Il Kunsthaus Tacheles, così come milioni di persone lo hanno conosciuto negli ultimi ventidue anni, ha visto gli eventi politici, storici ed economici mettere un punto alla propria esperienza. Sul lento declino, segnato negli ultimi anni anche da vicende di violenza gratuita contro cose e persone da parte dell’amministratore legale HSH Nordbank, le politiche culturali e le istituzioni cittadine e federali non hanno mai detto la loro, se non per ribadire la totale estraneità alla vicenda. Il centenario edificio dove è nata, si è sviluppata e trasformata l’idea Tacheles fu dichiarato sito storico protetto nel 1992 e lo rimane tutt’oggi. Inoltre, il gruppo d’investimento Fundus, acquirente dello stabile nel 1998, aveva stipulato un contratto con il governo cittadino in base al quale si impegnava a costruire su una superficie di 32.450 metri quadri (che comprende anche l’edificio Tacheles) un complesso da utilizzare a scopo per lo più commerciale che avrebbe creato circa 950 posti di lavoro, in caso contrario, il gruppo Fundus avrebbe pagato una sanzione del 20 per cento degli investimenti promessi, si parla di 50-80 milioni di Euro. Tale contratto, dopo la solita bancarotta dell’investitore, è rimasto insoluto e nessuna sanzione è stata mai imposta al gruppo Fundus.
Negata la natura unicamente privata del contenzioso e dimostrata invece l’esistenza di un ruolo delle istituzioni pubbliche, che sarebbe potuto essere decisivo per l’esito dello stesso, si può aggiungere che l’eco nelle casse della tesoreria di stato di Berlino e le speculazioni edilizie hanno fatto il resto in questa triste vicenda. Questi sono i fatti. La gamma delle reazioni e dei sentimenti che la notizia della chiusura definitiva del Tacheles ha provocato sono invece molteplici e sfumate: si passa dalla tristezza alla rabbia, dalla sorpresa all’indifferenza. La notizia è stata riportata da numerosi quotidiani di Berlino, del resto della Germania, dell’Europa ma anche di paesi lontani come l’Argentina o il Giappone. Grande è sembrato lo sgomento letto nei post di chi ha commentato la notizia da ogni parte del mondo e ciò non vuol essere un’esagerazione: il Tacheles riceveva in media ogni anno 500.000 visitatori internazionali. Molti venivano di proposito perché avevano trovato questo curioso nome tra i punti di interesse delle loro guide turistiche, così come si trova il MOMA tra quelli delle guide di New York.
Altri vi si imbattevano passeggiando per le strade del quartiere Mitte, costellato di gallerie d’arte contemporanea e caffè alla moda, vi entravano, incuriositi dall’imponenza del palazzo e dal suo aspetto pittoresco e un po’ fatiscente, così diverso dal resto degli edifici e dallo stile corporate del quartiere, e semplicemente ne rimanevano folgorati. Queste sono le centinaia di persone che hanno lasciato i loro commenti sulle numerose pagine web che hanno riportato la notizia martedì 4 settembre 2012. Ci sono poi stati giornalisti e persone che vivono a Berlino, o che ci sono stati abbastanza per farsi un’opinione, che hanno messo l’accento più sul fatto che il Tacheles era comunque cambiato negli ultimi anni, diventando molto diverso dal mito che in molti ricordano, una mera attrazione turistica e quindi degno di essere disperso. Anche volendo evitare l’apologia del Signor Turista – il quale in tempi recenti è a quanto pare diventato sinonimo di pessima qualità, superficialità e ottusaggine, come se le persone intelligenti non avessero diritto a trasformarsi in Signor Turisti almeno una volta all’anno – gli argomenti addotti dai detrattori del “tardo” Tacheles sembrano non centrare il punto di ciò che la chiusura dello stesso estensivamente significa, tempo e luogo considerati.
La chiusura del Tacheles, che dispiaccia o meno, è la spia di qualcosa di più grande e complesso che a Berlino sta avvenendo da qualche anno e che ha già visto la chiusura di locali che nella capitale tedesca hanno fatto cultura come il Bar 25 a Friedrichshain, nel prossimo mese quella dello Yaam, presente sulle rive della Sprea da 18 anni, e che ha già iniziato a trasformare il quartiere Kreuzberg con il progetto Mediaspree il quale prevede di sbarazzarsi dell’aspetto preindustriale della Berlino Est innalzando alti palazzi da vendere a clienti possibilmente “giovani” come Mtv o Viva!.
Sotto minaccia sono tutti quei luoghi di “indeterminatezza” che hanno animato Berlino Est dopo la caduta del muro e la scomparsa della Repubblica Democratica Tedesca. Erano ampi tratti di proprietà precedentemente nazionalizzati, che ora si trovavano sospesi in uno status di proprietà non ben definito in cui sono rimasti fino ad oggi, o a tempi recenti, e che hanno dato vita al fenomeno che tanto ha caratterizzato l’evoluzione della città Berlino e di cui il Tacheles era appunto storico simbolo. Tale fenomeno fu la ragione principe per cui Berlino passò ad attirare movimenti anarchici, artisti, talenti creativi e più recentemente milioni di turisti. Ancora, tale fenomeno, insieme a un sistema di consistenti sussidi federali ha fatto da àncora all’economia della città, che da sempre fatica a rimanere a galla.
Se all’individuo medio la rovina, il rudere, evoca un resto del passato, possibilmente abbandonato e rimasto inutilizzato, mentre un cantiere in costruzione potrebbe richiamare più l’idea di novità e di proiezione futura, le “rovine” e gli spazi residuali a Berlino evocano la possibilità di ricreare alternative e opportunità indefinite e illimitate. Questa è la dinamica che ha innescato la nascita del mito berlinese e, per dirla tutta, una volta che tutti questi spazi verranno chiusi e convertiti in asettici blocchi commerciali, hotel di lusso o luoghi per eventi culturali mainstream come se ne trovano dappertutto, ad attrarre i milioni di turisti che oggi si riversano in città non rimarranno i viali, le piazze o i vicoli che valgono una visita al resto delle capitali europee. Questo va detto anche perché la prima voce delle entrate nel bilancio di Berlino è proprio il settore turistico, che nel 2011 ha raccolto 10,3 miliardi di euro, pari al 10% del profitto di una città in cui il settore immobiliare è guarda caso una delle poche voci non in rosso in un debito totale di sessantacinque miliardi di euro.
Inoltre, i 20.000 artisti che vi si sono stabiliti, avranno ancora ragione di rimanervi? Berlino è ancora oggi lo stato federale più povero della Germania e come è sempre accaduto nella storia degli ultimi due secoli gli artisti vengono qui perché trovano ancora una città stimolante e un costo della vita tale da poter permettere loro di fare dell’arte una professione senza mantenersi con uno, due o tre lavoretti (i più fortunati) e di poter pagare anche l’affitto di un atelier, possibilmente condiviso. Se ci sia poi un mercato dell’arte e collezionisti che comprano i loro lavori, questo è un altro paio di maniche. Berlino conta più di 400 gallerie stando alle stime, un numero che non ha niente da invidiare a New York, ma manca ancora la capacità di attrarre collezionisti esteri – cosa che ha infatti già fatto trasferire diverse gallerie di successo – una fiera dell’arte contemporanea di rilievo e, stranamente, una Kunsthalle, il museo d’arte contemporanea, progettato e fallito nel 2010.
L’equilibrio tra gli ingranaggi che fanno muovere la macchina di questa città così unica rimane, o anzi diventa, quindi precario e la posta in gioco è alta perché si tratta di meccanismi che sono profondamente radicati nel presente di questa città. Questi sono gli elementi chiave che inquadrano la notizia della chiusura del Tacheles sul macro-livello. Immerso in questo scenario, il progetto Tacheles, seppur non più nello stesso luogo fisico, avrà ora un ruolo, una posizione e si direbbe anche la responsabilità di collaborare con simili realtà indipendenti rimaste a Berlino per mantenere vivo il fermento culturale della città, al riparo dalle cieche e criticabili politiche culturali dell’ultimo anno. Tra le ultime la Berlin Biennale di quest’anno: tre milioni di euro di budget, un programma che si srotola in varie location, di cui nella principale, al Kunstwerk, quattro piani espositivi visitabili a fatica perché le opere non si trovano: troppo concetto, eccessivo accanimento sulla tematica troppo esplicitamente politica che finisce col mancare una grande occasione, quella di dialogare e interrogare la realtà in una città che, come si è detto, sta vivendo dinamiche cruciali e universalizzabili. Si sprecano i dibattiti, i workshop e le chiacchiere sulle dinamiche sociali che l’arte può innescare e manipolare in questa fase storica, si dedica un intero piano al movimento Occupy Berlin, invitato ad occupare, e ci si dimentica forse di fare arte, in un terreno che sarebbe peraltro fertile.
Il Tacheles si trova, ironia della sorte, a quattrocento metri dal Kunstwerk. L’occupazione, il dissenso quasi grottescamente messo sotto una teca grande un intero piano, e la realtà lasciata fuori. Grande pool di artisti e curatori, ma l’occasione cade nell’acqua, e questo, anche aldilà della faccenda Tacheles, è forse rappresentativo delle scelte che la politica culturale a Berlino in generale sta facendo. Il cane si morde la coda. Come si risolverà il paradosso di una città “povera ma sexy”, per dirla con le parole del sindaco dal 2001 e senatore alla Cultura Klaus Wowereit, che pare essersi stancato di questa città così alternativa e vuole l’aeroporto più grande d’Europa anche quando ne ha già due e soprattutto non ha i soldi per un terzo?
Mentre cerca un nuovo spazio e un assetto che garantisca una prospettiva a lungo termine, il Tacheles e i suoi artisti sono già impegnati in diversi progetti precedentemente avviati o che sono sorti immediatamente dopo la chiusura grazie alle tante collaborazioni costruite negli anni e all’immenso archivio creativo che ha sviluppato negli ultimi due ventenni. Notizia di diverse settimane fa è che il Tacheles è stato invitato ad usare gli spazi di un ex fabbrica nel quartiere multietnico di Neukölln – recentemente convertito in un club.
Il 27 settembre 2012 è stata inaugurata la prima mostra dopo la chiusura (http://kritikdesign.blogspot.it/) e rimarrà visitabile per tutto l’inverno, mentre una sede amministrativa dalla quale far ripartire i lavori e organizzare l’archivio è stata creata per il momento a Potsdam. La celebre campagna SUPPORT TACHELES (http://isupporttacheles.blogspot.it/) proseguirà con lo scopo di espandersi sempre più internazionalmente. Lanciata sul web nel 2010, nella primavera di quest’anno si è trasformata in un vero network di scambi con spazi culturali e artisti in Italia, poi a Barcellona, a Buenos Aires e a Parigi con la art-house 59Rivoli, ex squat poi riconosciuto dal Comune. Tra gli attuali progetti artistici internazionali che sono stati realizzati in collaborazione con il Tacheles segnaliamo: SineDiePROJECT (http://sinedieproject.weebly.com/featured-artists.html), Urban Art Clash (https://www.facebook.com/urbanartclash/info), Japaranoia (https://www.facebook.com/Japaranoia), Wide Scope Experimental (https://www.facebook.com/Widescopeexperimental?ref=ts) e il DachFestival, scambio con artisti della Bielorussia, tra cui ricordiamo il lavoro ormai decennale presso il Tacheles di Alexander Rodin. Ora che un nuovo inizio si sta preparando, e il Tacheles ha assunto un nuovo posizionamento all’interno delle dinamiche culturali della città, il concetto potrebbe suonare più come SUPPORT BERLIN – JOIN TACHELES.
Buona fortuna Berlino!