Il litorale romano tra riqualificazione urbana e memoria storica

Lo sviluppo urbano, formale ed informale, non ha risparmiato la costa della provincia di Roma, dove gli elevati ritmi di crescita della popolazione e dell’edificazione hanno innescato meccanismi di progressivo quanto rapido consumo di suolo. Uno dei risultati di questa ‘crescita’, non sempre direttamente percepibile, sembra riguardare lo smarrimento del senso stesso di appartenenza ai luoghi, la perdita cioè dei caratteri vocazionali e delle memorie insite nei territori. I dieci comuni costieri della provincia di Roma, con le diverse frazioni marittime, assumono, quasi sempre, la classica configurazione degli insediamenti lineari lungo la strada litoranea che li attraversa con un rettifilo da nord a sud, con costruzioni di diversa tipologia e funzionalità, realizzati spesso senza regola, sfruttando al massimo tutto lo spazio disponibile. Sono stati alterati e modificati elementi appartenenti a contesti storici e paesaggistici di pregio. Pertanto il presente contributo, frutto di un’attività di ricerca più ampia condotta nei comuni costieri del Lazio, propone una chiave di lettura che cerca di analizzare le relazioni e le conflittualità innescate dai processi di riqualificazione urbana.

1. Il quadro di riferimento generale
Il sistema insediativo della provincia è caratterizzato dalla complessa struttura urbana della città di Roma, dalla presenza di gruppi di centri contigui (la cintura più prossima a Roma) e da centri satellitari più esterni di media e piccola dimensione. Dopo la grande crescita degli anni ’60-’80, tale sistema è stato oggetto negli anni ’90 e 2000 di intense dinamiche metropolitane e processi trasformativi locali, che ne hanno modificato profondamente struttura e forma, accentuando la conurbazione su Roma dei centri contigui, l’aggregazione tra loro di più centri satellitari di II corona e della costa, la destrutturazione di centri più esterni e la formazione di estese aree di insediamenti diffusi periurbani nei territori intermedi e nelle fasce costiere; tutto ciò ha determinato la tendenza alla perdita del policentrismo e delle identità locali e alla propagazione dell’omogeneizzazione secondo il modello insediativo delle periferie urbane.
I dieci comuni costieri della provincia di Roma hanno subito nel corso degli ultimi trent’anni un aumento demografico ed edilizio del tutto rilevante. A partire infatti dal 1971 si è registrata una crescita in termini di popolazione superiore all’80% a fronte di una variazione che nell’intera provincia non ha superato il 5%. Il gap rispetto alle trasformazioni demografiche provinciali appare attorno allo stesso ordine di grandezze anche per quanto riguarda la variazione del patrimonio abitativo. Questa crescita si manifesta in maniera ancora più evidente se consideriamo che al 31 dicembre 2008 sul litorale laziale risiedevano oltre 950.000 abitanti pari al 17% dell’intera popolazione regionale. Inoltre, nei due maggiori nuclei urbani (XIII Municipio e Latina) si concentra più di un terzo dei residenti dell’intera fascia costiera. I comuni di Civitavecchia e Fiumicino a nord, Pomezia e Anzio a sud costituiscono i nuclei urbani di dimensioni demografiche più consistenti. Tra il 2003 e il 2008 la popolazione costiera ha registrato ulteriori dinamiche significative di crescita (+11,2%) superiori a quelle del Comune di Roma, a quelle regionali (+8,1%) e alle tendenze nazionali (+3,7%). Il territorio costiero a sud della Capitale ha registrato una maggiore crescita (+12,9%) rispetto all’area settentrionale (+9,3%); i maggiori incrementi si sono verificati in comuni che gravitano attorno a Roma, sia nell’area nord (Ladispoli, Fiumicino e Santa Marinella) che a sud (Anzio, Ardea e Pomezia) (Litorale S.p.A. 2010).

2. Il paesaggio costiero della provincia di Roma e il patrimonio culturale e ambientale
Il litorale romano, come del resto tutta la fascia costiera laziale, ha un importante patrimonio culturale (aree archeologiche, torri costiere, fortificazioni, borghi). Riteniamo che la ricognizione dei beni ambientali, storici, paesaggistici, sia di fondamentale importanza per poter affrontare i temi legati al concetto di memoria storica, in modo tale che si possa creare una stretta connessione tra ciò che ha contribuito a formare la vocazione del territorio e l’uso che se ne vuol fare. La Provincia stessa ha sottolineato l’importanza di questo aspetto procedendo con una prima ricognizione e proponendo alla Regione di perfezionare il censimento dei valori e delle tutele e curare le relazioni tra i beni vincolati e l’intero assetto di organizzazione e uso del territorio provinciale. In tale contesto – ovviamente è bene sottolinearlo – non si fa riferimento solo ai beni puntuali ma anche alla tutela e valorizzazione del territorio rurale provinciale, ponendo la sua attenzione alle attività produttive dei luoghi da preservare e sostenere e ai relativi caratteri intesi come immagine-valore del territorio stesso nelle diversità colturali, d’identità e memoria prodotte dall’azione antropica nel tempo. A conferma di quanto appena detto nel PTPG (Piano Territoriale Provinciale Generale) vengono individuate, all’interno del territorio provinciale extraurbano, 12 tipologie di paesaggi rurali, espressioni delle componenti e dei valori che ne costituiscono l’immagine paesaggistica nonché dei caratteri economici che ne sono il supporto attuale.

3. Ricostruzione geostorica
La ricostruzione del paesaggio, sia antico che moderno fino a quello attuale, prende le mosse dallo studio della cartografia che per l’area di riferimento possiamo far partire dal XVI secolo. La Carta di Eufrosino della Volpaia (1547) e quella del Cingolati (1692) sono documenti eccezionali per la rappresentazione dei valori territoriali a ampia scala attorno alla città di Roma. Attraverso la sovrapposizione della cartografia storica alle immagini da satellite, da Civitavecchia ad Anzio, possiamo ancora riconoscere retaggi di ambienti originali. Ci troviamo di fronte a ambiti interessati da grandi e diverse civiltà, anche se, fin dai tempi antichi, vennero omologate dall’imporsi politico di Roma. Le testimonianze del passato, presenti sul territorio, sono riconoscibili in diversi luoghi: gli oppida di Colle Rotondo, Buonglioncino e Buon Riposo, sul versante di Anzio; gli oggetti fittili recuperati dalle campagne archeologiche svolte nei pressi di Pratica di Mare o Punta della Vipera a Santa Marinella.
Il sistema stradale rappresenta un’ulteriore testimonianza dei rapporti esistenti tra la zona costiera e Roma: Via Campania, collegamento tra il campo salino alla destra della foce del Tevere e l’area della Magliana/Portuense; Via Vitelia, asse viario utilizzato per la transumanza nella pianura di Maccarese e Fregene; Via Ostiense, collegamento diretto con la foce del Tevere.
Oltre alla possibilità di scambiare merci tra l’entroterra e il litorale, le vie di comunicazione, costruite in epoca romana, erano necessarie per poter raggiungere le ville costruite lungo la costa. Tali costruzioni rispondevano a esigenze e concetti diversi rispetto a quelli attuali. La Villa romana era una casa rurale, posto al centro del fondo agricolo, dal quale dipendeva quasi unicamente l’economia familiare. Anche successivamente, quando divennero sfarzose e maestose, le ville non persero mai la loro funzione di controllo del territorio e delle attività che su di esso si svolgevano. Ne troviamo su tutto il versante tirrenico, tanto da provocare lo sdegno di Seneca, poiché si costruiva ovunque, sui fiumi, sui laghi, fin dentro al mare o sulle vette dei monti. Sul litorale, partendo da nord, incontriamo le seguenti ville: quelle di Torre Marangone a Civitavecchia e delle Grottacce a S. Marinella, con porto privato; quelle di Torre Flavia e del Castello Odescalchi a Ladispoli, di S. Nicola, di Palidoro e di Tor Paterno.
Spesso le ville disponevano di peschiere, di saline e di porti. Questi ultimi sono innumerevoli (al di là di quelli di Ostia e di Roma) e ad essi vanno aggiunte le postazioni di rimessaggio lungo il percorso del Tevere. Oggi su questo tratto di costa non riscontriamo più una forte vocazione marittima. Tale negazione è dovuta alla morfologia dei luoghi (un litorale basso e sabbioso), al delta del Tevere (presenza ingombrante e instabile) e insenature scarse, se non assenti. Tutti questi elementi hanno contribuito nel tempo a negare una vocazione marittima, ma non hanno impedito la costruzione degli attuali porti: Civitavecchia, Fiumicino, Porto di Roma, Anzio, Nettuno. Non riscontriamo un’attività peschereccia di rilievo, il fine dei porti è prettamente funzionale. L’attività nautica, insieme con quella commerciale, interferisce sulla naturalità dei luoghi. La scarsa pescosità è dovuta all’intensa attività portuale e alla presenza di impianti industriali costieri. Tra le ville più spettacolari, dove è possibile vedere una peschiera menzioniamo Torre Astura, costruita su di uno scoglio, al di sopra di immense vasche artificiali dedicate a tali allevamenti.
Un ulteriore elemento importante per il litorale è costituito dalle torri costiere. Per rendere più sicuro l’entroterra dalle minacce moresche furono costruite lungo le coste delle torri, ancor oggi in gran parte visibili. Oltre alle torri, sorgono sulla costa i castelli di S. Severa, degli Odescalchi a Palo, quello di Ostia voluto da papa Giulio II e quello di Nettuno eretto da Alessandro VI Borgia.

4. Conclusioni
Dalla sovrapposizione dei dati demografici, dell’analisi geostorica e dell’osservazione cartografica, si constata che in quest’area è andata perduta l’idea di confine, sono cambiate le forme, le strutture e gli usi delle aree costiere. L’assetto sociale, economico e cultuale ha subito profonde modifiche. Quanto fin qui riportato non è ascrivibile semplicemente come nomenclatura astratta relativa all’occupazione dello spazio, ma trattasi di realtà osservabile direttamente. Attraverso le foto aeree è possibile verificare che esiste una città continua che da Roma si spinge verso il mare e da qui si allunga in modo lineare, in direzione nord-sud. In alcune aree la conformazione originaria resiste agli attacchi esterni dell’urbanizzazione incontrollata. Maccarese, Torrimpietra e Palidoro, antichi nuclei della bonifica, ne mantengono i tratti distintivi che, invece, sono andati perduti in centri come Focene, Fregene, Passoscuro e Isola Sacra, ove si è imposta una struttura di insediamento concentrato. In questi contesti urbani gli attori sociali hanno contribuito alla trasformazione delle caratteristiche morfologiche e insediative. Le aree e gli insediamenti si presentano inequivocabilmente con tracce di un passato identitario (quali ad esempio aree di bonifica o presenza del Tevere), ma al tempo stesso denunciano la mancanza di luoghi di condivisione sociale e di servizi che ne riportino la memoria storica. Nascono così nuovi paesaggi tipici, costituiti ovunque dagli stessi elementi: viali alberati che coincidono quasi sempre con l’asse stradale principale, insediamento di tipo residenziale, sporadici servizi commerciali. Percorrendo questi luoghi e avendo memoria delle descrizioni letterarie che li riguardano, possiamo affermare che siamo ben lontani da quel passato in cui il litorale era descritto come un luogo di vacanze elitarie. Qui, la presenza di popolazione è ormai rilevante non solo nei periodi estivi; ciò ha dato luogo a conseguenze poco felici, come la distruzione delle riserve ambientali, denunciando l’assoluta inconsapevolezza rispetto alla storia dei luoghi. Lungo questa costa mancano i servizi ricettivi e turistico-balneari, sono presenti aree gravemente inquinate dagli scarichi e vi è una completa assenza di programmazione. Da tutti questi elementi messi insieme deriva l’incapacità di riuscire a trasformare le aree litoranee in fonte economica per il territorio provinciale.
Scopo del presente lavoro è il reinserimento nella vita moderna di beni che possono avere indubbi usi sociali e economici, il cui utilizzo favorisca una maggiore re-identificazione delle comunità insediate in un territorio in trasformazione. A tale proposito, Giuseppe Dematteis e Francesca Governa illustravano molto chiaramente il senso da attribuire al concetto molto ampio di identità territoriale. Gli autori evidenziavano come l’idea di identità, trasferita in una dimensione territoriale, altro non è che il momento di incontro di tre diversi “assi” di analisi: «quello della coerenza interna, che rinvia alla differenza e al confine con l’altro; quello della continuità nel tempo, che chiama in causa memoria, tradizioni, abitudini, e quello della tensione teleologica, che si collega all’azione proiettata nel futuro» (Dematteis, Governa, 2003, p. 265-266). Questi tre diversi momenti – proseguono gli autori – intervengono alternativamente in base agli obiettivi di studio: in funzione delle città o delle regioni, ad esempio, sono spesso chiamati in causa i primi due assi (coerenza interna e memoria), mentre nel caso di analisi sullo sviluppo, in linea teorica, si tende a privilegiare più la tensione teleologica che non gli altri due tipi di approccio. Il risultato, come in effetti molto spesso si nota, è lo svuotamento dell’idea di identità territoriale e l’inevitabile approdo verso territori retorici. Solo la simultanea considerazione dei tre assi indicati può originare, forse, «un significato cognitivo e, in una certa misura oggettivo, all’identità territoriale» (ibidem, p. 266) evitando così il rischio di definizioni parziali e rischiose oltre che nostalgico-regressive.

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