Evocando un sagace slogan di qualche tempo fa del sempre benemerito FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano), che recitava più o meno così: “conservi ciò che ami, ami ciò che conosci”, si può dire che conoscenza, ri-conoscenza e affetto verso le proprie memorie sono alla base della catena del valore, che porta a conservare e tutelare beni spesso oggettivamente “inutili”, se visti con l’ottica dei frenetici ritmi e degli spietati canoni di un’esistenza come la nostra, votata al consumismo più esasperato. Un telefonino o un elettrodomestico rotto, oggi, non si ripara, si butta … (e se ne compra un altro!).
Come si può essere legati, in famiglia, ad un oggetto di nessun valore, ma che è appartenuto ed è stato usato da un parente la cui memoria è cara, o autorevolmente riconosciuta, o riferibile a contesti storici che hanno contraddistinto epoche più o meno recenti, così si dovrebbe fare per il nostro patrimonio storico-culturale, avendone in primo luogo contezza dell’esistenza e, in secondo luogo, sapendogli attribuire valore, esattamente come si fa per il bastone, la sciarpa o l’orologio del nonno …
Ma se i beni rimangono gelosamente custoditi in teche (o in depositi) lontani dalle nostre vite quotidiane e dai nostri occhi e se nessuno sa raccontarci adeguatamente il legame tra la nostra vita di oggi e la loro vita di qualche tempo fa, non possiamo pensare che la cura e la conservazione del patrimonio culturale possa mai diventare una delle priorità nazionali (ad eccezione di pochi esperti e di chi da questi beni estrae valore per il proprio esercizio commerciale, alberghiero e di ristorazione).
I due temi affrontati negli articoli di questo numero, quali le politiche di accesso e di uso delle immagini di beni culturali in pubblico dominio, di Enrico Bertacchini e Federico Morando, e le passeggiate-racconto al museo, di Frida Morrone, rappresentano due aspetti del medesimo problema e ci fanno capire come possano (o potrebbero) essere praticabili strategie efficaci di diffusione e “godimento” del sapere. Progettare nuove forme di valorizzazione delle immagini conservate negli archivi informatici dei nostri musei non è certo facile, ma è una sfida che dovrebbe rivestire una posizione di vertice nelle priorità di un Ministero che ha puntato molto negli ultimi anni sulle politiche di ampliamento dell’accesso e di “svecchiamento” delle istituzioni museali (senza scegliere, però, di investire adeguatamente sulla loro autonomia effettiva).
Di certo non serve chiudere i propri forzieri e rendere indisponibili ai miliardi di utenti della rete web le riproduzioni delle opere; d’altra parte vanno trovate forme adeguate di remunerazione del proprio investimento conservativo. E su questo punto vengono proposte ipotesi di lavoro interessanti. Di tutt’altro genere, ma non meno suggestivo è il percorso di visita che unisce arti sceniche e la mediazione di un “racconta storie” per avvicinare grandi e piccini alla conoscenza di quanto esposto in un museo. Da quanto ci viene detto viene voglia di prenotarsi subito per godere di questa inusuale e sicuramente gradevole forma di apprendimento di quadri, sculture e ambienti, ricchi di storia e di valore.
Proviamo a chiudere gli occhi per un momento e pensiamo di vivere in un paese in cui merito e competenza vengano premiati… agli estensori di questi articoli dovrebbe essere data l’opportunità di collaborare da domani con gli organismi pubblici preposti a progettare e realizzare politiche culturali finalizzate a generare quel “contatto” mancante tra grande pubblico e patrimonio culturale che, solo, può garantire conoscenza e amore per le “testimonianze aventi valore di civiltà”, di cui si diceva all’inizio di questo editoriale.