Gioconda 2.0: politiche per l’accesso e l’uso delle immagini di beni culturali in pubblico dominio

La digitalizzazione delle immagini e la rete internet offrono oggi nuove opportunità attraverso soluzioni tecniche innovative, che possono ampliare fortemente l’accesso e soprattutto l’uso e il riuso dei contenuti digitali delle collezioni museali. Questo articolo offre una panoramica sui nuovi modelli di accesso e riuso delle immagini digitalizzate dei beni culturali in pubblico dominio, proponendo alcune politiche per la valorizzazione del patrimonio culturale nell’era digitale.

1. La rivoluzione digitale e i nuovi modelli di accesso e uso delle collezioni museali digitalizzate

 

Storicamente i musei hanno sempre rivestito un compito fondamentale nella diffusione del patrimonio culturale, garantendone l’accesso e la fruizione per finalità di studio ed educazione. Tuttavia, la rivoluzione digitale sta radicalmente cambiando i comportamenti di consumo culturale obbligando i musei a ripensare la propria relazione con il pubblico e i modelli di diffusione e fruizione dei contenuti culturali da loro prodotti.

 

Se un tempo il pubblico poteva fruire solo negli spazi fisici dei musei le opere d’arte originali oppure consultando libri che presentavano riproduzioni fotografiche delle stesse, la digitalizzazione delle immagini e la rete internet offrono oggi nuove opportunità attraverso soluzioni tecniche che possono ampliare fortemente l’accesso e soprattutto l’uso e il riuso dei contenuti digitali delle collezioni museali. Si pensi, ad esempio, alle potenzialità e ricchezza delle reti degli utenti (Benkler, 2006) nel condividere, aggregare e collegare contenuti, contribuendo così creativamente e in modo innovativo alla creazione e condivisione di conoscenza sul patrimonio culturale. Dal momento che quasi tutte le collezioni museali detengono solo una piccola parte dell’opera di ogni singolo artista, periodo storico o movimento culturale, la possibilità di mettere insieme nello spazio virtuale le riproduzioni digitali dei beni culturali associate con informazioni condivise e generate dagli utenti può senza dubbio migliorare l’esperienza dei fruitori delle collezioni museali.

 

Allo stesso modo, la pubblicazione e condivisione sul web delle immagini in formato digitale sta rendendo sempre più obsoleto il modello di diffusione di fotografie utilizzato tradizionalmente dai musei che si basa principalmente sulla domanda degli editori di libri d’arte o degli studiosi. La rivoluzione digitale e la rete internet  hanno fatto emergere nuove forme di utilizzo delle immagini dei beni culturali che richiedono senza dubbio nuove e più rapide forme di licenziamento dei contenuti (Bray 2009). Basti immaginare un navigatore sul web che trova sul sito di un museo un’immagine di un bene culturale che vorrebbe inserire nel post quotidiano del suo blog per arricchire e contestualizzare la sua narrazione. E’ molto probabile in questi casi che troverà sulla pagina web del museo un messaggio che indica che ogni riutilizzo dell’immagine necessita un permesso esplicito da parte dell’istituzione museale, e quindi una richiesta formale per poter ripubblicare sul proprio sito l’immagine desiderata, indipendentemente dalla sua qualità e dimensione(1).

 

Già oggi esistono alcune esperienze pioneristiche nella produzione, condivisione e riutilizzo dei contenuti digitali derivati da beni culturali in pubblico dominio. Un primo gruppo di esperienze si basa sulla messa a disposizione sul Web di immagini digitali di istituzioni culturali mediante le licenze “virali” tipo Creative Commons(2), che permettono agli utenti di riutilizzare e distribuire le immagini delle collezioni digitali mediante uno schema “aperto”, soggetto ai requisiti dell’attribuzione e al più del Condividi-allo stesso modo (share-alike) (Dierickx and Tsolis 2010). Numerose istituzioni (tra cui il Brooklyn Museum e il Powerhouse Museum) hanno in questo modo aderito al progetto “The Commons” di Flickr(3), il portale di condivisione di fotografie, mettendo a disposizione parte delle loro collezioni digitali. Questo permette agli utenti non solo di utilizzare le fotografie mediante licenze standard, ma anche di aggiungere informazioni di contesto al contenuto delle immagini. Un altro esempio interessante è inoltre quello dell’accordo del 2008 tra l’Archivio federale tedesco e la fondazione Wikimedia Commons per la donazione di circa 100.000 immagini relative alla storia della Germania. Anche questo accordo consente il riutilizzo delle immagini dell’archivio su portali come Wikipedia, dando la possibilità agli utenti dell’Enciclopedia virtuale di arricchire i loro articoli con contenuti fotografici. Allo stesso tempo, la pubblicazioni delle immagini sul web ha portato ad una crescita di accessi alle collezioni fotografiche dell’Archivio federale tedesco. In Italia, un progetto analogo è stato intrapreso dalla Fondazione Cariplo (e da alcuni enti da questa finanziati), in collaborazione con Fondazione Lettera27, Wikimedia Italia e Creative Commons Italia/Centro Nexa su Interent & Società: nell’ambito dell’iniziativa, Share Your Knowledge, sono state rese disponibili sotto licenze aperte le immagini e le schede di opere ed autori della collezione online Artgate(4).

 

Un secondo gruppo di esperienze non si basa direttamente sull’iniziativa delle istituzioni culturali a rilasciare immagini digitali, ma sulla creazione e condivisione di fotografie user-generated. Il progetto Wikipedia Loves Art(5) promuove da alcuni anni iniziative che invitano i visitatori dei musei in alcuni paesi a fotografare oggetti in pubblico dominio esposti nelle collezioni dei musei e quindi a caricarli e condividerli su Flickr. Le potenzialità di questi nuovi sistemi di creazione e condivisione di contenuti possono essere molteplici. Ad esempio, il progetto Smarthistory ha sviluppato un portale web di storia dell’arte basato su contenuti multimediali gratuiti prodotti da utenti su opere d’arte in pubblico dominio che i musei permettono di fotografare (Bakshi and Throsby 2010).

 

2. I vincoli ad un accesso e riuso più aperto ai  beni culturali in pubblico dominio

 

Gli esempi sopra riportati suggeriscono innovativi modelli di produzione e fruizione dei contenuti che generano nuova conoscenza sulle collezioni fisiche di beni culturali (Bertacchini e Morando, 2011). Tuttavia la facilità di riproduzione e condivisione delle informazioni digitali crea anche nuove criticità nel controllo da parte dei musei del proprio patrimonio culturale digitalizzato. In particolare esiste un paradosso che è sempre stato latente nel ruolo delle istituzioni culturali come custodi del patrimonio culturale. Le collezioni dei beni culturali dei musei, nella teoria del diritto d’autore, ricadono infatti per antonomasia nel pubblico dominio: quella «preziosa risorsa di informazioni che è libera dalle barriere all’accesso o al riuso generalmente associate alla tutela del copyright» e che rappresenta anche una fondamentale «espressione del bagaglio comune di conoscenze e cultura» di un popolo(6).

 

Per molto tempo i musei hanno garantito l’accesso di questo patrimonio in pubblico dominio, godendo però di un controllo quasi totale sui beni culturali custoditi, sia grazie a vincoli fisici (accesso agli spazi espositivi) sia grazie a vincoli tecnici e legali (mediante licenze per la diffusione di fotografie analogiche di opere d’arte). Se il controllo sull’accesso era giustificato anche al fine di facilitare la tutela dei beni fisici, di fronte alle nuove potenzialità della digitalizzazione e della rete Internet i musei si stanno attrezzando per l’offerta digitale dei loro contenuti, ma il rischio è che normative e misure che un tempo erano adeguate nel regolare la fruizione e diffusione di riproduzioni dei beni custoditi creino di fatto dei monopoli che limitano l’accesso e il riutilizzo delle collezioni digitalizzate di beni culturali in pubblico dominio.

 

In questa prospettiva, è emblematico il caso dell’Italia con la disciplina sulla creazione e divulgazione delle riproduzioni (analogiche o digitali) dei beni culturali dettata dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni) e relativi decreti attuativi. Come ampiamente discusso e approfondito in diversi lavori (Resta, 2009; De Angelis 2009; Morando e Tsiavos, 2012), la normativa italiana per qualsiasi tipo di riproduzione di bene culturale prevede una procedura di autorizzazione dell’amministrazione che ha in consegna il bene e previo pagamento dei relativi canoni e corrispettivi(7). Ciò implica che il controllo dei custodi dei beni non si limita alla prima riproduzione delle immagini degli stessi, ma segue – teoricamente all’infinito – la catena delle riproduzioni e delle riutilizzazioni.

 

Le conseguenze pratiche di una situazione del genere sono varie e soprattutto creano dei forti limiti al riutilizzo di immagini sul web. Per esempio, vi può essere l’estrema difficoltà (se non l’impossibilità, almeno teorica) di pubblicare su un blog o Wikipedia foto di oggetti custoditi nei nostri musei. Ma anche la necessità di attendere complesse autorizzazioni prima di poter pubblicare vari tipi di articoli e/o libri, in particolare qualora questa pubblicazione avvenga sul Web. Per esempio nel 2007 il Polo Museale Fiorentino, richiamandosi al Testo Unico per i beni culturali, ha chiesto e ottenuto la rimozione da Wikipedia delle immagini (tendenzialmente a bassa risoluzione) relative alle opere conservate nei propri musei, in quanto nessuno aveva ottenuto esplicita autorizzazione alla loro pubblicazione (Guerzoni e Minimo, 2008).  

 

 

L’esigenza di modificare le regole che finora hanno limitato la diffusione e il riutilizzo del patrimonio culturale digitalizzato sembra auspicabile non solo per rinforzare il valore di bene comune del patrimonio culturale, ma anche per ripensare il ruolo dei musei nella società dell’informazione come fornitori di contenuti culturali autorevoli. Questa esigenza si inserisce nel recente dibattito internazionale e nazionale sulle strategie e politiche che favoriscano l’apertura e il riuso di dati e contenuti digitalizzati in possesso del settore pubblico, di cui numerosi musei e istituzioni culturali fanno parte (OECD, 2006). L’idea di queste nuove politiche nasce proprio dal riconoscimento che, grazie alla rivoluzione digitale, mettere a disposizione le informazioni relative al settore pubblico in modo trasparente, efficace e non discriminatorio può favorire la creazione di servizi online innovativi che generano potenziale valore economico e qualità sociale. Lo stesso può valere quindi per i musei con la riproduzione digitale delle loro collezioni di opere in pubblico dominio.

 

Se le normative a tutela del patrimonio culturale concepite in epoca pre-digitale possono essere modificate e adattate al nuovo contesto digitale, è anche rilevante comprendere quali sono le principali motivazioni da parte delle istituzioni culturali che possono indurre a limitare l’accesso e il riuso dei beni culturali in pubblico dominio.

 

Una prima e plausibile motivazione è quella di estrarre valore economico dalla distribuzione dei contenuti culturali e dall’offerta commerciale di prodotti ad essi collegati. In questo caso emerge chiaramente il classico trade-off economico della proprietà intellettuale tra incentivi alla creazione di contenuti e loro accessibilità e riuso. I vincoli di bilancio particolarmente stringenti che le istituzioni culturali si trovano a fronteggiare negli ultimi anni rendono la gestione del trade-off ancor più complessa. Tuttavia, bisogna sottolineare che coloro che sostengono che la digitalizzazione del patrimonio culturale possa essere economicamente sostenibile attraverso la concessione di licenze di accesso e/o riproduzione, paiono basarsi più su una sorta di scommessa che su una solida analisi economica dei benefici che le istituzioni culturali possono trarre da strategie e normative restrittive in questa materia. Per quanto manchino solide analisi empiriche a riguardo, una indagine del 2004 sui musei americani (Tanner, 2004) ha messo in evidenza come la digitalizzazione delle collezioni museali difficilmente possa essere finanziata attraverso gli introiti derivanti dallo sfruttamento commerciale delle riproduzioni digitali. Infatti, solo il 28% del campione dei musei ha introiti superiori ai 100.000 US$ e questi derivano molte volte dalle licenze di immagini e contenuti di pochissime opere superstar. Considerando anche i costi per gestire tutte le transazioni che richiedono autorizzazioni e licenze, il modello di business basato sulla vendita dei diritti e richiesta di compensi per le immagini di beni culturali sembra poco sostenibile. Inoltre è evidente che se esiste una domanda anche limitata per immagini ad alta risoluzione, la disponibilità a pagare è sicuramente minima e senza dubbio inferiore ai costi di transazione che una persona deve affrontare per ottenere l’autorizzazione a riprodurre l’immagine di un bene culturale a bassa risoluzione.

 

Oltre alla motivazione economica, esiste un’altra motivazione che è maggiormente legata al ruolo storico dei musei come custodi del patrimonio culturale (Eschenfelder and Caswell 2010). Il controllo su accesso e riuso di contenuti culturali è giustificato dai musei con il rischio che i contenuti redistribuiti da terze parti portino a problemi nell’accuratezza della descrizione e di utilizzo improprio dei contenuti (Eschenfelder and Caswell 2010). Questa giustificazione si collega maggiormente al rischio di una diluzione del valore culturale delle opere d’arte possedute dai musei, nonché al rischio di perdita di reputazione da parte delle stesse istituzioni culturali. Tuttavia, è necessario sottolineare come il rischio di diluzione del valore culturale delle opere debba essere valutato considerando il valore della nuova conoscenza e informazione sui beni culturali generato dalla “saggezza delle folle” di utenti appassionati di arte e cultura che condividono e riutilizzano in rete i contenuti dei musei (Surowiecki, 2007). Inoltre, il rischio di diluzione del valore culturale può essere maggiore per le opere più popolari o studiate, ma meno per oggetti o parti di collezioni museali che sono sottoutilizzate o di cui mancano accurate descrizioni e ricerche a causa di mancanza di risorse interne alle istituzioni.

 

3. Alcune proposte di policy

 

Le proposte di policy finalizzate all’aggiornamento delle norme relative alla riproduzione dei beni culturali nel contesto di Internet possono andare dall’abolizione della disciplina in materia (per la parte che si pone in contrasto con il concetto di pubblico dominio ai sensi del diritto d’autore), sino a semplici raccomandazioni relative alle gestione dei diritti, che la legge attualmente conferisce ai “custodi” dei beni culturali.

Da un punto di vista teorico, nulla impedirebbe di abolire completamente la disciplina in materia di riproduzioni dei beni culturali: questa alternativa apparentemente radicale, infatti, non farebbe altro che ricondurre lo scenario normativo a quello standard del diritto d’autore secondo cui una statua romana potrebbe essere riprodotta da chiunque, per il semplice motivo che il suo autore è defunto da qualche migliaio di anni. Nella pratica, tuttavia, si tratta di un’opzione di difficile attuazione, in un contesto in cui per anni le istituzioni culturali sono state spinte ad auto-finanziarsi “valorizzando” i beni affidati loro in custodia.
Appare dunque opportuno operare una transizione graduale verso minori e più razionali restrizioni, in particolare favorendo il fatto che il sistema della tutela del patrimonio culturale adotti gradualmente pratiche compatibili con quelle degli utenti che generano contenuti culturali digitali. I punti qualificanti di questa strategia potrebbero consistere nel: 1) rendere qualsiasi processo di autorizzazione semplice ed economico; 2) assicurare che i diritti sulle riproduzioni del patrimonio culturale riguardino solo la prima fotografia e non implichino limitazioni relative alle “copie di copie”.

 

Molti degli obiettivi delle norme relative alla riproduzione dei beni culturali nel contesto di Internet potrebbero essere raggiunti da ben calibrati diritti di accesso, che non pongano limitazioni per le copie successive ad una prima riproduzione, una volta che questa sia avvenuta. In altre parole, si dovrebbe pagare per poter fare le foto, ma non ci sarebbero limitazioni all’uso delle stesse, che – una volta scattate – sarebbero di esclusiva proprietà e nella piena disponibilità del fotografo(8). Questo tipo di approccio, per altro, sarebbe coerente con le limitate risorse che le istituzioni culturali possono dedicare all’enforcement delle norme che restringono l’accesso e il riutilizzo delle immagini. Già oggi, malgrado le stringenti norme esistenti, i beni culturali vengono (illecitamente) riprodotti e migliaia di immagini circolano sulla rete. Al contrario, con la presente proposta si eviterebbe questo scenario di endemica illegalità. Per un museo non sarebbe necessario monitorare la Rete alla ricerca di copie di copie “non autorizzate” e allo stesso tempo si potrebbe continuare a fare in modo che non vengano scattate foto a certi beni culturali o con certe modalità (es. uso di flash – coerente con gli obiettivi legati alla conservazione fisica dei beni – o cavalletto) o da chi non esponga un adesivo che segnali il pagamento del “biglietto per la macchina fotografica”.

 

Infine, un’altra proposta  compatibile con le norme  attuali potrebbe consistere nell’imporre a chi crei riproduzioni l’adozione di determinate licenze. In particolare, si potrebbe utilizzare la disciplina in materia di tutela dei beni culturali per assicurare l’uso di licenze libere per le riproduzioni digitali. In questo scenario, la riproduzione di un bene culturale potrebbe essere soggetta alle attuali richieste di autorizzazione e relativi canoni qualora il suo autore voglia “appropriarsi” completamente dei diritti sulla riproduzione stessa (potendola poi gestire in uno scenario “tutti i diritti riservati”), ma potrebbe essere automaticamente e gratuitamente autorizzata, qualora l’autore accetti di mettere a disposizione della collettività l’immagine, per esempio licenziandola con una licenza “persistente” o “virale”, quale Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. La ratio della norma sarebbe la seguente: chi riproduce un bene culturale per trarne un vantaggio esclusivo deve (richiedere un’autorizzazione esplicita e) compensare l’istituzione che lo ha custodito (anche) a suo vantaggio; chi, invece, mette a disposizione dell’intera collettività la riproduzione che realizza può essere esentato dal pagamento (e dai costi e perdite di tempo legate ad una formale richiesta di autorizzazione), in considerazione di ciò che “restituisce in natura” alla società.
Si consideri, inoltre, che tutte le opzioni citate si riferiscono al permesso di creare nuove riproduzioni di beni culturali (ad opera di terze parti). Il rilascio delle immagini di beni culturali realizzate dalle stesse istituzioni che li hanno in custodia potrebbe seguire principi differenti, anche se, come abbiamo visto, non sono rari i casi in cui un’istituzione potrebbe ritenere che la libera circolazione delle immagini dei propri beni crei valore (anche in senso economico/monetario) per l’istituzione stessa, aumentandone la visibilità e la reputazione.

 

 

Note
(1) [Rif. immagini degradate ed al fatto che sul web probabilmente è discutibile che si applichi…]
(2) Per maggiori informazioni sulle licenze Creative Commons si può consultare il sito www.creativecommons.it .
(3) http://www.flickr.com/commons/institutions/
(4) http://it.wikipedia.org/wiki/Progetto:WikiAfrica/Share_Your_Knowledge/Fondazione_Cariplo ; http://www.artgate-cariplo.it/collezione-online/page1z.do
(5) http://en.wikipedia.org/wiki/Wikipedia:Wikipedia_Loves_Art
(6) A riguardo, si veda il Manifesto sul Pubblico Dominio, disponibile a http://publicdomainmanifesto.org/manifesto (ultima visita, 14 luglio 2011)
(7) Si veda a riguardo il Decreto 20 aprile 2005 del Ministero per i beni e le attività culturali: «Indirizzi, criteri e modalità per la riproduzione di beni culturali, ai sensi dell’art. 107 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42».
(8) Una modalità di tariffazione particolarmente facile da applicare, per esempio, è relativa al pagamento di un “biglietto per la macchina fotografica”, che includa l’autorizzazione a realizzare fotografie (senza flash o cavalletto e con eventuali restrizioni alle forme di licenza delle immagini stesse).

 

 

Bibliografia
Bakhshi H. and Throsby D., 2010, Culture of Innovation, An economic analysis of innovation in arts and cultural organizations, NESTA Research Report

Benkler, Y., 2006, The Wealth of Networks: How Social Production Transforms Markets and Freedom, Yale University Press
Bertacchini E. e Morando F., 2011, The Future of Museums in the Digital Age: New Models of Access and Use of Digital Collections. Ebla Center WP 05/11

Bray, P., 2009, Open Licensing and the Future for Collections. In Museums and the Web 2009: Proceedings, J. Trant and D. Bearman (eds).  Toronto: Archives & Museum Informatics. Published March 31, 2009 http://www.archimuse.com/mw2009/papers/bray/bray.html

De Angelis D., 2009, Brevi note in tema di applicabilità delle licenze Creative Commons ai beni pubblici culturali (seconda parte), DigItalia, Rivista del digitale nei beni culturali, Vol. 4(2), 61-73. (Disponibile su http://digitalia.sbn.it.)

Dierickx B., Tsolis D.K., 2010, Barriers in On-line Access to Culture, Uncommon Culture Vol1(2) 39-61
Eschenfelder, K.R., Caswell M., 2010, Digital cultural collections in an age of reuse and remixes, First Monday, Vol 15(11)

Guerzoni G. e Minimo A., 2008, Musei 2.0. I custodi della coda lunga, in Galassia Web: la Cultura nella Rete, Galluzzi P. e Valentino P. (eds.), Giunti Editore

Morando F. e Tsiavos P.,  2012, Diritti sui beni culturali e licenze libere (ovvero, di come un decreto ministeriale può far sparire il pubblico dominio in un paese) di prossima pubblicazione in  Quaderni del Centro Studi Magna Grecia (Collana di studi del Centro Interdipartimentale di Studi sulla Magna Grecia Università degli Studi di Napoli, Federico II)

OECD, 2006, Digital Broadband Content: Public Sector Information. OECD Digital Economy Papers, No. 112, OECD Publishing

Resta G., 2009, Chi è proprietario delle Piramidi? L’immagine dei beni tra Property e Commons, Political del Diritto XL n. 4

Surowiecki J., 2007,  La saggezza della folla, Fusi Orari

Tanner S., 2004, Reproduction Charging Models & Rights Policy for Digital Images in American Art Museums, Andrew W. Mellon Foundation; New York at http://www.kcl.ac.uk.kdcs/