto dall’arrivo degli immigrati, che andrebbe indagato se e in che misura questa presenza abbia prodotto o possa produrre una rigenerazione del territorio e delle sue potenzialità.
Conclusioni e prospettive
Indubbiamente in alcuni contesti italiani l’immigrazione ha prodotto un effetto di rigenerazione del territorio. Il caso forse più noto è quello del comune di Riace, in Calabria. In questo comune, nel 1998, l’arrivo di 300 richiedenti asilo curdi e la necessità di accoglierli, spinse diversi cittadini ad attivarsi e a recuperare le abitazioni vuote del centro per metterle a disposizione dei nuovi arrivati. Da allora l’accoglienza degli immigrati ha anche rafforzato lo sviluppo locale, generando effetti positivi non solo per gli stranieri accolti ma per gli stessi cittadini del posto, tutti coinvolti in un recupero non soltanto edilizio, ma anche economico, del territorio. Attività artigianali abbandonate sono state recuperate attraverso l’avvio di laboratori, che hanno restituito un mestiere non solo agli immigrati, ma anche a molti autoctoni. Per il paese di Riace, che fino agli anni novanta sembrava destinato a un progressivo declino e spopolamento a causa della massiccia emigrazione dei propri abitanti, l’immigrazione è stata quindi una fonte di rigenerazione e rivitalizzazione, grazie a una politica dell’accoglienza che ha saputo dare lavoro a decine di persone del posto, liberandole dalla necessità di emigrare, e a decine di rifugiati, che qui hanno deciso di fermarsi. Le vecchie case del centro storico sono state ristrutturate per diventare strutture di accoglienza dei richiedenti asilo e accanto ad esse sono nati i laboratori artigianali.
Un esempio di come l’immigrazione possa andare a riempire spazi rimasti vuoti e di come questo processo non debba essere lasciato solo all’inventiva dei migranti, ma funzioni meglio e nel lungo periodo solo se orientato da un vero progetto politico.
Anche nella provincia di Roma è possibile rintracciare esempi di recupero dei centri storici di piccoli comuni, a seguito dell’arrivo di nuovi abitanti immigrati. È accaduto soprattutto nell’area dei Castelli Romani, spesso come effetto indiretto di un processo avvenuto spontaneamente e per iniziativa dei diretti interessati, che vi si sono insediati per ragioni economiche – il costo più contenuto delle abitazioni – e perché occupati nella zona (gli uomini in attività agricole ed edili, le donne nell’assistenza agli anziani). Essendo quelle dei centri storici abitazioni vecchie, fatiscenti, prive di riscaldamento, non raggiungibili in automobile, e di conseguenza poco appetibili, gli immigrati sono stati gli unici disposti ad abitarle, spesso ristrutturandole in prima persona. È quanto accaduto, ad esempio, a Rocca di Papa o a Lanuvio(5).
L’ANCI, in un recente studio curato insieme a Legambiente, ha rilevato come in Italia almeno un sesto degli immigrati risieda in comuni con una popolazione inferiore ai 5.000 abitanti e come l’incremento di popolazione registrato dal 2003 al 2010 nei comuni con una popolazione compresa tra i 2.500 e i 5.000 abitanti sia da ricondurre soprattutto all’apporto dei residenti stranieri, cresciuti del 150% a fronte del +1,2% registrato tra tutti i residenti. Mentre infatti la popolazione autoctona di questi comuni continua a invecchiare, i bambini nati da genitori stranieri sono cresciuti tra il 2007 e il 2010 del 31%, arrivando a incidere per il 13% sulle nuove nascite alla fine del 2010(6).
In conclusione, il ruolo che l’immigrazione può rivestire, in termini di rinnovamento e di spinta propulsiva, nei comuni di piccole e medie dimensioni è evidente, meno chiara appare la consapevolezza di un simile valore aggiunto da parte delle amministrazioni direttamente interessate. Il rischio è che, in assenza di politiche locali adeguate e innovative, anche nei piccoli comuni della provincia romana possano svilupparsi quei fenomeni di speculazione immobiliare (progressiva crescita degli affitti e dei costi delle case) e di concentrazione degli stranieri in singole aree, strade e quartieri che la Capitale ha già sperimentato e che invece, proprio per questo, andrebbero prevenuti.
Note
(1) Rientrano nella prima cintura 25 comuni su un totale provinciale di 120: Fiumicino, Anguillara Sabazia, Campagnano Romano, Formello, Sacrofano, Riano, Monterotondo, Mentana, Fontenuova, Guidonia Montecelio, Tivoli, San Gregorio da Sassola, Gallicano nel Lazio, Zagarolo, Colonna, Montecompatri, Monte Porzio Catone, Frascati, Grottaferrata, Ciampino, Marino, Castel Gandolfo, Albano Laziale, Ardea, Pomezia.
(2) Provincia di Roma, Rapporto annuale. La situazione della Provincia di Roma, Edizione 2011, pp. 1-28.
(3) Caritas/Migrantes, Dossier Statistico Immigrazione 2011. 21° Rapporto, Edizioni Idos, Roma 2011, pp. 103-111.
(4) Per la definizione dei comuni si fa riferimento alla classificazione adoperata dall’ANCI, che distingue i comuni in piccoli (inferiori a 5.000 abitanti), medi (da 5.000 fino a 50.000) e grandi (superiori a 50.000).
(5) Cfr. Manuela Ricci, “Una casa per i migranti nei centri storici minori”, in Caritas, Camera di Commercio e Provincia di Roma, Osservatorio Romano sulle Migrazioni. Sesto Rapporto, Edizioni Idos, Roma 2010, pp. 56-59.
(6) ANCI, Legambiente, La fragilità e il valore del territorio. Sintesi, maggio 2012, in http://www.piccolicomuni.anci.it/index.cfm?layout=dettaglio&IdSez=810215&IdDett=36624