Il futuro del libro

Stampa o file digitali, papiro o preziosi codici miniati: la rivoluzione della condivisione del sapere è sempre partita dal supporto dei contenuti e dall’accessibilità degli stessi.

Prologo
Nei primi anni ‘70 del 1400 in una Venezia rinascimentale ricca di arti e commerci, il frate domenicano Filippo da Strada, predicatore e copista, scrive, con la penna d’oca, un’accorata lettera al Doge Marcello. La lettera è un j’accuse contro il commercio degli stampatori. Pochi anni prima, nel 1455, Gutenberg aveva dato alle stampe la Bibbia Mazarina e da allora Venezia, città di mercanti, aveva messo in piedi un lucroso commercio basato sulla vendita dei volumi stampati. Quando fra’ Filippo scrive al Doge “schiaccia gli stampatori!”, sta dando voce a una protesta, diffusa tra gli amanuensi dell’epoca, contro l’allargamento della circolazione dei libri e della cultura grazie al taglio dei costi e all’uso della lingua volgare.

 

Filippo da Strada afferma che la stampa corromperà le giovani generazioni mettendole in contatto con i testi peccaminosi di Boccaccio, Petrarca, Ovidio e Tibullo. Inoltre, i libri usciti dalle stamperie sono “oggetti sudici” e con il loro commercio si contribuirà a finanziare una razza, quella degli stampatori, che scialacqua i guadagni in vino e prostitute. Si intuisce, però, che i timori del domenicano sono ben più corposi: in primo luogo difende un’idea di trasmissione del sapere elitaria che deve stare nelle mani di coloro, aristocratici o prelati, che possano permettersi di pagare la raffinata arte degli amanuensi.

 

Di più: ha paura che la diffusione dell’alfabetizzazione e dell’uso del volgare indeboliscano il potere della Chiesa  nell’interpretazione dei testi sacri. Sono passati più di cinquecento anni, ma leggendo la lettera di Frà Filippo e la sua invettiva contro la “stampa meretrix” è difficile non paragonarla agli alti lai di coloro che oggi si oppongono alla rivoluzione degli e-book, cioè la produzione e la diffusione digitale di contenuti e di cultura che sta interessando il mondo del libro e che è paragonabile a quella che coinvolse l’industria della musica qualche anno fa.

 

La portata del cambiamento culturale, sociale e tecnologico apportato dal libro è stata così ampia – e ha riguardato tutti gli attori del mondo editoriale: dalla tradizione tipografica alla figura settecentesca del libraio editore, fino alle prime case editrici dell’Ottocento e, ovviamente, il comune lettore – che è impossibile ricostruirne qui la storia se non attraverso cenni ai passaggi storici fondanti.

 

Pur limitandosi al solo Novecento italiano, non basterebbe un manuale per darne “una ricostruzione critica documentata e rigorosa, attraverso una serie di passaggi storici, dall’artigianato all’industria, dall’editoria tradizionale all’universo multimediale, e soprattutto dall’editore protagonista, Mondadori e Rizzoli, Bompiani e Einaudi e altri, e dai loro intellettuali-editori, Vittorini o Longanesi, Sereni o Calvino, all’ingresso del capitale extraeditoriale nel mondo del libro, e all’avvento delle concentrazioni, dell’apparato e dei grandi gruppi”. Ciò che oggi non possiamo più smentire è che questo sistema culturale ed economico è in crisi. La crisi dell’editoria nostrana è una realtà ancora più difficile da negare: solo un terzo degli italiani legge almeno un libro l’anno, e ogni giorno ne vengono pubblicati in media 170, la gran parte dei quali è destinata a un rapido oblio.

 

Il libro digitale
Stampa o file digitali, papiro o preziosi codici miniati: la rivoluzione della condivisione del sapere è sempre partita dal supporto dei contenuti e dall’accessibilità degli stessi. La rivoluzione che sta interessando l’universo libro vede un affiancamento di prodotti e contenuti digitali, gli e-book, al tradizionale libro stampato p-book (paper-book). Il cambiamento interessa non solo gli stampatori, ma anche i distributori, le librerie, gli editori, i grafici, gli autori, gli scrittori, i lettori. Il cambiamento interessa anche lo Stato, il corpus di leggi che regolano il diritto d’autore e l’IVA, i produttori di tecnologia, i provider di connessioni Internet. Interessa gli studenti, la scuola, l’Università, gli insegnanti, i ricercatori. Come Fra’ Filippo da Strada, amanuense di preziosi codici miniati, intuiva ma non poteva immaginare il futuro del libro, così oggi siamo di fronte a un fenomeno che non sappiamo come cambierà non solo il nostro modo di leggere ma anche il tempo e il modo in cui la cultura scritta si diffonde.

 

Al fine di fornire una panoramica del mercato dei contenuti digitali in e-book si rende necessario partire dagli Stati Uniti. Nel 2011 il mercato dell’e-book valeva 2,5 miliardi di dollari, ma solo in tre Paesi al mondo la penetrazione dell’e-book nel mercato editoriale è stata significativa: negli USA (oltre il 20%), in Corea del Sud (circa il 15%) e in Gran Bretagna (quasi il 9%), punta di diamante di un’Europa fortemente in ritardo. L’80% del mercato degli e-book è concentrato negli Stati Uniti: Amazon.com è stato uno dei primi promotori dei libri digitali.

 

Il colosso statunitense, snobbato da gran parte degli editori tradizionali, si è conquistato i lettori con sconti aggressivi sui libri e con consegne rapidissime. Diventato fornitore ufficiale di Kindle, uno fra gli e-reader più venduti, sta assumendo oggi una posizione di rilievo come editore di chiunque voglia pubblicare un libro on line, attraverso il cosiddetto self-publishing, ossia la possibilità per ogni scrittore esordiente di pubblicare la sua opera – un romanzo ma anche un libro di cucina, un saggio, un paper accademico – senza la mediazione degli editori e dei proverbiali tempi di attesa. Nelle ultime settimane del 2011 nella classifica dei libri più venduti di Amazon spiccavano ben tre libri pubblicati con il metodo del self-publishing. Quanto cambierà, quindi, il ruolo dell’editore che fino ad ora era stato quello di selezionare e promuovere contenuti, mantenendo un ruolo di diffusore di cultura pur senza dimenticare la propria natura commerciale?

 

In Asia il mercato dell’e-book sta crescendo rapidamente: l’esempio più significativo è dato dalla Corea del Sud che ha annunciato che, dal 2015, per decisione del governo, nelle scuole non ci saranno più libri di carta. Forse non è errato mettere in correlazione questa notizia con l’evento Apple che ha avuto luogo presso il museo Guggenheim di New York il 19 gennaio 2012. Durante questa giornata è stato presentato l’ultimo desiderio di Steve Jobs: rivoluzionare il modo in cui vengono letti e distribuiti i libri universitari e scolastici. Un progetto ambizioso il cui obiettivo è mettere un iPad nelle mani di ogni studente e insegnante, con applicazioni per creare e gestire i corsi e i compiti, con libri venduti tramite iBooks e creati su Mac. Una delle applicazioni presentate, chiamata iBooks2, funziona su iPad e serve per studiare sui libri di testo: ha un evidenziatore, con diversi colori, didascalie interattive, video integrati, gallerie d’immagini, annotazioni raccolte automaticamente, glossario integrato e molto altro.

 

La seconda applicazione chiamata iTunes U è una sorta di punto di ritrovo della didattica: al suo interno si possono trovare interi corsi formativi, dalla biologia alla teoria della letteratura, dal marketing all’ingegneria dei materiali. Gli studenti potranno accedere ai materiali prodotti e caricati dai docenti, comprensivi di video, immagini, link e collegamenti ai libri presenti su iBooks 2. Il progetto, presentato da Apple in collaborazione con gli editori americani che detengono l’80% del mercato universitario e scolastico, McGraw-Hill, Pearson e Houghton Mifflin Harcourt, mira a cambiare per sempre la didattica. Secondo i dati della Global Equities Research, gli eBooks scaricati nei tre giorni successivi al lancio dell’applicazione iBooks 2 sarebbero circa 350mila.

 

L’Europa, invece, ha un ritardo di circa due o tre anni sull’e-book e le motivazioni sono molteplici: dalla carenza di infrastrutture tecnologiche, quali le reti wireless o connessioni veloci, alla mancanza di programmi governativi che favoriscano l’alfabetizzazione informatica, alla mutevole conoscenza dell’inglese,  passando per un sistema fiscale che penalizza l’e-book, per arrivare, infine, allo sbarco solo recente, ad esempio in Italia, di un player come Amazon.

 

In Italia un’indagine della società Bowker mostra che gli e-book sono letti dal 17% delle persone che acquistano anche libri di carta, percentuale notevolmente cresciuta rispetto al 9% del 2010, ma ancora modesta rispetto alle previsioni, che stimavano un ben più pingue 25/30%.  Colpisce ancora di più che il 74% degli intervistati che acquistano con regolarità libri non ne abbiano mai comprato uno digitale, e anche quando dispongono di un eReader, preferiscano lasciargli prendere polvere piuttosto che abbandonare il buon vecchio libro di carta.

 

Paure
L’Italia quindi resiste. Resiste come resisteva cinquecento anni fa Fra’ Filippo, accorata, nella strenua difesa della carta e del libro stampato contro la digitalizzazione dei contenuti. Resistono gli editori che pubblicano sessantamila novità all’anno a fronte di un parco lettori sempre più striminzito ed esigente. Resistono gli editori, lontani dai loro lettori, arroccati nelle loro rendite di posizione da cui sembra così difficile scendere nell’agorà interattiva della rete. Resistono gli autori che, in seguito alla pubblicazione con un grande editore, gli affidano completamente la promozione del proprio libro senza confrontarsi con i propri lettori sul web e sui social network.

 

Resistono i docenti universitari che fanno lezione con gesso e lavagna a fronte di frotte di studenti che usano Google come punto di partenza per una ricerca, Wikipedia come selettore di informazioni e preparano l’esame appoggiandosi ai forum di studenti on line. Resiste un codice civile non più appropriato a tutelare il nuovo diritto d’autore, che comprende ormai forme di condivisione social diverse da quelle fino ad ora sperimentate. Resistono frotte di lettori che amano la carta, il peso di un buon libro, l’odore della pagina stampata e aborrono i testi digitali. Questi lettori condividono sempre di più sul web, nei social network, in siti dedicati ai libri, come aNobii.com o goodreads.com, recensioni che promuovono o stroncano la narrativa diventando loro malgrado protagonisti del social media maketing dell’editoria.

 

Il lettore, anche colui che resiste più di tutti e non ha mai nemmeno prestato un libro per paura che gli venissero gualcite le pagine, ricopre un ruolo fondamentale nella rivoluzione dell’editoria. Il modo di diffondere e di produrre la cultura, oggi, è sempre più condizionato dalle sue opinioni espresse on line, dalle tracce che lascia dietro di sé quando acquista un libro, lo finisce o lo abbandona a metà. Le impronte digitali diventano fondamentali nell’orientamento delle future scelte editoriali: più il lettore sarà consapevole del peso della sua opinione nella futura produzione di cultura, più troverà il modo di dire con chiarezza quali sono i suoi pensieri.

 

Se gli editori tradizionali rifiuteranno di sporcarsi le mani con le tecnologie digitali lasceranno campo libero alle grandi librerie on-line nella creazione delle future proposte culturali. Resistiamo noi, affezionati alla carta stampata, come se fosse solo un problema di carta stampata e non di produzione di contenuti, di libera circolazione delle idee e di trasformazione culturale di una civiltà.