Al cittadino medio del nostro paese non è certo mancata nell’arco della propria vita la frequentazione di uffici di servizi pubblici, come quello postale o anagrafico. Fatte salve le eccezioni e le negligenze che ciascuno di noi può sempre enumerare, nel corso di questi ultimi vent’anni si è assistito ad un netto miglioramento del comfort generale di accoglienza e gestione delle pratiche da espletare in questi uffici ed è ormai palese il fondamentale contributo che la tecnologia offre per una più efficace e veloce realizzazione delle operazioni richieste.
Possiamo dire lo stesso dei musei a noi prossimi, di quartiere o cittadini? Ma perché i musei sono forse per noi “servizi pubblici” con i quali abbiamo la medesima consuetudine degli uffici postali o di quelli anagrafici? Direi proprio di no. Per il cittadino medio italiano il museo è ancora un qualcosa di “altro”, un luogo in cui si conservano vestigia di un passato più o meno recente, in cui si va in visita scolastica o in occasione di “grandi mostre”, ma che difficilmente fa parte del nostro vissuto quotidiano.
La presenza di bar o di ristoranti presso molti musei ha un po’ modificato, nei casi in cui questi sono attivi, tale percezione, ma non credo si possa proprio parlare di consuetudine diffusa. Né possiamo dire che si abbia la percezione dei musei come servizio pubblico alla stregua degli altri, ovviamente con la particolare funzione loro assegnata.
Eppure, il cittadino medio, quando viene informato nelle forme opportune sulla propria memoria storica (anche familiare) ne rimane interessato e mostra, sempre mediamente, desiderio di apprenderne di più e di comunicare sensazioni e notizie personali su quanto gli viene narrato.
Esiste, dunque, ancora un sensibile scollamento tra vissuto quotidiano e musei ed è paradossale che questo accada in un paese come il nostro che di tale genere di servizi pubblici è ricco al punto che vengono da tutti i paesi del mondo per usufruirne.
Gli articoli di Valeria Minucciani e Laura Monzardo pongono alla nostra attenzione, con chiarezza espositiva e dati di fatto, due aspetti molto importanti della questione: l’uso delle tecnologie per svolgere la funzione educativa di queste istituzioni e la più elementare delle condizioni perché esse siano frequentate, ovvero l’accessibilità per tutti i cittadini, compresi i diversamente abili.
Sul primo punto è posta con forza l’attenzione al quesito fondamentale sul rapporto tra contenuto e strumento di comunicazione, laddove spesso si eccede ancora nella spettacolarizzazione di contenuti inesistenti o poco chiari e viene individuato come necessario un incontro dialettico tra storici e tecnologi ancora sostanzialmente debole.
Nel secondo articolo, sulla base di una dettagliata indagine di campo, vengono suggeriti alcuni semplici (e praticabili) accorgimenti che potrebbero rendere agevole la visita ai musei per tutti i cittadini del Veneto (ma il suggerimento può essere esteso a tutta Italia).
Entrambi gli approcci sono pienamente condivisibili e richiamano, però alla mente il quesito che si è posto all’inizio di queste righe. Negli ultimi vent’anni, per migliorare i servizi postali e quelli anagrafici nel nostro paese si è investito parecchio denaro e sono stati fatti interventi sostanziali sulle risorse umane loro assegnate. Quando si capirà che per i musei andrebbe adottata la medesima strategia? Dal cittadino medio non sono ancora avvertiti come “servizi pubblici di prossimità” ed è per questo che servirebbe una scelta politica di ampio respiro, che individui nell’investimento su questi servizi una risorsa essenziale per il benessere dei propri amministrati, in quanto luoghi in cui la memoria storica può essere realmente intesa e acquisita da tutti come strumento di coesione sociale e civile.