Introduzione
I centri italiani sono caratterizzati da tipologie costruttive molto disparate cha vanno dall’edificio monumentale costruito diversi secoli or sono, a costruzioni storiche anch’esse di qualche secolo, ma che costituiscono ancora oggi il nucleo di vita delle popolazioni con residenze e piccole attività, a costruzioni più recenti in muratura o in cemento armato, a volte anche rimaneggiate nel tempo con interventi privi di criterio.
Un panorama così ampio non può certo essere oggetto di un solo articolo ma può, nel suo insieme, essere la base per alcune riflessioni interessanti sulle modalità costruttive italiane e, soprattutto, sulle modalità di intervento di consolidamento sismico che si sono succedute negli anni e che dovranno essere adottate per migliorare il livello di sicurezza dei nostri edifici e del nostro patrimonio culturale.
Molte indicazioni sono fornite dagli effetti del terremoto de l’Aquila del 2009 e dalle analisi effettuate da Decanini L.D. et al. (2010, 2011), Sorrentino L. et al. (2011, 2012) e nell’ambito delle attività dell’Accordo istituzionale tra Comuni dell’area omogenea n. 9 e Sapienza Università di Roma per i piani di ricostruzione dell’area omogenea della neve, nell’ambito del quale il gruppo del Dipartimento di Ingegneria Strutturale e Geotecnica ha curato e coordinato il settore Strutture, storia, geologia e geotecnica sismica.
La scrittura di questo articolo è stata attraversata dal tragico evento del terremoto dell’Emilia del 20 maggio 2012; non si può perciò prescindere da una, seppur superficiale, analisi degli eventi appena verificatisi.
1. Rischio e sicurezza
L’Italia è un paese caratterizzato da elevata sismicità che si distribuisce sul territorio nazionale con diversi livelli di gravità. Le più recenti normative hanno preso atto della presenza di una pericolosità sismica diffusa che non risparmia zone che le precedenti classificazioni dichiaravano esenti da una probabilità di eventi sismici di un qualche rilievo. Questa circostanza ha accentuato la presenza sul territorio italiano di edifici, anche abbastanza recenti, che benché costruiti a norma di legge, non rispondono ai requisiti delle zone sismiche.
Un patrimonio edilizio secolare, l’assenza di criteri sismici nella progettazione in quanto non richiesti all’epoca, gli interventi di modifica architettonica senza le adeguate verifiche strutturali, sono alcuni dei fattori che rendono il patrimonio edilizio italiano a maggiore rischio sismico.
Giova ricordare la definizione di “rischio” come il prodotto tra Pericolosità, Vulnerabilità ed Esposizione (R = P x V x E), dove la Pericolosità misura la probabilità che un certo evento (ad es. il sisma) si verifichi in un determinato intervallo di tempo; la Vulnerabilità rappresenta le caratteristiche di resistenza dell’oggetto e, nel caso delle costruzioni, esprime la predisposizione della struttura ad essere danneggiata da un evento sismico; l’Esposizione indica il valore (non solo economico) del bene esposto, ivi comprese le vite umane. Nulla possiamo sulla Pericolosità, dettata dalla naturale evoluzione della crosta terrestre, poco sulla Esposizione, molto possiamo e dobbiamo fare per la Vulnerabilità.
Molto si deve fare anche sulla percezione del rischio sismico. In occasione di eventi tragici come quelli dell’Aquila del 2009 e quello recentissimo dell’Emilia Romagna, ogni cittadino (non colpito direttamente dall’evento) sente più vivo il pericolo che incombe sul proprio territorio e il rischio che può correre; bastano pochi giorni perché si assuefi all’evento e alzi nuovamente il proprio livello accettabile di rischio; il fenomeno è noto scientificamente come omeostasi (Pasca M., Cecchini B.M. 2010). E’ pertanto importante, senza far vivere i cittadini nel terrore, far capire che una norma che richieda che, in caso di ristrutturazione di un immobile, anche in piccola parte, sia effettuata una verifica sismica ed un adeguamento di tutto il complesso edilizio interessato, non significa aggiungere fardelli burocratici alla libera iniziativa edilizia ma cercare di tutelare i medesimi cittadini dagli eventi futuri non potendo, ovviamente, obbligare gli stessi ad interventi sull’intero patrimonio edilizio nazionale.
2. Il costruito italiano
Escludendo gli edifici monumentali, la presente analisi si focalizza su due tipologie costruttive fortemente presenti nei piccoli centri italiani, seppure declinati con caratteristiche molto differenziate: edifici in muratura ed edifici in cemento armato con tamponature in muratura.
Con riferimento al censimento del 2001, su un totale di 27.291.993 abitazioni (corrispondenti a 11.226.595 edifici), più del 60% risulta essere stato costruito prima del 1971 (vedi Figura 1). La distribuzione è abbastanza omogenea sul territorio nazionale, con una punta superiore all’80% in Liguria, seguita da Piemonte e Toscana ed un minimo intorno al 50% in Sardegna.
Questo semplice dato fornisce una chiara misura della vetustà del patrimonio residenziale italiano e della scarsa adeguatezza ai moderni requisiti di progettazione antisismica.
A questo, si aggiunga la variazione di zonizzazione sismica (e conseguente applicazione di norme progettuali adeguate) che ha subito il territorio italiano negli ultimi anni (vedi Figura 2). Si può dire che, nonostante le prime normative sismiche italiane risalgono all’inizio del XX secolo, solo nel 1984 si è avuta una classificazione del territorio italiano con criteri abbastanza omogenei. Ciò implica che costruzioni fino a tutto il 2003, localizzate in quei Comuni che non erano dichiarati zona sismica non rispondono alle normative costruttive di settore. Con le nuove Norme Tecniche delle Costruzioni (Decreto 14/01/2008 del Ministero delle Infrastrutture), la valutazione delle azioni non si basa più su una classificazione legata al confine amministrativo del Comune, ma dipende dalla valutazione della pericolosità sismica definita sulla base di parametri legati, tra l’altro, alla natura della zona, del sottosuolo e del suolo in esame.
Fortunatamente, quanto sopra non significa che, a seguito di un terremoto, tutto il nostro patrimonio edilizio non sia in grado di resistere in quanto, le buone regole del costruire sono state applicate sin dall’antichità, se intorno al 185 a.C. si scriveva “[Come] la travatura ben connessa che stringe le mura non si scompagina se c’è terremoto, così un cuore saldo nella decisione ben maturata non si scoraggia nel momento critico.” (Ben Sirach, Ecclesiaste, cap. 22, ver. 16).
Per quanto riguarda la tipologia costruttiva, il censimento del 2001 ci dice che il patrimonio italiano è costituito da 6.903.982 edifici in muratura in laterizio (61,50%), 2.768.205 in calcestruzzo armato (24,66%) e 1.554.408 con altre caratteristiche.
2.1 Edifici in muratura
Una classificazione semplice ma efficace degli edifici in muratura portante è quella proposta da Pagano (1969) e ripresa da Boscolo Bielo (2012):
I.Edifici interamente in muratura con orizzontamenti costituiti da volte:
sono tipologie costruttive storiche nelle quali l’organizzazione strutturale (fondazioni, elementi verticali, orizzontamenti) è realizzata con elementi lapidei o in laterizio di diversa forma e diversamente legati; i tetti sono generalmente costituiti con capriate in legno; gli orizzontamenti funzionano principalmente con il principio dell’arco e/o della volta. Le aperture sono generalmente caratterizzate da un elemento superiore di arco di scarico o piattabanda.
La struttura costruttiva, insieme ai mutamenti e degradi subiti negli anni, comportano una scarsa resistenza a trazione e un comportamento a elementi separati con possibilità di rotture locali in seguito a eventi sismici.
La Figura 3, relativa al recente danneggiamento in occasione del terremoto del 20 maggio 2012 in Emilia, mostra un chiaro esempio di muratura di facciata completamente scollegata dalla struttura degli orizzontamenti e del tetto sostenuti dai muri portanti laterali. La mancanza di un ammorsamento tra la volta e le capriate in legno e la facciata ha, con molta probabilità, determinato il crollo della parete.
II.Edifici con ritti in muratura e orizzontamenti costituiti da solai la cui orditura principale è composta da travi isostatiche in legno o ferro:
sono tipologie costruttive comunque storiche, con una distribuzione dei carichi dei solai di tipo monodirezionale, generalmente del tipo travi appoggiate sui muri maestri, a volte con presenza di un rompi tratta trasversale che esercita un carico pressoché concentrato sui muri trasversali. Aspetti peculiari per una valutazione del comportamento di tali strutture sono la differenziazione tra i materiali costituenti elevazione e orizzontamenti, l’ammorsamento delle travi nei muri portanti e la loro capacità di trasferire le forze orizzontali agli elementi in elevazione, la rigidezza dell’orizzontamento, la presenza di eventuali riseghe nei muri portanti che possano diminuirne le spessore resistente sia in elevazione che localmente.
III.Edifici con ritti in muratura e orizzontamenti costituiti da solai ammorsati in un cordolo perimetrale in calcestruzzo armato:
costituiscono la tipologia più diffusa per quanto riguarda gli edifici in muratura di recente costruzione, anche in conseguenza del fatto che molte normative tecniche hanno reso obbligatoria la realizzazione di una cordolatura in c.a. a livello dei solai, per lo più realizzati in latero-cemento con soletta in c.a.; l’effetto principale di tali cordolature, se effettuate con continuità sul perimetro di piano, è un effetto di cerchiatura della muratura, oltre a quelli di maggiore collegamento degli orizzontamenti con le pareti verticali, di distribuzione di eventuali carichi localizzati e di diminuzione dell’altezza libera di inflessione del paramento murario. L’effetto dei solai in latero-cemento, sotto alcune condizioni esecutive, nel merito delle quali non si entra in questa sede, è quello di un collegamento rigido che funge da ripartitore delle forze orizzontali dovute al sisma sugli elementi verticali; in assenza di forti asimmetrie, il concetto di solaio rigido ha portato a concentrare l’attenzione sulle forze agenti nel piano della muratura piuttosto che sugli effetti ortogonali alle stesse.
Le tre categorie sopra descritte sono caratterizzate da comportamenti meccanici e resistivi molto diversi non solo tra le categorie evidenziate ma anche all’interno di ciascuna di esse.
Modellazioni cinematiche sempre più avanzate e, soprattutto, l’osservazione di danni provocati dai più recenti terremoti, hanno evidenziato alcune peculiarità di comportamento che hanno in qualche modo cambiato e dovranno cambiare sempre più l’approccio al calcolo e all’adeguamento sismico delle costruzioni in muratura.
In particolare, al contrario di quanto accade in edifici con telaio di cemento armato o acciaio, gli edifici di muratura ordinaria raramente hanno subito collassi completi durante i sismi italiani. Molto più frequenti sono i meccanismi locali di collasso che, se la muratura è opportunamente ingranata, mostrano collassi per perdita di equilibrio. Il ribaltamento delle facciate costituisce una delle conseguenze più pericolose di un terremoto in Italia. La Figura 4 mostra un caso emblematico nel quale le pareti portanti, pur con rotture significative, non hanno subito il collasso, mentre sono completamente collassate le pareti ortogonali; la presenza di una catena di collegamento, visibile sia in facciata che nella vista (a) appena sotto la trave, ha contribuito, insieme al solaio di copertura a legare le due pareti, non potendo però nulla rispetto all’effetto del moto ortogonale alle altre due pareti.
Infatti, mentre le azioni nel piano della muratura provocano danneggiamenti per azioni di taglio (le classiche rotture a X, vedi Figura 5) che sono contrastate da una resistenza per materiale e forma della parete, le azioni perpendicolari al piano incontrano minore resistenza, soprattutto nel caso di murature, sia in pietra che in laterizio, scarsamente ingranate e/o legate anche per qualità ed invecchiamento delle malte. Si verificano pertanto meccanismi locali di rottura nelle pareti murarie prevalentemente per azioni perpendicolari al loro piano e, nel caso di sistemi ad arco, anche per azioni nel piano. Le conseguenze di un collasso fuori del piano sono in genere più pericolose di quelle associate a una crisi nel piano, poiché comportano la perdita di capacità portante.
I meccanismi locali di rottura sono di diversa natura, ma i principali possono essere individuati nella disgregazione della muratura (vedi Figura 6) e nella flessione verticale della parete muraria che può essere considerata come un elemento monolitico tra due vincoli alle estremità inferiore e superiore (vedi Figura 7)
Come si dirà nel seguito per le strutture in c.a., un fattore importante per una adeguata risposta degli edifici al sisma è la regolarità sia in pianta che in altezza. Nel recentissimo caso del Municipio di Sant’Agostino (Figura 8), ad una prima osservazione si evidenzia l’assenza del solaio tra il primo ed il secondo piano in corrispondenza del crollo della facciata, avvenuto in due tempi.
2.2 Edifici in cemento armato con tamponature in muratura
Gli edifici con struttura in cemento armato caratterizzano il patrimonio costruttivo italiano degli ultimi 50 anni e sono diffusi su tutto il territorio nazionale anche nei piccoli centri. A seconda della localizzazione dell’edificio e del periodo di costruzione, questo potrà essere stato costruito in ottemperanza a norme sismiche all’epoca vigenti, che, nel tempo, hanno migliorato il grado di analisi e diminuito la vulnerabilità degli edifici stessi. Come già evidenziato, l’evoluzione della valutazione della pericolosità sismica delle zone del territorio italiano negli anni può comportare, per edifici non recenti, il rischio di essere soggetti ad una azione sismica più alta di quanto atteso in fase di progettazione. Nel caso del terremoto dell’Aquila, l’analisi dei danneggiamenti ha evidenziato (Oliveto et al., 2011) la elevata vulnerabilità sismica degli edifici colpiti, nonostante le azioni sismiche associate alle registrazioni più significative per l’area centrale dell’Aquila siano risultate confrontabili con quelle previste per la zona dalle normative che dovevano applicarsi all’epoca di costruzione. Le carenze che hanno maggiormente influenzato la risposta sismica degli edifici e che possono essere prese a riferimento per l’analisi di altre situazioni, sono state individuate in:
– configurazione della struttura inadeguata all’articolazione dell’edificio;
– disposizione degli elementi non strutturali inadeguata alle caratteristiche della struttura (piano “soffice”);
– presenza di telai in una sola direzione;
– presenza di travi “forti” e pilastri “deboli”;
– presenza di pilastri tozzi;
– particolari costruttivi inadeguati: staffatura di pilastri e nodi, lunghezza di ancoraggio e sovrapposizione delle armature;
– insufficiente qualità del calcestruzzo, sia in termini di resistenza sia in termini di getto (ad es.: segregazione, giunti, effetto di capillarità);
– elementi non strutturali a rischio di collasso, anche solo locale.
In questa sede, si vogliono soprattutto evidenziare quegli aspetti che coinvolgono la progettazione e/o adeguamento di un edificio in senso multidisciplinare, lasciando ad altre trattazioni, più specialistiche, l’analisi di quegli aspetti più propriamente strutturali e costruttivi di dettaglio che, comunque, possono avere molta parte nel danneggiamento o collasso di un edificio in caso di sisma.
La notevole influenza della regolarità della geometria e della distribuzione delle masse di un edificio, indipendentemente dal materiale utilizzato, sulla risposta sismica delle costruzioni è ormai ampiamente riconosciuta, tant’è vero che le più importanti normative nel mondo considerano esplicitamente gli effetti legati alla regolarità/irregolarità dovuta sia alla configurazione strutturale che alla sfavorevole disposizione di elementi non strutturali. La regolarità (da analizzarsi sia in pianta che in altezza) è legata ad una serie di fattori diversi che possono essere individuati in semplicità, simmetria, compattezza, distribuzione delle resistenze e rigidezze, distribuzione degli elementi strutturali e distribuzione degli elementi non strutturali.
I casi di piano aperto e presenza di telai in una sola direzione sono tra le possibili cause di irregolarità, insieme a, per esempio, configurazioni in pianta non compatte e non simmetriche e posizioni asimmetriche di vani scala e ascensori.
La presenza di telai in una sola direzione è tipica degli edifici progettati per soli carichi verticali (come richiesto nel caso di non presenza di zona sismica) ed è legata alla tessitura mono-direzionale dei solai; nei telai su cui non poggia direttamente il solaio possono essere presenti travi a spessore, ma in alcuni casi le travi trasversali sono assenti. Si configura pertanto una situazione in cui nella direzione parallela alla tessitura dei solai, la resistenza alle azioni sismiche orizzontali è molto ridotta o assente.
Un’altra caratteristica atta ad indebolire la resistenza al sisma di un edificio è la presenza di un piano aperto o debole, quale si configura nel caso di piani pilotis di piano terra. Tali condizioni si verificano sia in progettazione che successivamente, per nuove esigenze funzionali e ristrutturazioni successive. In questi casi è molto importante analizzare le modifiche architettoniche che si eseguono non solo in termini strutturali di resistenza ai carichi verticali, ma anche e soprattutto di un doppio effetto, di spostamento delle masse e di indebolimento della resistenza trasversale per assenza, parziale o totale, di tamponature. L’assenza dei pannelli di tamponamento al piano terra è stata causa di molti collassi in occasione di diversi eventi sismici negli ultimi 40 anni (San Salvador 1986, Atene 1999, L’Aquila 2009). La Figura 9 mostra un caso verificatosi in occasione del terremoto de L’Aquila del 2009 per il quale è evidente come la presenza di un piano aperto abbia costituito l’elemento di debolezza della struttura con conseguente crollo dell’ala da questo sostenuto e il collasso della tamponatura al medesimo livello nel blocco contiguo, con danni pressoché irrilevanti nel resto dell’edificio sia ai piani bassi che ai piani superiori. Effetto analogo si è avuto nell’edificio di Figura 10 per il piano terra.
Effetto negativo può essere provocato anche dalla presenza di pilastri “tozzi”, ovvero di pilastri aventi una lunghezza libera di inflessione ridotta dalla presenza di tamponatura solo per una fascia (vedi Figura 11); la presenza di tamponatura per una altezza limitata opera da contrasto dove è presente, sottoponendo a sforzi di taglio concentrati nel breve tratto libero il pilastro, in genere non verificato né armato per tale tipo di sollecitazione.
Un caso molto particolare di irregolarità è quello dell’edificio de L’Aquila (Figura 12), caratterizzato da una configurazione a gradoni, una volumetria molto articolata e un piano terra completamente aperto. Anche strutturalmente, l’edificio era caratterizzato da una struttura non regolare, costituita da telai piani disposti nella direzione trasversale in corrispondenza dei primi quattro piani e telai disposti in direzione longitudinale in corrispondenza dei piani superiori. Secondo il progetto, i telai paralleli dovevano essere collegati tra loro da travi a spessore disposte ortogonalmente ai piani dei telai stessi, ma di tali travi non è stata trovata traccia nei sopralluoghi eseguiti sull’edificio. (Oliveto et al., 2011).
2.3 Aggregati edilizi
Un problema molto frequente nei centri storici, spesso sottovalutato, è la impossibilità di individuare una unità strutturale ben definita nell’ambito di quello che viene definito l’aggregato edilizio. Quasi il 50% degli edifici italiani sono contigui almeno su un lato; tale percentuale è di gran lunga maggiore nel caso di centri storici, caratterizzati molto spesso da uno sviluppo continuo del fronte edificato lungo la viabilità principale realizzato per lo più con edifici costruiti indipendentemente, anche con quote diverse tra loro. Si va così a costituire “un insieme di parti che sono il risultato di una genesi articolata e non unitaria, dovuta a molteplici fattori (sequenza costruttiva, cambio di materiali, mutate esigenze, avvicendarsi dei proprietari, etc.)” (Circolare del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici del 2009, par. C8A.3).
Le conseguenze più evidenti si riscontrano in un comportamento meccanico complesso e differenziato per parti, spesso non facilmente individuabile anche con analisi raffinate; interventi di “adeguamento sismico” su singole unità immobiliari, non sempre altresì coincidenti con le unità strutturali, possono risultare pericolosi per il comportamento dell’aggregato nel suo insieme o di sue singole parti. La Figura 13 mostra un esempio di interazione tra edifici adiacenti aventi caratteristiche geometriche e strutturali fortemente differenti; i danneggiamenti si sono concentrati in corrispondenza del piano dell’edificio più alto parzialmente confinato dall’edificio più basso.
Gli interventi strutturali su edifici esistenti
I possibili interventi strutturali su edifici esistenti sono normalmente classificati (si vedano le Nuove Norme Tecniche delle Costruzioni, 2008) in:
a) interventi di adeguamento atti a conseguire livelli di sicurezza fissati;
b) interventi di miglioramento atti ad aumentare la sicurezza strutturale esistente;
c) riparazioni o interventi locali che interessino elementi isolati, e che comunque comportino un miglioramento delle condizioni di sicurezza preesistenti.
A questi vanno aggiunti quegli interventi non dichiaratamente strutturali (quali impianti, redistribuzione degli spazi, etc.) che possono comunque provocare variazioni significative del comportamento strutturale in caso di sisma (e non solo) per i quali le NTC, giustamente richiedono adeguate verifiche.
In genere tali interventi sono effettuati (e obbligatori) in occasione di ristrutturazioni “significative” delle unità abitative, quali sopraelevazioni, ampliamenti mediante opere strutturalmente connesse alla costruzione esistente, variazioni di destinazioni d’uso che comportino un incremento dei carichi superiore al 10% in fondazione, interventi strutturali che portino ad un organismo edilizio diverso dal precedente. La scelta del tipo di intervento (di livello di sicurezza raggiungibile decrescente) dipende dal singolo caso in esame. E’ altresì molto differente la valutazione nel caso di risanamento di un edificio danneggiato a seguito di un sisma.
Senza entrare nel merito tecnico dei singoli interventi, si possono individuare alcuni criteri di carattere generale che debbono essere tenuti a guida, sia negli interventi su edifici esistenti che nelle nuove costruzioni, al fine di ottenere una configurazione resistente al sisma. La loro applicazione deve essere naturalmente commisurata alla sismicità del sito e alle specifiche caratteristiche del progetto.
Innanzitutto, l’edificio deve resistere a sollecitazioni sismiche dirette secondo due direzioni ortogonali in pianta, rappresentazione della generica direzione del terremoto e costituire un meccanismo atto a sopportare efficacemente le torsioni; questo porta come prima conseguenza la ricerca di quella “regolarità” dell’edificio di cui si è trattato al par. 2.2. La configurazione di un edificio è pertanto molto importante, perché, ad un livello molto concettuale, anche prima che si inizi un’analisi strutturale, il progettista prende delle decisioni che hanno grande rilevanza sulle successive analisi ingegneristiche e sul progetto dei dettagli; nel 1876, l’ingegnere strutturista William Holmes scriveva “È stato riconosciuto da lungo tempo che la configurazione e la semplicità del sistema resistente al sisma di una struttura è altrettanto, se non più, importante dell’effettivo progetto nei confronti delle forze orizzontali.”. Questo non significa che si debbano costruire esclusivamente parallelepipedi regolari, bensì una attenzione ad evitare irregolarità e discontinuità superflue che possano creare punti deboli innescando meccanismi di collasso localizzati, coordinando la progettazione architettonica con il disegno strutturale. Tale criterio, sicuramente applicabile in sede di nuova realizzazione, può e deve guidare quelle modifiche, in positivo e negativo, che vengono normalmente effettuate su edifici esistenti per intervenute esigenze funzionali e/o di abbellimento (superfetazioni, ampliamenti, abbattimenti di murature, portanti e non, creazione di nuove aperture, etc.).
Nel caso di interventi su edifici esistenti è importante tener in considerazione che quando l’organizzazione dell’edificio, sia nel suo complesso sia nei dettagli, è tale che le forze sismiche inducono tensioni non sopportabili dai materiali e dalle connessioni, si ha la rottura; la configurazione strutturale, i particolari costruttivi ed anche l’uso stesso dell’edificio sono fattori intercorrelati ai fini di una adeguata capacità di risposta dell’edificio al sisma.
Da un punto di vista più tecnico, nel caso di edifici in c.a., regole base sono:
– evitare cambiamenti bruschi di rigidezza e resistenza in elevazione e pianta (ad es.: “piano soffice” – piano pilotis);
– evitare elementi strutturali corti: colonne e travi tozze;
– i pilastri devono essere più forti delle travi, affinché la rottura nelle travi preceda quella nei pilastri; in questo modo si evitano i collassi di un piano sull’altro;
– effettuare un uso intelligente dell’effetto benefico delle tamponature (evitando per quanto possibile la discontinuità delle resistenze).
Con riferimento all’ultimo punto, la tamponatura, se correttamente valutata e realizzata, può costituire un elemento positivo nei confronti della risposta di un edificio al sisma contribuendo, anche attraverso il suo danneggiamento, a dissipare una parte dell’energia della scossa e a ridurre le sollecitazioni sulla struttura. Viceversa, sono frequenti collassi della tamponatura fuori del suo piano a causa di uno scarso collegamento struttura – elementi complementari.
Nel caso invece di edifici esistenti in muratura, soprattutto storica, e ancor più nel caso del patrimonio monumentale, è necessario:
– riconoscere il linguaggio architettonico e meccanico delle costruzioni murarie;
– evitare incompatibilità meccaniche, fisiche, chimiche;
– mirare ad un intervento minimo, contemperando sicurezza e conservazione;
– valutare l’interazione dell’edificio in esame all’interno dell’aggregato edilizio, se presente.
Prima di qualsiasi intervento, sia in seguito ad un sisma che non, è indispensabile effettuare un rilevamento delle eventuali carenze strutturali; a tal fine possono essere di utile supporto alcuni documenti predisposti a seguito dei più recenti terremoti (Umbria Marche 1997, Molise 2002) (vedi bibliografia) a supporto delle rilevazioni delle caratteristiche degli edifici, anche attraverso abachi, ad es. delle murature, e dei danni post sisma; a questi si aggiunge, per gli edifici in muratura il Manuale predisposto dalla Regione Toscana, il quale fornisce elementi per una classificazione delle murature e delle carenze.
A seconda delle carenze riscontrate e del progetto architettonico-funzionale sarà valutato il livello e la tipologia di interventi strutturali e non atti a migliorare il livello di sicurezza dell’edificio. In tale ottica, interventi di consolidamento possono essere costituiti da irrigidimento dei solai, eliminazione o riduzione delle spinte, soprattutto delle coperture attraverso, ad es. l’utilizzo di catene, riduzione delle carenze dei collegamenti (tiranti metallici, cerchiature, introduzione di elementi armati di rinforzo, cordoli, etc.), ripristino della “regolarità” geometrica e di masse, incremento di resistenza delle pareti murarie (iniezioni, interventi di “scuci e cuci”, tiranti, placcaggio con rete elettrosaldata e malta cementizia, etc.), interventi su pilastri e/o colonne, cerchiatura di fori, e molto altro.
Un esempio di intervento di adeguamento sismico che negli anni passati è stato considerato quasi obbligatorio nel caso di lavori su edifici in muratura esistenti è l’introduzione di cordoli in c.a. a coronamento dei piani e di collegamento con i solai. Le recenti esperienze del terremoto dell’Abruzzo 2009 hanno dimostrato come tale intervento debba essere progettato con accortezza e la sua validità dipenda fortemente dalle condizioni e caratteristiche meccaniche della muratura sulla quale si va ad intervenire. La Figura 14 mostra un esempio di crollo della muratura di facciata in corrispondenza del cordolo del tetto e del cordolo di interpiano, causato da una eccessiva rigidezza del cordolo rispetto alla muratura.
Di estremo interesse sono le analisi effettuate da Sorrentino et al. (2012) su diverse tipologie di interventi storici effettuati su edifici in muratura in Abruzzo che hanno evidenziato gli effetti di alcuni di essi, ad es. incatenamenti metallici e lignei a seconda delle modalità di realizzazione; alcuni interventi premoderni, quali il radicamento ligneo (Figura 15) o l’inserimento di catene lignee nel volume murario, sono stati causa loro stessi di meccanismi di collasso avendo indebolito la struttura muraria stessa.
A titolo di esempio di buon intervento si riportano in Figura 16 le immagini di una torre campanaria che grazie alla cerchiatura della muratura ha resistito al sima del 2009 nonostante abbia subito forti danni locali.
Conclusioni
La capacità che una struttura possiede per opporsi in maniera soddisfacente ai terremoti molto violenti dipende in modo determinante dalla scelta di un’appropriata morfologia architettonica e dall’ efficienza della conseguente configurazione del sistema resistente.
Il patrimonio costruttivo italiano è molto variegato e richiede una particolare attenzione, soprattutto con riferimento all’edilizia meno recente.
Gli interventi finalizzati al miglioramento della risposta sismica degli edifici richiedono una analisi non esclusivamente strutturale e coinvolgono diversi aspetti dell’edificio stesso. Elementi non strutturali quali la distribuzione dei vuoti e dei pieni e delle tamponature modificano, anche sostanzialmente, il comportamento dell’edificio rispetto a quello della struttura nuda.
Le normative e la scienza hanno fatto molti passi avanti per migliorare il livello di tutela con tipologie di interventi meno invasivi del passato, dei quali si sono dati solo alcuni accenni in questa sede.
Bibliografia
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Oliveto, G., Liberatore, L., Decanini, L.D. (2011), “Evoluzione storica della normativa sismica italiana alla luce degli effetti causati dal terremoto dell’Aquila del 2009”, XVI Conferenza ANIDIS “L’Ingegneria Sismica in Italia”, Bari 18-22 settembre 2011
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