1. Introduzione
Start-up. Sembra questa la parola d’ordine degli ultimi dibattiti in tema di occupazione giovanile e rilancio dell’economia italiana, tanto che durante il mese di dicembre dell’anno scorso è stato emanato il decreto legge 179/2012 che cerca di porre le basi per una regolamentazione e per una serie di incentivi per lo sviluppo delle giovani start-up. In tale contesto, il discorso si complica ulteriormente quando si parla di start-up culturali e creative. Darne una definizione specifica sembra un’ardua impresa dal momento che gli stessi termini “culturale” e “creativo” non sono riassumibili in una rigida identificazione concettuale. Nello stesso decreto questo tipo di realtà viene inserito nelle cosiddette start-up a vocazione “sociale” nelle quali rientra una gamma eterogenea di ambiti: dalla ricerca scientifica all’assistenza socio-sanitaria, dalla tutela dell’ambiente al turismo sociale, dalla formazione postuniversitaria alla valorizzazione del patrimonio culturale e alla erogazione di servizi culturali.
In questo modo c’è il rischio che le start-up culturali e creative vengano sostenute nel modo sbagliato o in maniera inefficiente quando invece di cultura si mangia contrariamente a quanto detto dal Ministro Tremonti. Dal rapporto 2012 di Unioncamere, L’Italia che verrà, industrie culturali, made in Italy e territori, emerge che la cultura nel 2011 ha prodotto un valore aggiunto di 76 miliardi di euro pari al 54% del totale dell’economia. Anche a livello Europeo, da uno studio condotto da KEA, viene indicato che la cultura contribuisce per il 2.6% al PIL dell’UE. Nonostante la grande attenzione posta nei confronti della cultura e delle start-up non esiste ad oggi uno studio accurato sulle criticità e difficoltà incontrate dagli start upper culturali e creativi né delle iniziative mirate allo sviluppo di queste particolari realtà imprenditoriali.
2. Obiettivi e metodologia
L’obiettivo del presente contributo è di identificare e comprendere gli elementi critici che le start-up del settore culturale e creativo devono affrontare in Italia. Tale indagine conoscitiva si basa sulla partecipazione attiva a uno dei più importanti eventi nel settore del management culturale – DNA Italia – e sull’utilizzo di un questionario inviato a più di 50 start – up e operatori culturali in Italia. Inoltre le ricerche empiriche hanno riguardato lo studio e l’analisi di diversi rapporti e contributi sulle tematiche trattate. I principali risultati a cui l’indagine è giunta risultano essere le difficoltà nell’accesso alle risorse finanziarie, la mancanza di capacità manageriali e imprenditoriali e la scarsa abilità a costruire un network.
3. Il fenomeno delle start-up in Italia
Il termine start-up, in termini strettamente economici, indica il periodo e la fase iniziale in cui qualcuno decide di avviare una nuova attività imprenditoriale. In realtà si tratta di un fenomeno molto più complesso. Infatti la parola start-up viene utilizzata per indicare non solo l’avvio di un’impresa ma anche tutte le azioni che hanno come scopo lo sviluppo, la produzione e la vendita di un bene o di un servizio che sono il risultato di un lavoro di ricerca o che coinvolgono un alto livello di innovazione. In Italia, l’interesse per l’argomento è esploso negli ultimi due anni, coinvolgendo non solo il mondo accademico ma anche i legislatori.
Una task force voluta dal precedente Ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, ha realizzato nel settembre del 2012 un report (“Restart, Italy! Perché dobbiamo ricominciare partendo dai giovani, dall’innovazione e da nuove imprese”) che ha contribuito a dare una precisa definizione di “start-up” e ha posto le basi per una nuova regolamentazione. La legge approvata dal Parlamento Italiano, (L.179/2012), ha come obiettivo quello di promuovere la crescita sostenibile dell’occupazione giovanile, dello sviluppo tecnologico nonché di diffondere una nuova cultura imprenditoriale e la creazione di un ecosistema per l’innovazione.
Oltre all’intervento del legislatore, la maggior parte delle informazioni sulle start – up italiane proviene dai blog degli start-uppers e dai siti web sugli incubatori e acceleratori d’impresa. La ricerca “Start-up in Italy: facts and trends” condotta da Mind the Bridge (2012) offre un quadro aggiornato dell’ecosistema delle start – up italiane. Dal momento che non esistono dati ufficiali sul fenomeno, è difficile dare un’esatta quantificazione delle sue dimensioni; pertanto Mind the Bridge ha stimato che le reti di venture capitals e i business angeles raggruppati intorno al VC Hub, il gruppo informale che riunisce i principali investitori italiani, ricevono circa 800/1000 richieste l’anno di finanziamento da parte di soggetti interessati a far nascere una start-up.
E’ più difficile analizzare la consistenza totale del fenomeno dato il suo elevato dinamismo. A questo proposito, una proxy può essere identificata nella dimensione ricercata attraverso le social communities specializzate in questi argomenti. Il volume attuale di start-up in Italia può essere ragionevolmente stimato in un numero tra 3.000 e 8.000 imprese. Mind the Bridge ha condotto un’analisi attraverso il Seed Quest 2012 (una selezione di business plans che ha come obiettivo quello di identificare le idee italiane più promettenti e innovative) sui progetti di impresa e di business. Il campione di ricerca è rappresentato da 166 compagnie e da 369 imprenditori. L’analisi, dato l’alto numero di partecipanti, offre una buona stima del sistema delle start-up italiane, in particolare di quelle che si trovano nella loro “early stage”, cioè le nuove imprese che stanno cercando i loro primi finanziamenti. Da questa analisi emerge che la maggior parte delle start-up italiane operano nei seguenti settori: web (49%) e ICT (21%), prodotti di consumo (4.8%), macchine e componenti elettronici (3.6%), tecnologie pulite (1.2 %), biotech e life sciences (0.6%); il rimanente 19% delle imprese operano in altre aeree di attività, principalmente nel settore terziario.
Per quanto riguarda le modalità finanziamento maggiormente utilizzate dalle start-up italiane, la più diffusa (58%) sembra essere il bootstrapping (il capitale raccolto dai fondatori attraverso risorse proprie o attraverso risorse della propria famiglia e amici); l’8% ha accesso ai grants (prestiti per supportare le attività di ricerca), mentre il 6% dei finanziamenti proviene dalle banche e dalle fondazioni; un 6% addizionale delle start-up è stato finanziato da altre imprese; il 16% ha trovato le risorse in investimenti equity messi a disposizione da investitori esterni, la maggior parte angeles (8%) e seed funds (7%), mentre una piccolissima parte ha avuto accesso al venture capital (1.2%).
4. Le start-up culturali e creative. Il caso DNA Italia
Le start – up operanti nel settore culturale e creativo sono piuttosto eterogenee giacché includono diverse entità, condividendo lo stesso desiderio di usare la cultura come un veicolo per creare nuovi modelli di sviluppo economico. Le start-up culturali e creative concorrono a implementare processi di innovazione sociale, poiché la cultura e la creatività possono generare effetti multipli sugli individui così come sulla comunità. Per comprendere meglio questo fenomeno abbiamo deciso di partecipare all’evento “DNA – Incontra la Filiera della Cultura”, tenutosi a Torino il 18 e 19 aprile 2013. Lo scopo di tale evento è stato quello di coinvolgere tutti gli stakeholder su sei aree tematiche chiave del settore: la riqualificazione degli edifici; la ristrutturazione e conservazione del patrimonio culturale; le tecnologie per il miglioramento del patrimonio culturale; i paesaggi naturali e urbani; la creatività e il design; il turismo e le attività culturali. I temi sono stati affrontati attraverso conferenze, discussioni, sessioni tecniche, workshop, presentazioni di imprese.
La partecipazione a tale incontro ha reso possibile una migliore comprensione dei problemi e delle necessità di tutte le imprese e start-up operanti nel settore culturale e creativo, che è possibile sintetizzare nel modo seguente:
– Gap esistente tra le istituzioni e le industrie creative: le istituzioni spesso falliscono nell’individuare le necessità delle start-up operanti nel settore;
– Problemi nel determinare l’impatto economico delle imprese culturali e creative, poiché erogano servizi senza produrre o vendere prodotti. Questo elemento porta spesso a incontrare difficoltà nell’ottenere fonti di finanziamento;
– Eccessivi oneri fiscali: in Italia l’imposizione fiscale è al 70%;
– Mancanza di capacità manageriali;
– Mancanza di capacità di fare network;
– Eccessivi vincoli burocratici e normativi;
– Difficoltà nella creazione di partnership con le istituzioni;
– Difficoltà nel reperire professionisti già formati e con maturate competenze;
– Mancanza di conoscenza su come accedere ai bandi di finanziamento nazionali ed europei;
– Mancanza di un solido modello di business: è necessario che le start-up abbiano un’idea di business rispondente ai concreti bisogni del mercato nel quale operano; tale idea dovrebbe essere economicamente sostenibile.
5. Il questionario. Le evidenze empiriche
A partire dalle riflessioni sulle tematiche relative alle principali criticità delle start-up culturali e creative, si è cercato di trovare conferma alle ipotesi formulate attraverso l’analisi delle risposte fornite a un questionario, inviato a un panel di più di 50 realtà imprenditoriali. Nella redazione del questionario è stato preso come riferimento un report dell’Unione Europea, commissionato dalla Education, Audiovisual and Culture Executive Agency dell’UE in collaborazione con la Utrecht School of the Arts (HKU) e con il supporto di K2M e EUROKLEIS. Il questionario somministrato è composto da tredici domande a risposta multipla divise in tre parti:
1. Fattori imprenditoriali;
2. Accesso alle risorse finanziarie;
3. Difficoltà delle industrie culturali e creative.
Circa il 20% degli intervistati ha risposto. Alcune delle persone contattate hanno rifiutato di rispondere al questionario spiegando di non essere in grado di comprendere il linguaggio economico/manageriale utilizzato; altri invece hanno affermato che a causa delle piccole dimensioni della loro organizzazione e/o a causa della mancanza di personale non hanno avuto tempo da dedicare al questionario.
I risultati della nostra indagine, attraverso le risposte dei nostri intervistati, hanno confermato le ipotesi teorizzate sintetizzabili nel modo seguente:
Esiste un grande gap culturale tra istituzioni e imprese creative
“Molto spesso non sono i soldi a mancare ma ciò che davvero manca è la presenza delle istituzioni. C’è un problema di sistema. Le istituzioni dovrebbero chiedere alle start-up quali sono le loro esigenze (Maria Grazia Andali, uno dei fondatori di Formabilio).
Mancanza di competenze manageriali
Nel senso di “[…] tradurre in realtà le idee e di gestire il progetto nel lungo periodo” come ha affermato Giancarlo Sciascia della Fondazione Ahref, nel corso di una giornata dell’educational di The Next Stop tenutesi a Roma (maggio 2013): “Le competenze mancanti in ambito culturale sono la progettualità, la capacità di rendere le cose in maniera analitica.” Tale criticità è stata riscontrata anche dalle risposte degli intervistati, i quali hanno lamentato in particolare la mancanza di capacità di marketing. Molto spesso, infatti, le start-up culturali/creative sono gestite da persone provenienti dal mondo dell’arte con un background esclusivamente umanistico. Questo porta ad avere difficoltà nell’identificazione dei mercati, dei concorrenti, nella realizzazione di una chiara strategia di comunicazione e nell’individuazione dei target dei consumatori. Esiste pertanto un fabbisogno di professionalità dotate di capacità di leadership, di problem solving, di business planning ma che allo stesso tempo siano in grado di capire le esigenze particolari delle realtà culturali.
Difficoltà di reperire professionisti già formati e competenti
Dall’indagine è emerso che esiste un fabbisogno di personale già formato, con esperienza e con competenze pratiche. Nel rapporto Unioncamere del 2013, Io sono cultura. L’Italia della qualità e delle bellezza sfida la crisi, viene dedicata un’intera sezione al tema della formazione auspicandone una maggiormente on the job più che accademica, e una maggiore mobilità internazionale per apprendere le best practices straniere. Il vero problema però si trova a monte. Infatti le start-up culturali e creative, pur volendo, non riescono ad ampliare il proprio staff non riuscendo ad ottenere sufficienti ritorni economici e avendo difficoltà ad accedere alle risorse finanziarie: il principale fattore di costo per la maggior parte degli intervistati è quello del lavoro.
Capacità di fare rete e networking
E’ uno dei fattori imprenditoriali più significativi sia in fase di avvio che di crescita. La capacità di fare networking aiuta a creare una rete di contatti che permette alle start-up non solo di relazionarsi e conoscere le best practices del settore, ma anche di poter entrare in contatto con potenziali investitori e manager in grado di offrire opportuni consigli di business attraverso un approccio più progettuale, pragmatico, lavorando per obiettivi e risultati con adeguate capacità amministrative, di problem solving, di leadership. Tale capacità rappresenta però uno dei maggiori ostacoli, riscontrato dagli intervistati, a livello di conoscenza che dovrebbe essere colmato attraverso l’utilizzo di strumenti adeguati come acceleratori d’impresa, incubatori, spazi di coworking.
Difficoltà ad accedere alle risorse finanziarie
La maggior part degli intervistati afferma di non avere ricevuto alcun contributo pubblico, oppure esclusivamente nella misura del 10-30% dei flussi finanziari in entrata. I finanziamenti privati vengono preferiti nelle forme del seed financing e del venture capital ma sempre di più le start-up culturali stanno utilizzando forme innovative di reperimento dei capitali come il crowdfunding, ossia il finanziamento da parte di molti, che il 12 luglio 2013 è stato regolamentato dalla Consob (per maggiori informazioni a riguardo si rimanda al seguente link http://www.consob.it/main/documenti/bollettino2013/d18592.htm?symblink=/main/trasversale/risparmiatori/investor/crowdfunding/link_reg18592.html). Per ora prevale il bootstrapping ovvero il finanziamento da parte dei fondatori, conoscenti e familiari (friends, family and foolish).
Eccessiva lentezza burocratica
A volte, infatti, i finanziamenti ci sarebbero, ma ciò che impedisce il loro utilizzo è l’eccessiva lentezza burocratica italiana che dilata il tempo trascorso prima dell’approvazione dei contributi finanziari. A ciò si lega anche la difficoltà di accedere ai bandi nazionali ed europei perché è molto difficile rispondere a tutti i requisiti richiesti.
Difficoltà nel quantificare il ritorno economico delle imprese culturali e creative
Nella maggior parte dei casi le start-up culturali e creative non vendono un prodotto ma erogano servizi di natura difficilmente quantificabile dal punto di vista economico. Questo porta a sviluppare nelle banche e negli istituti di credito una forte avversione al rischio che di fatto impedisce il finanziamento a questo tipo di realtà imprenditoriali.
Difficoltà legate allo sfavorevole contesto economico del paese
Una delle più dannose conseguenze della crisi economica si è manifestata nel nostro paese con una perdita di fiducia, accompagnata da un’elevata paura di fallire che scoraggia il nascere di nuove realtà imprenditoriali. La crisi ha inoltre acuito un problema già esistente: il ritardo dei pagamenti. In Italia vi è un sistema dei pagamenti fortemente dilazionato e incerto, peculiarità accentuate in questo periodo storico. Il paradosso è che le imposte sono dovute per competenza e non per cassa portando le start-up oltre ad affrontare inizialmente ingenti spese di avviamento, anche a pagare imposte prima ancora di aver ricevuto i proventi dai loro guadagni rischiando in questo modo di entrare in crisi di liquidità e di chiudere.
6. Conclusioni
Concludendo è possibile affermare che da una parte occorrerebbe una maggiore presa di coscienza dell’importanza delle start-up culturali e creative in Italia, attraverso una chiara e mirata regolamentazione accompagnata da una serie di incentivi e agevolazioni che aiutino ad assumere personale qualificato, colmando il gap conoscitivo esistente attraverso una maggiore presenza delle istituzioni; e dall’altra una maggiore valorizzazione dei giovani neolaureati attraverso non solo percorsi formativi ad hoc quanto attraverso delle esperienze on the job e un maggior supporto agli start upper attraverso spazi di coworking, incubatori e acceleratori, che permettano loro di imparare nella pratica come accedere alle fonti di finanziamento, come sviluppare un business plan, come presentare un progetto e gestire situazioni complesse.
Bibliografia
Eurobarometer (2011), Cultural Statistics in Europe Pocketbook
European Commission (2010), Green Paper. Unlocking the potential of cultural and creative industries, Bruxelles: European Commission
KEA (2006), The economy of culture in Europe, Bruxelles: European Commission
Mind the Bridge (2012), Start-up in Italy: facts and trends
Ministero dello Sviluppo Economico (2012), Restart, Italia! Perché dobbiamo ripartire dai giovani, dall’innovazione, dalla nuova impresa, Rapporto della Task Force sulle start-up istituita dal Ministro dello Sviluppo Economico
Santagata W. (2009), Libro Bianco sulla Creatività. Per un modello italiano di sviluppo, Università Bocconi Editore, Milano
Unesco (2006), Understanding Creative Industries. Cultural statistics for public-policy makers in “Global Alliances for Cultural Diversity”
Unioncamere, Symbola (2012), L’Italia che verrà. Industria Culturale, Made in Italy e Territori in “I Quaderni di Symbola”
Utrecht School of the Arts (2010), The Entrepreneurial Dimension of the Cultural and Creative Industries, Hogeschool vor de Kunsten Utrecht, Utrecht