Una guida illuminata da una carriera accademica e professionale dedicata ai temi dell’economia della cultura e della creatività è l’ultimo lascito di Walter Santagata, recentemente scomparso, alla classe dirigente italiana, agli esperti del settore e all’Italia tutta, perché il patrimonio creativo e culturale è la risorsa chiave da cui ripartire per promuovere lo sviluppo economico e la qualità sociale.
Cogliendo l’estrema attualità del dibattito che vede la cultura come fattore di inclusione sociale, Santagata non può fare a meno di rilevare che “il ciclo della cultura come bene economico sta lasciando il passo a quello della cultura per la qualità sociale”. Emerge, dunque, un nuovo modello di sviluppo sostenibile in cui la cultura è motore della crescita economica, dei redditi e dell’occupazione e, al tempo stesso, fattore di miglioramento della qualità sociale, in quanto capace di dar vita a una “società più libera dal bisogno economico e più aperta ai valori della solidarietà, della crescita dei beni comuni, dello sviluppo nella cooperazione e nella fiducia”.
Un modello fortemente radicato sul territorio e incentrato sull’uomo, in cui l’apporto all’innovazione, alla creazione di valori e di simboli derivante dalla cultura risulta amplificato in presenza di un’atmosfera creativa, “un network che può produrre a parità di capitale umano, una maggiore qualità di capitale sociale, ossia di relazioni e interazioni tra gli attori”. In una parola, qualità sociale.
I pilastri fondamentali di questo modello? Sono, anzitutto, le industrie creative e culturali che “con la loro forte componente di proprietà intellettuale e di idee” favoriscono la circolazione delle idee, generando scambi e reciproche contaminazioni, innovazione e relazione, ma non solo. La cultura tutta eleva la qualità sociale di una comunità, rafforzando l’identità collettiva e individuale dei soggetti, favorendo l’inclusione sociale e la crescita personale (empowerment).
Emblematici in tal senso sono gli esempi forniti dalla Public Art, in cui “l’espressione artistica e la sua totale liberalità diventano strumento terapeutico”, e dall’arte contemporanea a km0, in cui “il riavvicinamento fisico e territoriale tra produttori-artisti e consumatori-collezionisti”, pur generando opere di minor qualità, “è in grado di produrre in un territorio il massimo capitale sociale, ossia di relazioni e scambi reciproci che consentono di accomunare beni come la conoscenza personale, la fiducia e la cooperazione”.
Un modello quello della “cultura per lo sviluppo” la cui realizzazione necessita di un intervento da parte dell’amministrazione pubblica e il definitivo superamento del carattere distributivo delle politiche culturali sinora intraprese, a favore di una programmazione di ampio respiro che si snodi nel breve, così come nel lungo termine.
Come intervenire dunque? La risposta dell’autore, che immaginando di essere stato chiamato ad assistere il futuro Ministro dei Beni e delle Attività Culturali nelle scelte di indirizzo politico, si rivolge direttamente all’uomo politico con proposte concrete.
Il primo passo fondamentale da compiere è istituire un “Ministero della Cultura”, il cui perimetro di intervento sia esteso a tutto il settore delle industrie creative e culturali e che sia capace di esprimere una politica culturale e di rendicontare in un rapporto annuale – al momento inesistente – le attività svolte.
All’interno del Ministero si auspica la creazione di una Direzione Generale per le Industrie Creative, che funga da cabina di regia unica, favorendo la crescita e il posizionamento internazionale dell’Italia. A discapito dell’attuale strapotere degli Esteri, in effetti, si dovrebbe attribuire maggior rilievo al Ministero della Cultura nelle relazioni internazionali.
Venendo al patrimonio culturale, incisivi sono la proposta di razionalizzare il numero dei musei e l’invito ad avviare un discorso serio sul federalismo culturale, che vanno di pari passo con la necessità di rivedere il sistema degli incentivi statali ai musei e di fare un punto sull’attività di digitalizzazione dello stesso da anni avviata, ma portata avanti con estrema lentezza.
Infine, se rispetto al tema delle donazioni ai privati alla cultura l’invito è a non focalizzare il dibattito sui soli incentivi fiscali, essendo indispensabile anzitutto una maggiore trasparenza, sul piano normativo si richiede di superare l’eccessiva frammentarietà che caratterizza l’attuale ordinamento.
Queste sono solo alcune delle proposte di Santagata, che speriamo possano essere raccolte in una fase storica in cui da più parti si auspica un reale cambiamento nel “governo della cultura”, e che saranno al centro del convegno “GOVERNING CULTURE, How to promote sustainable development and social quality”, organizzato in memoria di Walter Santagata che si svolgerà a Torino il 29 e 30 maggio 2014.
Il governo della cultura
Promuovere sviluppo e qualità sociale
Walter Santagata
Il Mulino, 2014
Euro 15,00