Stiamo seppellendo un mondo che ci sembrava perfetto ed era soltanto anabolizzato. La cosa dura ormai da un poco, ma soltanto negli ultimi mesi è diventata talmente forte e intensa da non poter fare più finta di niente. E non diciamo, per favore, che a morire è la cultura: il terrore dei barbari, veri o presunti, è soltanto l’ennesimo alibi per tentare di far durare un paradigma che in fondo sembrava protettivo e comodo.
Al contrario, la cultura è l’unica che sopravviverà, dopo essersi salvata da un sistema lungo più di due secoli che ha cercato in tutti i modi di appropriarsene dileggiandola e drammatizzandola. Generazioni brutali in fabbrica e in ufficio, facili all’adulterio e a molte altre nefandezze ma affascinate dalla possibilità di singhiozzare all’opera, di svenire nei musei, di commuoversi in un sito archeologico.
E’ stato un mondo fatto di prospettive dimensionali, in cui i valori all’orizzonte erano la quantità di denaro, di reati, di servi sciocchi e di furbi adulanti. Ha inscatolato l’arte in depositi di lusso e ha premiato l’erudizione (altra mania dimensionale) a danno della curiosità e dell’interpretazione. Ma non sempre le dimensioni muscolari sono sintomo di capacità e di intelligenza, come insegnano molte fiabe imperiture.
Come l’esercito degli Stati Uniti è stato beffato tanto in Vietnam quanto in Afghanistan, così da noi si continua, senza alcun costrutto, a dare i numeri: abbiamo tre quarti del pa-trimonio culturale mondiale, ogni euro speso in cultura ne genera diciassette, siamo la patria dell’opera e così via; pare che le bugie scioviniste siano diventate così tanto di moda nel Bel Paese. Dove andremo a finire?
Puntiamo il sestante in modo corretto, e ci darà qualche suggerimento. Innanzitutto, ci mostrerà che il mondo dal quale veniamo è stata una lunga e forzata interruzione di un ordine millenario, fatto di valori complessi e di visioni semplici; altro che età dell’oro. Poi orienterà il nostro sguardo verso la forma che il mondo aveva prima della rivoluzione industriale: un reticolo di città spesso bellissime, piene di vita e di allegria.
Luoghi in cui la bellezza non era occultata in depositi surreali e protetta da una biglietteria, ma visibile e godibile da tutti anche solo passeggiando per le vie; in cui le piazze esprimevano la propria vocazione teatrale già nella forma dei propri edifici e delle proprie decorazioni; in cui la comunità partecipava alla vita pubblica, pur non votando in tarda primavera, e gli artisti ne facevano parte con la massima normalità.
Non importava attribuirsi la patente di “persona colta”, i pennacchi servivano ad altro o forse a ben poco. Certo, qualcuno a teatro si faceva un bel pianto, ma le commedie e l’ironia circolavano senza essere considerate di rango inferiore (Goethe, che provava a resistere al nuovo ordine, diceva che solo gli stupidi trovano il genere drammatico superiore a quello comico). Il mondo sapeva ancora ridere di sé stesso.
Così, dopo che le nebbie si saranno diradate e la nostra navigazione a vista riprenderà stupefatta e divertita, ritroveremo città belle e affollate, comunità desiderose di partecipare e condividere, artisti confusi tra la folla, torneremo capaci di ridere e di vedere il mondo a colori. I segni vanno tutti in questa direzione, invadono gli spazi urbani con le tracce fertili e intense di una cultura che appartiene a tutti.
Torneremo al Medioevo? No, di certo. Semplicemente andremo verso l’evoluzione della specie umana, per la quale l’ansia da prestazione del capitalismo manifatturiero era in definitiva innaturale. I segni sono tanti, e i saggi di Papini su The Street Project e di Celano e Chirico sul riuso degli stabili industriali a Biella li mettono a fuoco con eloquente acutezza. Festival, public readings, street art, nuovi committenti: tutto converge.
L’offerta culturale del nostro prossimo futuro è la forma della città, l’approccio della comunità, l’integrazione sociale, il multiculturalismo, l’allegria narrativa condivisa, la mescolanza tra la curiosità del fruitore e l’empito creativo dell’artista, la bellezza quotidiana, l’ironia scanzonata e sagace che ci salverà dalle visioni apocalittiche; e i valori andranno ad adagiarsi sul tempo, sulle relazioni, sul silenzio, sulla contemplazione.
Senza dimenticare che la cultura è l’unico fenomeno che caratterizza la specie umana tra tutti gli esseri animati; esploriamone con energia il bel divenire dei prossimi anni.