Emergenza e prevenzione

Le emergenze in Italia sono numerose e possono dipendere dalla neve o dalla pioggia, dalle frane o dai terremoti. “Emergenza” ha anche il significato di “circostanza imprevista” ma gli eventi di natura emergenziale in Italia non sono mai imprevisti.

Le emergenze in Italia sono numerose e possono dipendere dalla neve o dalla pioggia, dalle frane o dai terremoti. “Emergenza” ha anche il significato di “circostanza imprevista” ma gli eventi di natura emergenziale in Italia non sono mai imprevisti.

 

Lo stesso terremoto, in un paese con la caratteristiche geologiche dell’Italia, non può essere considerato un evento inatteso. Calamità di questa natura si presentano con un’impressionante continuità ed esiste una ben definita geografia del rischio. I dati ce ne danno conferma: in termini quantitativi, dal 1968 ad oggi, i terremoti di maggiori intensità, quelli che hanno causato almeno una vittima, sono stati 70 e ad ognuno di questi sono associati costi, sia sociali che finanziari, di notevole entità.

 

In termini di costi sociali, i terremoti relativamente più violenti degli ultimi 59 anni hanno causato circa 5.000 vittime e la distruzione di un patrimonio storico, edilizio e urbanistico, che non è stato mai recuperato. Decine di centri storici, dalla Sicilia al Friuli, dall’Irpinia all’Abruzzo e ora in Emilia hanno perso (o rischiano di perdere) storia e identità, il volto e l’anima.

 

Il rischio del verificarsi di un evento dannoso, come quelli sperimentati in Italia, potrebbe essere se non azzerato di sicuro ridotto in maniera significativa mettendo in atto coerenti politiche preventive. Le politiche di prevenzione sono indubbiamente complesse in quanto richiedono di intervenire in modo coordinato su più fronti: dalla gestione e manutenzione dell’ambiente e del territorio alla creazione delle condizioni per mantenere in vita i centri più piccoli collinari e montani, dalle politiche di messa a norma degli edifici all’educazione delle collettività a far fronte ad eventi potenzialmente catastrofici e altro ancora.

 

Esiste anche un vincolo finanziario, specialmente nella situazione attuale, ma questo è meno stringente di quanto si pensi. Per esemplificare: gli interventi post sismici, dal 1968 ad oggi, hanno comportato costi economici superiori ai 150 miliardi di euro. In media, ogni anno, vengono spesi circa 4 miliardi di euro solo per far fronte ai danni provocati dal terremoto sul patrimonio edilizio. Mettendo a regime le politiche di prevenzione, con la stessa spesa, in poco più di tre anni, potrebbero essere messe in sicurezza tutte le scuole pubbliche vulnerabili (il cui costo era stimato, nel maggio 2004 dal Ministero delle Infrastrutture, in circa 13 miliardi). Sulla base del costo medio a mq per la messa in sicurezza (utilizzato sempre dal Ministero delle Infrastrutture) ogni anno, con la spesa che attualmente viene utilizzata per far fronte ai danni causati da un terremoto, si potrebbero mettere in sicurezza 9,7 milioni di mq pari a circa 20mila stabili (assumendo una dimensione media di 500 mq).

 

A parità di spesa pubblica annua, il suo impatto sulla prevenzione potrebbe essere raddoppiato, se non triplicato, se la spesa pubblica fosse trasformata:
? in un “fondo di rotazione”, per esempio in prestiti a tasso zero da rimborsare appena l’immobile venisse alienato;
? o in un contributo parziale in conto capitale, da attivare insieme al capitale privato.

 

Anche nel caso della assicurazione obbligatoria contro i danni per calamità naturali ai fabbricati (art. 2 del D.L. 15 maggio 2012, n. 59) il contributo pubblico (in termini fiscali o finanziari) potrebbe svolgere un ruolo fondamentale a sostegno delle fasce di popolazione a più basso reddito o delle aree a minor valore immobiliare dove il costo dell’assicurazione potrebbe o non essere sostenibile o essere ritenuto economicamente non conveniente. Una politica di prevenzione dovrebbe, però, prima di tutto essere elaborata e messa in atto con una forte partecipazione delle collettività locali.

 

La partecipazione e l’educazione delle collettività costituisce un aspetto strategico nelle politiche di prevenzione rispetto ai terremoti già sperimentate, soprattutto all’estero. Queste politiche, che generalmente fanno riferimento a un orizzonte temporale di medio/lungo periodo (10-15 anni) e vengono definite per aree omogenee (per rischio o per tipologia edilizia prevalente), contengono la definizione de:
a) gli obiettivi che si intendono perseguire in via prioritaria. Per esempio, messa in sicurezza prima delle scuole o degli ospedali, poi del patrimonio storico pubblico o privato e così via;
b) gli strumenti per far partecipare le collettività locali alla definizione delle politiche e alla loro implementazione;
c) il coefficiente di rischio delle varie aree e delle differenti tipologie sulla base di mirate analisi diagnostiche;
d) le tecniche operative più adeguate, tenendo conto anche dei vincoli storici e artistici, per la messa in sicurezza delle principali tipologie di intervento;
e) i fabbisogni professionali necessari e i processi formativi da attivare;
f) i costi degli interventi e le possibili forme di finanziamento;
g) gli incentivi a sostegno della partecipazione del capitale privato alla realizzazione degli interventi. Per esempio, forme di premialità per interventi integrati a livello di comparto edilizio. In presenza del federalismo fiscale vengono introdotte forme di fiscalità incentivante;
h) il processo attuativo e la struttura di coordinamento gestionale e di quella tecnica;
i) i canali per la diffusione delle informazioni.

 

La definizione di una politica di prevenzione è qualcosa che precede quella dei tradizionali strumenti di pianificazione del territorio anche se poi potranno essere questi a renderla applicabile e applicata.

 

La definizione ed implementazione di una strategia di prevenzione non è nemmeno qualcosa di diverso e separato dagli interventi di emergenza. Anzi, già oggi, nelle aree di intervento si potrebbe procedere a definirla e sperimentarla:
a) distinguendo gli interventi immediati di riduzione del danno da quelli di più lungo periodo di prevenzione;
b) utilizzando gli interventi immediati come campo di indagine e sperimentazione di tecniche più efficaci;
c) stabilendo da subito gli obiettivi strategici e il programma degli interventi di più lungo periodo;
d) delegando l’effettiva realizzazione dei programmi alle strutture locali con una supervisione di una struttura centrale;
e) legando gli interventi da realizzare nell’immediato a un piano di rigenerazione economico e sociale dei centri più piccoli;
f) creando un insieme di incentivi per favorire la partecipazione dei capitali privati;
g) coinvolgendo tutti gli attori nella gestione dell’immediato e nella programmazione del futuro.

 

Concretamente, nelle aree di intervento e in forte connessione con gli interventi di emergenza, potrebbero essere creati dei laboratori, reali e virtuali, dove si possa “lavorare” per sperimentare tecniche innovative di intervento, per attivare corsi di formazione professionale, per raccogliere, elaborare e diffondere tutte le informazioni utili per l’oggi e per il domani. Questi atelier sarebbero dei centri dove si applica la teoria e si impara dall’esperienza e dove si ricreano le conoscenze necessarie alla preparazione delle figure professionali richieste dagli interventi di rigenerazione: dagli storici agli architetti, dagli strutturisti ai geologici, dai restauratori ai geometri, dai matematici agli economisti e così via. I cantieri aperti fornirebbero gli oggetti (dall’edilizia di pregio a quella vernacolare, dalle strutture tradizionali a quelle in cemento armato) da analizzare e manipolare per far ripartire un processo di acquisizione di tutte quelle conoscenze che sono scomparse, o in via di sparizione, e un luogo dove, in modo integrato, le differenti discipline si confrontano per dare vita a procedure di intervento che possano essere riutilizzate in altre aree di rischio e per l’attività preventiva.

 

Un laboratorio che proceda alla classificazione e archiviazione delle esperienze realizzate, che crei un thesaurus che possa essere collegato sia alla carta del rischio che ai piani di messa in sicurezza o di recupero dei centri storici che i comuni dovrebbero elaborare per fornire, nel futuro, un insieme di regole che possano mettere al riparo, o ridurre, dal rischio terremoto le persone e le cose. Paradossalmente, questi laboratori potrebbero rappresentare anche uno degli strumenti per far ripartire la vita economica dei centri colpiti in quanto le conoscenze acquisite potrebbero essere utilizzate in altre aree e in altri paesi ed avere importanti ricadute anche in altri campi di ricerca.