The name of the territory – Il nome del territorio

The “grain of a territory”, to use Kevin Lynch’s term, referring to the mix of how the various elements of a settlement – activities, people, buildings – are clustered in space, evokes a sense of place that can be associated with a historical image capable of identifying that place and only that place. When forward-thinking public administrations activate procedures, programming systems, and activities to support and promote the name of the local context, it is possible to witness particularly innovative interventions with their specific imprint.

La grana di un territorio, per dirla con Kevin Lynch, inteso quale mix delle varie modalità in cui i diversi elementi costitutivi di un insediamento – attività, persone, edifici – si affastellano nello spazio, richiama ad un senso del luogo al quale può essere associata un’immagine storica in grado di identificare quel luogo e solo quel luogo. Quando le pubbliche amministrazioni più lungimiranti attivano procedimenti, sistemi di programmazione, attività per supportare e veicolare il nome del contesto locale di appartenenza, si può assistere a casi di intervento particolarmente innovativi nella loro specifica impronta di intervento.

Si tratta di processi, sulla base di strumenti o strategie, che possono assumere le sembianze di branding, in caso si tratti di una strategia che fa leva sui valori ed i significati espressi da una località, affinché essa riverberi un’idea di sé legata alla propria originale, irripetibile personalità; oppure di sistemi di pianificazione, nel caso in cui, invece, ci si rifaccia ai documenti programmatici, i piani integrati di conservazione, i quali intervengono come supporto alle politiche di recupero dei centri storici dei comuni ricadenti in un’area regionale specifica (il caso illustrato in questo numero fa riferimento alla Val d’Agri, in Basilicata), attraverso azioni per la riqualificazione del patrimonio edilizio e della sua immagine storica.

Interventi non banali, si diceva, laddove si parta dal presupposto che un territorio è fortemente individuato attraverso una specifica identità, che è possibile indagare sulla base di strumenti sociologici e di antropologia culturale.
Le possibilità di lettura di un territorio, sebbene ampie e diversificate, devono comunque richiamare ad un significato più ampio basato sulla considerazione di un patrimonio da considerarsi quale “bene culturale diffuso” all’interno del quale tutti gli interventi ipotizzabili rispondano ad esigenze di evoluzione invocate anche dai singoli abitanti.

In questo senso il territorio si fa portatore di una molteplicità e complessità di significati e di valori che impongono a chi vi interviene di utilizzare un’attenzione sensibile e focalizzata sposata ad un atteggiamento improntato alla comprensione; non ci si riferisce ai tentativi di dare banalmente un nome ad un territorio, ma di interventi che mirano a ricomporre, re-interpretandoli, i momenti di contrasto e di interazione esistenti nel luogo considerato e traducibili in termini di stratificazioni culturali e sociali.
Il progetto di intervento mira, in questo modo, a divenire processo nella misura in cui l’esperienza di cui esso si arricchisce durante l’approccio con il contesto locale, permette una replicabilità della metodologia in altri territori, e quindi una modalità di approccio che rende il luogo una sorta di “learning place”, inteso come territorio che impara anche dagli interventi esterni che lo utilizzano quale oggetto d’azione (e sperimentazione).