Godere e diffondere conoscenza e amore per il patrimonio culturale

Evocando un sagace slogan di qualche tempo fa del sempre benemerito FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano), che recitava più o meno così: “conservi ciò che ami, ami ciò che conosci”, si può dire che conoscenza, ri-conoscenza e affetto verso le proprie memorie sono alla base della catena del valore, che porta a conservare e tutelare beni spesso oggettivamente “inutili”, se visti con l’ottica dei frenetici ritmi e degli spietati canoni di un’esistenza come la nostra, votata al consumismo più esasperato. Un telefonino o un elettrodomestico rotto, oggi, non si ripara, si butta … (e se ne compra un altro!). Come si può essere legati, in famiglia, ad un oggetto di nessun valore, ma che è appartenuto ed è stato usato da un parente la cui memoria è cara, o autorevolmente riconosciuta, o riferibile a contesti storici che hanno contraddistinto epoche più o meno recenti, così si dovrebbe fare per il nostro patrimonio storico-culturale, avendone in primo luogo contezza dell’esistenza e, in secondo luogo, sapendogli attribuire valore.

Evocando un sagace slogan di qualche tempo fa del sempre benemerito FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano), che recitava più o meno così: “conservi ciò che ami, ami ciò che conosci”, si può dire che conoscenza, ri-conoscenza e affetto verso le proprie memorie sono alla base della catena del valore, che porta a conservare e tutelare beni spesso oggettivamente “inutili”, se visti con l’ottica dei frenetici ritmi e degli spietati canoni di un’esistenza come la nostra, votata al consumismo più esasperato. Un telefonino o un elettrodomestico rotto, oggi, non si ripara, si butta … (e se ne compra un altro!).

 

Come si può essere legati, in famiglia, ad un oggetto di nessun valore, ma che è appartenuto ed è stato usato da un parente la cui memoria è cara, o autorevolmente riconosciuta, o riferibile a contesti storici che hanno contraddistinto epoche più o meno recenti, così si dovrebbe fare per il nostro patrimonio storico-culturale, avendone in primo luogo contezza dell’esistenza e, in secondo luogo, sapendogli attribuire valore, esattamente come si fa per il bastone, la sciarpa o l’orologio del nonno …

 

Ma se i beni rimangono gelosamente custoditi in teche (o in depositi) lontani dalle nostre vite quotidiane e dai nostri occhi e se nessuno sa raccontarci adeguatamente il legame tra la nostra vita di oggi e la loro vita di qualche tempo fa, non possiamo pensare che la cura e la conservazione del patrimonio culturale possa mai diventare una delle priorità nazionali (ad eccezione di pochi esperti e di chi da questi beni estrae valore per il proprio esercizio commerciale, alberghiero e di ristorazione).

 

I due temi affrontati negli articoli di questo numero, quali le politiche di accesso e di uso delle immagini di beni culturali in pubblico dominio, di Enrico Bertacchini e Federico Morando, e le passeggiate-racconto al museo, di Frida Morrone, rappresentano due aspetti del medesimo problema e ci fanno capire come possano (o potrebbero) essere praticabili strategie efficaci di diffusione e “godimento” del sapere. Progettare nuove forme di valorizzazione delle immagini conservate negli archivi informatici dei nostri musei non è certo facile, ma è una sfida che dovrebbe rivestire una posizione di vertice nelle priorità di un Ministero che ha puntato molto negli ultimi anni sulle politiche di ampliamento dell’accesso e di “svecchiamento” delle istituzioni museali (senza scegliere, però, di investire adeguatamente sulla loro autonomia effettiva).

 

Di certo non serve chiudere i propri forzieri e rendere indisponibili ai miliardi di utenti della rete web le riproduzioni delle opere; d’altra parte vanno trovate forme adeguate di remunerazione del proprio investimento conservativo. E su questo punto vengono proposte ipotesi di lavoro interessanti. Di tutt’altro genere, ma non meno suggestivo è il percorso di visita che unisce arti sceniche e la mediazione di un “racconta storie” per avvicinare grandi e piccini alla conoscenza di quanto esposto in un museo. Da quanto ci viene detto viene voglia di prenotarsi subito per godere di questa inusuale e sicuramente gradevole forma di apprendimento di quadri, sculture e ambienti, ricchi di storia e di valore.

 

Proviamo a chiudere gli occhi per un momento e pensiamo di vivere in un paese in cui merito e competenza vengano premiati… agli estensori di questi articoli dovrebbe essere data l’opportunità di collaborare da domani con gli organismi pubblici preposti a progettare e realizzare politiche culturali finalizzate a generare quel “contatto” mancante tra grande pubblico e patrimonio culturale che, solo, può garantire conoscenza e amore per le “testimonianze aventi valore di civiltà”, di cui si diceva all’inizio di questo editoriale.