Il friend raising: programmi di membership e sostenibilità finanziaria. Il caso Uovo performing arts festival

L’evoluzione del quadro istituzionale, economico e socio-culturale costringe le organizzazioni di spettacolo ad individuare nuovi modelli di sviluppo in grado di rispondere ai criteri di sostenibilità economico-finanziaria. Ma quali sono gli strumenti a disposizione delle piccole imprese culturali italiane? Con quali margini di crescita? Il presente contributo si propone l’analisi dei meccanismi che favoriscono il sostegno da parte degli individui, evidenziando le potenzialità legate allo sviluppo dei sistemi di membership, e cerca di individuare gli strumenti che possano qualificare la partecipazione dei donatori alle attività dell’istituzione al fine di creare relazioni stabili con i sostenitori.

Introduzione(1)

Il settore dello spettacolo in Italia appare da molti anni stretto tra le maglie di un sistema poco orientato al cambiamento. Seppur con qualche eccezione, esso è tradizionalmente sostenuto in proporzioni notevoli dal finanziamento pubblico e incapace di apportare elementi d’imprenditorialità necessari a garantire l’autosufficienza finanziaria. L’evoluzione del quadro istituzionale, economico e socio-culturale degli ultimi anni, con una riduzione progressiva dei fondi pubblici, ha penalizzato in misura sensibile le organizzazioni meno solide e ha determinato una crescente situazione di incertezza che ha indotto le imprese culturali a continue azioni di adattamento, sfavorendo politiche effettive di crescita.
Se da un lato lo Stato taglia gli investimenti per la cultura, dall’altro non sviluppa politiche di accesso ai fondi privati in un settore composto in larga parte da enti di piccole dimensioni che incontrano grandi difficoltà d’ingresso nel mercato delle sponsorizzazioni. A questo si aggiunga che la mancanza di una mentalità gestionale moderna e lungimirante nella gestione dei progetti culturali impedisce a enti e soggetti di spettacolo di aprirsi ad una strategia orientata all’investimento e al cambiamento piuttosto che alla gestione del breve termine. Questa mancanza di strategia ha come conseguenza un’evidente diminuzione della creatività progettuale e un preoccupante scollamento tra l’offerta culturale e il suo possibile pubblico.
Nell’attesa legittima di un intervento da parte del legislatore in merito al ridisegno del settore, le organizzazioni culturali – e in particolar modo quelle di piccole dimensioni – dovrebbero aprirsi a una lettura critica delle relazioni potenziali con i mercati contigui allo spettacolo(2) in un’ottica manageriale capace di applicare efficacemente gli strumenti gestionali che possono garantire loro una copertura finanziaria compensativa della diminuzione dei contributi pubblici attraverso ricavi di biglietteria, sinergie associative e vendite di beni e servizi(3).
La fragilità derivante dalla necessità di migliorare il grado di autofinanziamento dei progetti culturali, può essere trasformata in opportunità. Sono due le condizioni imprescindibili affinché questo avvenga: che da un lato l’offerta culturale sia accompagnata da un’esplicita strategia di espansione dell’accesso capace d’incidere sui meccanismi di apprezzamento di ciascun consumatore culturale e, di conseguenza, sul grado di rinnovamento del pubblico(4); dall’altro, che l’istituzione culturale sia in grado di recuperare un forte legame con la comunità territoriale facendosi ispirare e proponendo progetti che si correlino con il tessuto concreto di riferimento(5).
A prescindere dalle questioni inerenti al ruolo dello Stato nel settore culturale italiano, un miglioramento del grado d’indipendenza progettuale e del legame tra offerta culturale e comunità residente, è fondamentale per garantirsi la sopravvivenza all’interno del mercato.

Le strategie di “friend raising”

Il rimando va ovviamente ai paesi di cultura anglosassone, citati quale modello della capacità dei soggetti privati di far fronte alle esigenze economiche delle istituzioni culturali, come musei o teatri. Non è un caso che in questi contesti i finanziamenti alle organizzazioni culturali vengano da singoli individui più che dalle imprese(6). La ragione non risiede solamente nella politica di agevolazioni fiscali ma va ricercata nello stretto rapporto tra istituzioni culturali e tessuto sociale, nella relazione fra produzione culturale e interessi delle comunità locali. Il tutto in linea con la cultura economica della public company di stampo tipicamente anglosassone contrapposta alla gestione delle medie imprese a carattere familiare storicamente in uso nel nostro Paese.
Ma quali sono gli strumenti a disposizione delle piccole imprese culturali italiane? Con quali margini di crescita? Data l’assenza di donatori e la mancata introduzione di meccanismi che ne favoriscano la contribuzione, è fondamentale che le istituzioni diventino interpreti attivi nell’attrarre donazioni da parte dei cittadini. Sarebbe interessante esplorare strategie, non riconducibili ad un mero atteggiamento filantropico, che possano essere attuate a partire dalle esigenze dei potenziali donatori e delle loro motivazioni(7). Con un buon grado di realismo, i punti su cui si può investire con maggiore successo riguardano l’attrazione del pubblico potenziale, i programmi di fidelizzazione, l’offerta di servizi aggiuntivi legati alle nuove tecnologie e i processi di sostegno da parte della comunità territoriale.
E’ utile partire da quello che si sta sperimentando in altri contesti più innovativi, cercando di adattarlo alla propria realtà operativa, senza inventare nulla di nuovo. Non si tratta di trasferire meccanicamente e in modo acritico le esperienze realizzate in altri Paesi, profondamente differenti sotto l’aspetto istituzionale, sociale e culturale, ma di coglierne gli spunti d’interesse per cercare nuovi strumenti di coinvolgimento del pubblico e mantenere un atteggiamento propositivo nei confronti dell’attuale congiuntura.
Se guardiamo la Gran Bretagna, i fondi derivanti dal sostegno diretto da parte di individui ammontano nel 2010 a 359.3 milioni di sterline(8). Lo strumento principale di raccolta fondi è dato dai sistemi di membership che rappresentano il 49.44% delle entrate da donatori individuali. Per acquisire fondi destinati alla creazione della “Tate Gallery of Modern Arts”, già nel 1999 fu adottato un modello di raccolta fondi piramidale, a cominciare dalle donazioni maggiori e dai sostenitori più vicini all’organizzazione fino alle campagne associative promosse presso i visitatori generici. Un caso di successo che dimostra un alto grado di professionalità delle istituzioni culturali e dei loro fundraiser nell’interpretare e soddisfare i bisogni delle varie fasce di pubblico disposte a sostenere la cultura(9).
Il “friend raising”, ossia la campagna associativa del tipo “Amici del…”, è oggi il nuovo trend delle organizzazioni culturali al fine di creare relazioni stabili con i sostenitori. Nell’associarsi all’istituzione culturale pagando la relativa quota annuale, si ricevono una serie di vantaggi di vario genere che spaziano dai benefici di natura materiale (inviti ad eventi, servizi in esclusiva, sconti, gadget) a benefici immateriali (appartenenza sociale, immagine). Una via al mecenatismo diffuso che riesce a coniugare in modo armonico i vantaggi ottenuti dal ricevente e da colui che dona. In quanto incentrata sul patto associativo, fa leva sulla relazione di reciprocità che è per sua natura bidirezionale e fonda la sua ragione di esistere sulla capacità di generare esperienza comune e socialità attraverso la produzione e l’erogazione di specifici beni relazionali(10).
In Italia lo sviluppo delle campagne associative legate al sostegno di un progetto culturale si trova ancora ad uno stadio germinale. Inoltre, la riservatezza dimostrata dalle istituzioni nel rilasciare informazioni in merito ai dati di adesione ai programmi di membership, non ci consente di definire a livello sistemico l’incidenza delle entrate derivanti dal coinvolgimento diretto degli individui.

Il caso Uovo

Volendo usare un caso esemplificativo, si ritiene che il modello del festival milanese Uovo costituisca un esempio da cui trarre insegnamento per il futuro. È un caso di vera eccellenza nazionale su una molteplicità di direttrici: sul grado di rinnovamento e qualità dell’offerta, sul valore identitario, simbolico, artistico e dialogico che è in grado di esprimere. È esemplare rispetto alla capacità di mettersi in discussione in modo costruttivo, di anticipare i cambiamenti, di creare rapporti tra una molteplicità di soggetti nel territorio.
Uovo(11) è un’organizzazione indipendente che si occupa della ideazione e produzione di progetti sulla cultura contemporanea ed in particolare sullo spettacolo dal vivo. Attiva dal 2003 si è distinta come una delle realtà più curiose e innovative della scena italiana grazie al suo ruolo di scouting e alla sua capacità di contaminare e sovrapporre linguaggi e pubblici differenti provenienti dalle performing arts, dall’arte contemporanea, dal design, dalla musica. Uovo performing arts festival è il progetto più conosciuto ed è un festival internazionale e “indisciplinare” sulla contemporaneità che presenta le tendenze più attuali dello spettacolo dal vivo in una confusione positiva di linguaggi e formati.
“Il pubblico di Uovo – spiega Umberto Angelini, direttore artistico del festival – è composto da un nucleo importante di persone che seguono il festival con attenzione sin dalle sue prime edizioni. La curiosità e l’attenzione con cui partecipano alle attività di Uovo è dimostrato anche dal grande seguito che si riscontra non solo durante il periodo del festival, ma tutto l’anno nelle piazze virtuali del sito web e di UovoTv e nelle attività che l’associazione promuove sui social network. E’ un pubblico esigente, attento alla qualità dell’offerta e si aspetta che il festival proponga ogni anno gli artisti e le performance più nuove e originali della scena nazionale e internazionale”.
Il 2010 è stato un anno strategicamente significativo per l’associazione, per la nascita di nuovi progetti dedicati all’infanzia come Uovo 0_11 e Uovokids, per le coproduzioni internazionali e il sostegno a giovani realtà italiane. Il festival ha dovuto tuttavia fronteggiare tagli dei finanziamenti pubblici anche del 70%. Un festival come Uovo molto di più di un teatro stabile o di un museo, fonda la propria ragion d’essere su una serie di relazioni che coinvolgono portatori di interessi che di anno in anno possono essere diversi: le istituzioni e i luoghi che decidono di ospitare le performance, la rete di associazioni che contribuiscono alla produzione dell’offerta, i partner che mettono a disposizione i servizi aggiuntivi per il pubblico o i loro mezzi di comunicazione, i creativi, gli studenti e i giovani operatori che ogni anno affiancano lo staff.
Se le istituzioni cittadine non possono, o non vogliono, più finanziare attività il cui beneficio principale ricade sulla comunità che le ospita, dove e come trovare i mezzi per poter perseguire quello che è lo scopo principale del festival, e cioè l’incontro tra il pubblico e gli artisti che sono chiamati a partecipare? L’idea è stata quella di lanciare un programma di membership, ora nella fase di start up, che consenta di reperire contributi per la realizzazione di nuovi progetti.
“Il progetto Sostieni Uovo!, lanciato durante l’ultima edizione di Uovo performing arts festival, – continua Angelini –  è prima di tutto un modo per rendere partecipe il pubblico del festival dello sforzo economico ed organizzativo che l’associazione ha dovuto affrontare per via dei tagli del finanziamento in passato garantito dagli enti pubblici e per la crisi economica. L’intento è di far sentire gli individui sostenitori parte integrante delle attività di Uovo, far capire che, anche grazie al loro impegno, l’associazione potrà continuare a sostenere anche nuove produzioni, con particolare attenzione agli artisti emergenti della scena creativa italiana. Partendo dagli schemi classici di membership adottati dalla gran parte delle maggiori istituzioni culturali, si è voluto sviluppare un carattere distintivo del progetto che si leghi fortemente alla missione dell’associazione. L’idea è quella di legare ogni anno il contributo versato dall’individuo al finanziamento di un progetto artistico specifico, in modo che il sostenitore sia concretamente parte del processo di produzione e possa avere in cambio una fruizione speciale dell’opera o della performance al centro del progetto annuale. La caratteristica di unicità o esclusività, tratto distintivo della poetica di Uovo, diventa cosi la caratteristica fondante del progetto di friend raising/membership”.
Il primo anno l’adesione alla membership è legata al libro fotografico dell’artista Luca Del Pia, di cui Uovo coproduce la pubblicazione. Un libro che attraverso immagini fotografiche e testi critici indaga lo spazio della rappresentazione ponendo al centro della riflessione l’azione performativa. Non un vantaggio generico quindi ma un progetto editoriale condiviso, fortemente in linea con la strategia artistica di Uovo, che diventa strumento e occasione di membership. Gli amici sostenitori del festival possono partecipare ad incontri speciali con l’autore ed avere in dono una copia del libro firmata dall’artista o la stampa fotografica originale di una delle foto contenute nella pubblicazione, a seconda del livello di donazione scelto, con un costo a partire da 25 euro. Il programma, inoltre mira ad esaltare i vantaggi sinergici connessi alla creazione sistematica di una rete di collaborazioni con gli altri operatori culturali vicini ad Uovo per formazione, idee, contenuti, modus operandi: i sostenitori, oltre alle agevolazioni sull’acquisto dei biglietti per tutte le attività di Uovo, potranno infatti usufruire di tariffe speciali messe a disposizione grazie alle convenzioni stipulate con altri festival italiani di performing arts, musicali e teatrali.
“Visti i tagli a cui si è dovuto far fronte, – conclude Angelini – non si è potuto destinare al programma un adeguato investimento in comunicazione. Nato nei primi mesi del 2011, è stato promosso solo sul web e tramite flyer distribuiti in occasione degli spettacoli del festival. Ad oggi non possiamo ancora trarre riflessioni oggettive, nonostante ciò, il riscontro che abbiamo avuto finora ci ha confermato che le attività dell’associazione possono contare su un nucleo forte di individui che le seguono con passione ed interesse riconoscendone la “necessità” etica ed estetica di esistenza. In futuro, più il programma riuscirà a coinvolgere gli artisti nello sviluppo di nuove iniziative a favore dei sostenitori, più gli individui si sentiranno parte di un atto creativo, più sostenere Uovo si avvicinerà a partecipare ad una delle speciali performance del festival, tanto più l’associazione potrà contare sull’appoggio di una parte importante del proprio pubblico”.

Conclusioni

Il caso offerto da Uovo dimostra come il valore della membership non si esaurisca nel puro procacciamento di fondi finanziari, ma risieda nella natura relazionale di questo strumento che può divenire un’attività strategica finalizzata alla creazione di una fitta rete di relazioni che favoriscano lo sviluppo dell’istituzione nel tempo e ne garantiscano il radicamento nel territorio. Si conferma inoltre, che la  sostenibilità di lungo periodo passa inevitabilmente dalla capacità di costruire una relazione forte tra la mission dell’organizzazione e la comunità che beneficia direttamente delle attività svolte, nell’ottica di uno sviluppo culturale partecipato. Se si costruiscono relazioni forti con la comunità di sostenitori, questa comunità diventerà un esercito solidale disposto a difendere la sopravvivenza dell’organizzazione(12).
Un’ultima riflessione va fatta circa i possibili strumenti di rinnovamento e fidelizzazione del pubblico. La reciprocità del rapporto tra organizzazione culturale e spettatori, suggerisce l’opportunità di esplorare le potenzialità offerte dalle innovazioni tecnologiche che si collocano lungo tutta la filiera dello spettacolo dal vivo e svolgono una funzione fondamentale per l’attenuazione e l’eventuale rimozione dei vincoli che possono ostacolare il consumo culturale(13). Inoltre, una strategia pertinente di fidelizzazione e “friend raising”, può trarre beneficio dalle trasformazioni in atto nel settore, che riguardano tanto l’offerta quanto la domanda di cultura. Da un lato una progressiva convergenza dei mercati culturali, con diversi gradi di avanzamento tecnologico e diversi canali di diffusione e commercializzazione; dall’altro le caratteristiche specifiche del consumatore culturale emergente che appare in continua migrazione tra le diverse forme di esperienza culturale e che, non soltanto utilizza diversi supporti materiali, ma soprattutto migra tra forme diverse apprezzando uno stesso contenuto attraverso una molteplicità di esperienze (si pensi ad esempio, come alternativa alla sala da concerto, la possibilità di seguire dei concerti di musica classica in streaming gratuito a casa propria).
Esiste dunque l’opportunità di investire nella produzione di una gamma estesa ed eterogenea di beni e servizi da mettere a disposizione dei propri sostenitori con un duplice obiettivo: agire positivamente sul grado di apprezzamento del prodotto e abbattere le eventuali barriere all’accesso sia attraverso l’offerta dei servizi aggiuntivi, sia mediante la produzione di contenuti che ampliano la gamma delle informazioni a disposizione dell’utente. Si pensi ad esempio alla possibilità di fornire contenuti aggiuntivi attraverso l’uso di palmari, iPod e altri dispositivi mobili che veicolino approfondimenti inerenti la proposta culturale, o alla realizzazione dei prodotti editoriali relativi a tematiche di approfondimento ispirate al repertorio e/o alla programmazione (monografie, cataloghi, saggi, contenuti audio e video) integrate da materiali multimediali che rispondano ad un bisogno di personalizzazione del consumo. Una diversificazione di prodotti e canali che dovrà essere definita tenendo conto delle specifiche esigenze di fruizione dei pubblici di riferimento. Le possibilità sono molteplici: ad esempio l’applicazione per smartphone, proposta in occasione del 28° Torino Film Festival, permette agli utenti di scaricare informazioni sui film del festival e di acquistare i biglietti senza dover fare la fila al botteghino; la pubblicazione editoriale del REFF – RomaEuropaFAKEFactory – integra la lettura di testi con contenuti aggiuntivi attivabili tramite fiducial marker e QR-code per approfondire la lettura su tablet e smartphone.
Si tratta di un modello di sviluppo virtuoso, basato sulla capacità di investire nella relazione con il proprio pubblico, al fine di valorizzare i vantaggi e le opportunità dello scambio e del confronto. Una governance che punta sulla responsabilità delle organizzazioni nei confronti del conseguimento degli obiettivi di missione, e, soprattutto, sulla capacità di generare reti di reciprocità nel territorio e di veicolare quei valori capaci di apportare un sostanziale miglioramento della qualità della vita nella comunità. Un comportamento strategico che pone al centro il valore del capitale relazionale e quindi l’attenzione alla costruzione, alla qualità e alla cura nel tempo di ogni relazione, basato sulla profonda convinzione che la produzione culturale debba necessariamente misurarsi con la costruzione paziente di un impatto sulla comunità ponendo maggiore attenzione sulle necessità dei suoi residenti e imparando nel medesimo tempo a rilevare i cambiamenti e a reagire in funzione di essi.

Note
(1) Si ringraziano Umberto Angelini e Maria Chiara Piccioli per il contributo fornito alla realizzazione del presente lavoro.
(2) Si veda, a tale proposito, Deganutto S. e Trimarchi M., La prospettiva del consumatore culturale, tra originale e riproduzioni, in Strategie e politiche per l’accesso alla cultura (a cura di M. Trimarchi), Roma, Eccom-Formez, 2008.
(3) Un esempio incoraggiante è dato dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia che ha investito con lungimiranza in un piano di marketing estremamente articolato e presenta un bilancio con ricavi derivanti dalla vendita di prestazioni artistiche e servizi pari al 33% del valore della produzione, che insieme ai contributi dei soci privati raggiungono il 51% delle entrate complessive (dati bilancio 2009).
(4) Cfr. Trimachi M., Meccanismi sostenibili di finanziamento dei progetti culturali, in L’azione pubblica a sostegno dell’offerta culturale (a cura di M. Trimarchi e P. Barbieri), Roma, Eccom-Formez, 2007.
(5) L’indagine condotta sul fenomeno delle donazioni individuali per la cultura in Italia ha mostrato come la creazione di un legame forte tra istituzione e comunità locale sia tra i principali fattori che determinerebbero un cambiamento del comportamento donativo. Cfr. AA.VV., Donare si può? Gli Italiani e il mecenatismo culturale diffuso, 2009.
(6) Il sostegno da parte degli individui al Metropolitan Opera House di New York ha rappresentato nel 2009 la principale fonte di contribuzione, per un ammontare di 108.2 milioni di dollari (dati bilancio 2009).
(7) Cfr. Bertacchini E., Santagata W., Signorello G., L’amore per la cultura. Donazioni e comportamento pro-sociale, in AA.VV., Donare si può? Gli Italiani e il mecenatismo culturale diffuso, 2009.
(8) Fonte: Arts & Business, Private investment in culture 2009/10.
(9) Cfr. Comunian R., Il caso inglese: analisi delle problematiche e delle best practices nell’ambito del fundraising per la cultura in Gran Bretagna, in Il fundraising per la cultura (a cura di P.L. Sacco), Meltemi, Roma, 2006.
(10) Cfr. Melandri V., Zamagni S., Il finanziamento del nonprofit in Italia fra intervento pubblico, filantropia e reciprocità: per una via italiana al fund raising, Vol. 1 No. 1, 2005.
(11) Il nome giuridico è Associazione Med. Tuttavia, in comunicazione, l’organizzazione utilizza genericamente il termine Uovo, declinato nei vari progetti: Uovo performing arts festival, Uovo 0_11, Superuovo, Uovokids, Uovo project, UovoTV (www.uovoproject.it).
(12) Cfr. Gottieb H., Community engagement strategies for boards who hate fondraising but love friends, Help4NonProfit & Tribes Community-Driven Insitute, 2007.
(13) Sono tre gli ordini di vincoli che possono ostacolare il consumo culturale: un vincolo di natura materiale, che puo? essere rappresentato dall’assenza o dalla limitata accessibilita? delle infrastrutture culturali; un vincolo di natura finanziaria, che riguarda non soltanto il prezzo d’ammissione allo spettacolo, ma anche e soprattutto il costo complessivo dell’esperienza culturale nel territorio; un vincolo cognitivo, derivante dalla natura relazionale e dialogica dello spettacolo dal vivo e dalla conseguente necessita? di assicurare agli spettatori una progressiva familiarita? e capacita? di apprendere e apprezzare i contenuti e le modalita? di realizzazione dello spettacolo stesso, in modo da poterne estrarre pienamente il valore culturale. Cfr. Trimarchi M., Tecnologia e spettacolo dal vivo: connessioni e orizzonti, in Relazione sull’utilizzazione del Fondo Unico per lo Spettacolo, Anno 2007.

Bibliografia

Argano L., Alcune coordinate per il futuro dello spettacolo dal vivo in Italia, in La cultura per un nuovo modello di sviluppo. IV Rapporto Annuale Federculture, Roma, Allemandi & C., 2007
AA.VV., Donare si può? Gli Italiani e il mecenatismo culturale diffuso, Roma, 2009
Comunian R., Il caso inglese: analisi delle problematiche e delle best practices nell’ambito del fundraising per la cultura in Gran Bretagna, in Il fundraising per la cultura (a cura di P.L. Sacco), Roma, Meltemi, 2006
Deganutto S., e Trimarchi M., La prospettiva del consumatore culturale, tra originale e riproduzioni, in Strategie e politiche per l’accesso alla cultura (a cura di M. Trimarchi), Roma, Eccom-Formez, 2008
Gottieb H., Community engagement strategies for boards who hate fondraising but love friends, Help4NonProfit & Tribes Community-Driven Insitute, 2007
Melandri V., Zamagni S., Il finanziamento del nonprofit in Italia fra intervento pubblico, filantropia e reciprocità: per una via italiana al fund raising, Vol. 1 No. 1, 2005
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Trimarchi M., Tecnologia e spettacolo dal vivo: connessioni e orizzonti, in Relazione sull’utilizzazione del Fondo Unico per lo Spettacolo, Anno 2007