Digital curation
Il Web sta diventando sempre più il luogo di asset informativi di grande rilevanza scientifica e culturale, che non hanno alcuna controparte fisica e richiedono un’adeguata rappresentazione e un management efficace.
A fronte di uno scenario che all’alba del XXI secolo ha assunto le proporzioni di un diluvio, la digital curation intende occuparsi di «maintaining, preserving and adding value to digital research data throughout its lifecycle»(1). Questo recente concetto si fonda dunque su un approccio che va oltre le metodologie e i sistemi consolidati della digital preservation: la conservazione è momento certamente necessario, ma non sufficiente. Risulta altresì fondamentale aggiungere valore ai dati lungo tutto il loro ciclo di vita.
Sul Web i contesti d’uso sono soggetti a cambiamenti continui: aggiungere valore significa fra l’altro offrire all’utenza una rappresentazione e un trattamento adeguati alle dinamiche dell’informazione digitale nonché alle mutate esigenze del contesto d’uso e di accesso ai dati.
Background
La necessità di offrire all’utenza una rappresentazione e un trattamento adeguati delle risorse digitali ? soprattutto di natura culturale e storico-artistica ? nonché un accesso funzionale ed efficace risultano collegati a numerose e significative questioni: tipologia dell’utenza, esigenze informative, pattern del processo di ricerca, usabilità degli strumenti di consultazione, ecc. Nella breve panoramica che segue vengono illustrate le tematiche principali e la cornice operativa entro la quale va inserita la proposta progettuale che rappresenta l’oggetto di questo studio.
Esiste ormai un consenso diffuso circa la classificazione delle esigenze o intenti in base ai quali viene cercata informazione sul Web; la richiesta di un utente può mirare a:
1) raggiungere un determinato sito già visitato in precedenza o che si presume esista (navigational intent);
2) reperire informazioni d’interesse su un argomento (informational intent);
3) raggiungere un sito dove avrà luogo un’ulteriore interazione (transactional intent).
Le analisi dei dati sulla frequenza di queste tipologie giungono invece a conclusioni sensibilmente diverse. La caratteristica principale di un intento informativo sarebbe quella di essere di natura estremamente ampia; in ogni caso, sembrerebbe che il 15% delle richieste miri a recuperare un buon set informativo sul soggetto anziché singoli documenti rilevanti (Broder 2002). Diversamente, il campione esaminato da Rose e Levinson 2004 segnala che l’obiettivo di ottenere informazioni sull’argomento d’interesse copre poco più del 35% delle query. Secondo uno studio più recente, le ricerche del tipo 2) rappresenterebbero invece l’80%, con esigenze informative che si collocano lungo un continuum che va da “molto specifico” a “molto generico” (Jansen ed altri 2008). Le percentuali possono naturalmente variare in relazione al contesto o al settore d’interesse, ma il dato ricorrente è che una parte significativa delle richieste muove da un obiettivo più generale di apprendimento (ad esempio, Choo ed altri 2000), che prevede anche attività di analisi, sintesi, confronto e interpretazione. In questo processo di ricerca esplorativa (Marchionini 2006), l’utente, con un’idea e una comprensione vaga del suo obiettivo, dovrà probabilmente raffinare e/o progressivamente riformulare la query che esprime la sua esigenza informativa.
Gli attuali paradigmi dell’Information Retrieval, che postulano una sorta d’incontro diretto fra l’utente e un set di risultati considerati soddisfacenti e rilevanti per la query iniziale, sono assolutamente inadeguati a modellare un processo esplorativo, la cui natura dinamica è meglio descritta dal berrypicking model: un percorso a curve che rende bene l’idea di un utente che può cambiare la direzione del suo interesse e della sua query, dopo aver acquisito nuovo sapere dalle risorse incontrate lungo il suo tragitto di ricerca (Bates 1989).
Nel settore del patrimonio storico-artistico e culturale italiano, le istituzioni o i sistemi informativi che hanno reso accessibili online le loro collezioni o raccolte di risorse digitali offrono tipicamente all’utente una ricerca per parole-chiave insieme a un sistema di categorie tipologiche navigabili. La prima è adatta a semplici verifiche mirate, richiede la formulazione di query e restituisce elenchi lineari di risultati: da un lato, l’utente può avere difficoltà a specificare in una query un’esigenza informativa di partenza che è ampia; dall’altro, la presentazione lineare dei risultati non offre alcun supporto al browsing, all’analisi e al processo di sense-making che una ricerca di natura esplorativa invece richiede. L’altra modalità presenta un insieme di categorie organizzate in base a un paradigma gerarchico ? basato su una enumerazione a priori di classi e sottoclassi ? che si prestano a un browsing unidirezionale e unidimensionale: soluzione certo funzionale a ordinare gli item delle collezioni o delle raccolte, ma non sempre adatta a un reperimento veloce e agevole delle risorse d’interesse da parte dell’utenza.
La classificazione a faccette (Faceted Classification) rappresenta un’alternativa o meglio una modalità complementare adatta a supportare i processi di natura esplorativa, che riguardano in primo luogo l’utente comune, non esperto (Marchionini e Brunk 2003; Hearst 2006). Esistono approcci sensibilmente diversi a questa tecnica (Broughton 2006):
1) nell’ambito dell’e-commerce, gli attributi dei prodotti (marca, anno, materiale, colore, prezzo, ecc.) sono considerati faccette e la loro elencazione ? in ordine d’importanza, di popolarità o di altro criterio ? una classificazione a faccette. Si tratta invero di una tassonomia relativa ad una sola faccetta (entità concreta/prodotto) formata dagli aspetti subordinati di questa (sottofaccette o arrays);
2) in altri contesti informativi, la nozione di faccetta sembra coincidere con l’attributo/campo e la struttura a faccette sovrapporsi alla struttura della base di dati, senza distinzione alcuna fra informazione intrinseca ed estrinseca;
3) in contesto biblioteconomico e bibliografico, l’analisi e la classificazione a faccette si applicano soltanto all’informazione intrinseca, semantica.
A differenza del modello gerarchico, uno schema di classificazione a faccette viene costruito dal basso, a partire dalle descrizioni dei contenuti di soggetto delle entità che fanno parte dello spazio informativo d’interesse. Gli enunciati vengono analizzati nei concetti elementari che li compongono; i concetti o, meglio, i termini che li rappresentano vengono poi riuniti in gruppi per il fatto di condividere un aspetto, un punto di vista costante (faccetta) entro l’ambito di applicazione o del contesto d’uso. Ogni faccetta è mutualmente esclusiva o, anche, ortogonale, nel senso che è autonoma e non si sovrappone alle altre. Una struttura di questo tipo ha il pregio di essere estensibile: mentre in un sistema gerarchico l’introduzione di una classe comporta la ridefinizione del livello classificatorio interessato insieme ad una parziale riclassificazione, in un sistema a faccette l’aggiornamento non ha alcun impatto sull’impianto della struttura; ha il vantaggio di essere aperta e multidimensionale, nel senso che pone sullo stesso piano tutti i punti di vista che descrivono il dominio, consentendo all’utente di avere una presentazione chiara e complessiva di tutte le prospettive dalle quali una ricerca può partire, favorendo così una navigazione con molteplici punti d’ingresso. Descrivere o, meglio, indicizzare un’entità informativa equivale a classificare l’entità in base ai valori che questa assume in ragione delle faccette possedute dal suo contenuto informativo (per una panoramica, Maple 1995 e La Barre 2006).
Un’interfaccia di ricerca strutturata secondo il paradigma a faccette non richiede alcuna conoscenza a-priori dello schema di organizzazione dei contenuti. Con questo tipo di browsing l’utente può scegliere la prospettiva e il valore d’interesse: ogni selezione restringe il set di risultati rilevanti. A ogni passaggio, il sistema suggerisce altre faccette con i relativi valori per restringere ulteriormente il focus della ricerca e dunque lo spazio informativo. In questo modo, viene formulata implicitamente una query di selezione, con l’aggiunta a ogni passaggio di un parametro restrittivo: lo scopo di questo processo implicito e graduale di specificazione della query è di condurre l’utente a un set compiuto e gestibile di risorse rilevanti. Il paradigma di visual query consente all’utente di sottrarsi alle difficoltà insite nella formulazione esplicita e soprattutto nella specificazione di una query testuale, e gli evita set di risultati vuoti tipici di una ricerca diretta in modalità avanzata (Plaisant ed altri 1997; Gibbins ed altri 2003).
Anche nel settore del Digital Cultural Heritage (DCH), e nell’ambito della ricerca che si occupa di interfacce di ricerca in questa direzione, risulta ormai acquisito un ampio consenso circa l’esigenza di andare oltre la keyword search e il browsing per categorie piatte o strutturate in modo simil-gerarchico, così da offrire all’utenza comune un accesso più aperto, dinamico, flessibile e amichevole alle risorse digitali culturali. Fra le tendenze emergenti dal dibattito scientifico e l’applicazione concreta si misura ancora una certa distanza, anche se l’interesse verso il browsing a faccette o analoghe forme di organizzazione e di display dell’informazione è vivo e attuale, come testimoniano alcuni illustri casi di sistemi informativi di DCH:(2)
– Collections Search Center (Smithsonian Institution);
– ExplorARTorium;
– Flamenco Fine Arts Search (Fine Arts Museums, San Francisco);
– Metadata for Architectural Contents in Europe (MACE);
– Online Collections Home (Penn Museum).
La letteratura sull’argomento offre un’infinità di studi empirici su interfacce di ricerca e di consultazione che supportano paradigmi esplorativi, parte dei quali può essere utilmente ricondotta a due categorie: da un lato, le indagini che illustrano la progettazione e l’evoluzione di interfacce espressamente ideate per interagire con sistemi di Cultural Heritage Information Retrieval (CHIR); dall’altro, le ricerche che si basano su interfacce progettate ad hoc per investigare i comportamenti dell’utenza in situazioni e contesti determinati.
Questo studio ha per oggetto un’interfaccia di faceted browsing di un sistema di CHIR, in particolare di immagini digitali di rilevanza storica e sociale; il quadro di riferimento fin qui tratteggiato delinea lo scenario concettuale e operativo al quale appartiene l’oggetto di studio. Per quanto riguarda i presupposti e le relative implicazioni d’inquadramento nella letteratura di settore, l’interfaccia:
1) è espressamente progettata per un effettivo utilizzo in contesto di recupero dell’informazione;
2) rappresenta per così dire un banco di prova per monitorare l’usabilità delle funzioni implementate e le specifiche modalità d’interazione da parte dell’utenza.
Dopo aver affrontato alcune questioni teoriche e metodologiche riguardanti l’indicizzazione dell’immagine, vengono illustrati in dettaglio gli aspetti teorici, metodologici e operativi dei componenti dell’interfaccia.
Il carattere istituzionale e centralizzato dell’attività di catalogazione e di documentazione riguardante il patrimonio storico-artistico italiano ha avuto e continua ad avere importanti implicazioni sulle modalità di accesso alla controparte digitale sul Web. In generale, l’architettura degli attuali sistemi di recupero dell’informazione è modellata su standard di metadati progettati da, e rivolti a, professionisti dei vari settori coinvolti. Attraverso l’esame di un caso di concreta applicazione, l’obiettivo di questo studio è di mettere in evidenza i presupposti che possono concorrere a un miglioramento in termini di usability, accessibility e findability dei sistemi di CHIR, che nello scenario italiano appaiono ancora largamente deficitari per quanto riguarda le aspettative e le esigenze dell’utente comune e non esperto.
Il sistema informativo “Percorsi della memoria“
“Percorsi della memoria” è il titolo del progetto di valorizzazione storico-culturale promosso nel 2006 dall’Istituto di Storia sociale e religiosa di Gorizia (ISSR): un’estesa indagine volta al reperimento di materiale fotografico d’interesse e un’accurata opera di catalogazione hanno consentito di mettere insieme un significativo archivio digitale, corredato da una ricca base di dati descrittiva; un rilevante campione d’immagini – insieme ai relativi dati identificativi – è poi confluito in un sistema informativo online aperto alla libera consultazione.(3)
La nota saliente di questo sistema consiste nel fatto di offrire all’utente un sistema di esplorazione strutturato secondo le indicazioni e le raccomandazioni del Flamenco Search Interface Project: un’impostazione che segue in buona sostanza l’approccio alla facet analysis (analisi a faccette) di matrice statunitense (Cuna 2006).
Ulteriori approfondimenti e implementazioni successive hanno non solo ampliato la cornice metodologica e operativa di partenza, conducendo così a una revisione o, meglio, a una versione 2.0 del sistema, ma hanno anche determinato una riflessione più attenta sull’indicizzazione dell’immagine fotografica.
Fotografia, immagine e storia
L’immediatezza dell’immagine colpisce l’emozione e l’immaginazione, perché cattura lo sguardo ed è diretta; poi, può anche volgersi allo scrutinio della ragione. L’immagine è comunicativa ma non allo stesso modo della parola scritta. Può offrire risorse interpretative inaspettate, ma recare anche insidie. Le figure 1-2 sono esempi di una documentazione spesso misconosciuta e dimenticata negli archivi; immagini di sguardi, volti, persone, oggetti, ambienti, luoghi, vicende, momenti di vita sociale e religiosa che la storia per così dire maggiore ha trascurato e ignorato a lungo.
Fig. 1 – Wilhelm Clauss (ritratto a figura intera), Klosterneuburg (Vienna) 1905 (Archivio fotografico dell’Arcidiocesi di Gorizia, PBN00175_00186; http://www.issrgo.it/istituto/index.asp?numero=666.jpg
Fig. 2 – Ricamatrici (ritratto di gruppo), Cormòns (GO) 1899 (Archivio fotografico dell’Arcidiocesi di Gorizia, C00034; http://www.issrgo.it/istituto/index.asp?numero=371.jpg
L’immagine fotografica può essere anche fonte storica, ma non nel modo in cui lo sono state e lo sono le fonti che si prestano all’esegesi e alla critica tradizionali. Sembra che ogni fattispecie fotografica richieda un’interpretazione a sé in relazione al “vissuto” di cui offre testimonianza.
Varie discipline hanno concorso a mettere a punto categorie e strumenti interpretativi che aiutano a cogliere il linguaggio di quella particolare espressività e forniscono indicazioni preziose a chi più modestamente si occupa di individuare le vie e i modi più agevoli atti a far conoscere il considerevole patrimonio storico-culturale trasmesso da questi “documenti di realtà”.
Essenza oggettiva di alcunché
La cultura positivistica considera l’immagine fotografica un documento oggettivo: non raffigura ma riproduce, registra fedelmente il reale. Il ritratto – genere in gran voga agli albori dell’arte – rappresenta la testimonianza più evidente di questa sconcertante precisione: uno specchio che «garde toutes les empreintes»; mai prima di allora «le dessin des plus grands maîtres n’a produit de dessin pareil». La gran parte degli artisti è naturalmente di avviso diverso e si rifiuta di accogliere nel campo dell’arte questo prodotto della tecnica (Chapuis 2008).
Appena qualche decennio dopo, l’atteggiamento verso la fotografia cambia e si manifesta un interesse, pur critico e sorvegliato, per il mezzo fotografico quale strumento di documentazione e d’indagine; risulta tuttavia chiaro che la presunta oggettività rappresenta un’illusione (Berenson 1990, p. 185):
Per cominciare dobbiamo scartare l’idea che la fotografia riproduca un oggetto com’è, quale essenza oggettiva di alcunché […] la macchina fotografica è uno strumento nelle mani del fotografo.
Non solo resta fondamentale l’approccio diretto con l’originale, ma occorre anche tener conto del fatto che l’immagine può recare in sé la soggettività del produttore, veicolare messaggi intenzionali. L’orologio tenuto in mano e in bella mostra da Gaspard Ziegler – nel ritratto che ne fa il cugino Henri – è per l’osservatore di allora un riferimento al lungo tempo di posa della fotografia delle origini, mentre al fruitore di oggi può suggerire una semplice riflessione sul trascorrere del tempo; gli altri elementi contenuti nell’immagine, o anche soltanto suggeriti, possono prestarsi a letture diverse e interpretazioni differenti.(4)
Il ritratto a figura intera di Wilhelm Clauss (fig. 1) è, nell’intenzione del produttore o meglio del committente, un’immagine destinata alla memoria intima di parenti e familiari; d’altro canto, l’individuo è anche un tipo sociale e la sua figura rinvia a elementi socio-culturali (Barthes 2003, p. 35):
Dal momento che ogni foto è contingente (e per ciò stesso fuori senso), la Fotografia può significare (definire una generalità) solo assumendo una maschera. Questa è la parola che giustamente Calvino usa per designare ciò che fa d’un volto il prodotto di una società e della sua storia.
L’immagine fotografica reca dunque con sé anche messaggi non intenzionali, potenziali che giungono al destinatario nel momento in cui immagine e fruitore s’incontrano: il naturale tentativo di ricondurre quanto è rappresentato a coordinate socio-culturali note significa anche trovare un’adeguata collocazione (spazio-)temporale al contenuto fotografico. In ogni caso, il tempo dell’immagine fotografica non è soltanto la sua datazione, è anche per così dire una temporalità a due facce (Benjamin 1982, p. 577 s.):
Bild ist dasjenige, worin das Gewesene mit dem Jetzt blitzhaft zu einer Konstellation zusammentritt. Mit anderen Worten: Bild ist die Dialektik im Stillstand. Denn wahrend die Beziehung der Gegenwart zur Vergangenheit eine rein zeitliche, kontinuierliche ist, ist die des Gewesenen zum Jetzt dialektisch: ist nicht Verlauf sondern Bild, sprunghaft. – Nur dialektische Bilder sind echte (das heist: nicht archaische) Bilder; und der Ort, an dem man sie antrifft, ist die Sprache.
Così, mentre la relazione del presente con il passato è puramente temporale, continua, quella fra ciò-che-è-stato (Gewesen) e presente (Jetzt) è [invece] dialettica: non svolgimento ma immagine, improvvisa. Per Benjamin, questo particolare rapporto sfugge al normale fluire del tempo, alla continuità della storia: l’immagine dialettica diviene genuinamente storica nel momento in cui ciò-che-è-stato viene portato sul piano del presente; l’intrico o il conflitto dialettico è dipanato quando il legame temporale con ciò-che-è-stato viene trasferito nel linguaggio che colloca l’immagine nel presente: ciò produce significato.
Questo viluppo di passato nel presente rappresenta una rivoluzione antropologica nella storia, perché istituisce un tipo di coscienza senza precedenti: non dell’essere-là, ma dell’essere-stato-là. Ciò conduce a una nuova categoria spazio-temporale: immediatezza del luogo e anteriorità del tempo, realizzandosi nella fotografia una congiunzione illogica fra il qui e l’altrove (Barthes 1964, p. 47 e Barthes 1967, p. 74). A questa illogica tensione spazio-temporale si congiunge o si sovrappone, infine, il senso del reale. Il messaggio intenzionale e quelli non intenzionali – che restano affidati alla sensibilità di chi osserva – non bastano ancora a definire l’essenza autentica della fotografia: il referente fotografico o l’essenza di una fotografia (Barthes 1980, p. 120) non è
la chose facultativement réell à quoi renvoie une image ou un signe, mais la chose nécessairement réelle qui à été placée devant l’objectif, faute de quoi il n’y aurait pas de photographie.
L’indicizzazione dell’immagine fotografica
Le riflessioni di Walter Benjamin e soprattutto di Roland Barthes offrono numerosi spunti per integrare il ben noto approccio all’analisi del soggetto messo a punto da Sara Shatford Layne e alcune indicazioni utili alla progettazione delle interfacce di ricerca/esplorazione rivolte all’utente.
L’approccio della studiosa si basa sul modello di lettura iconografica e iconologica formulato da Erwin Panofsky che individua tre livelli di soggetto nell’opera d’arte (Panofsky 1975, p. 16 s.):
1) il soggetto primario o naturale (descrizione preiconografica);
2) il soggetto secondario o convenzionale (identificazione iconografica);
3) il significato intrinseco (interpretazione iconologica).
Lo schema di lettura elaborato da Shatford Layne o, almeno, la parte di questo applicabile al caso tipico prevede (Shatford 1986, da integrare con Shatford Layne 2002):(5)
1) descrizione in termini generici (of-ness generico);
2) identificazione in termini specifici (of-ness specifico);
3) interpretazione (about-ness).
L’analisi della figura 2 può chiarire i limiti di questa impostazione; il contenuto dell’immagine è infatti leggibile soltanto in base ai primi due livelli: 1) donne e bambini/e (of-ness generico) e 2) ricamatrici (of-ness specifico). Il terzo livello di lettura – l’interpretazione o il significato cui il referente fotografico può alludere – appare problematico, in quanto non è presente alcun elemento che possa ricondurre a un qualche messaggio sotteso, implicito. Nell’ambito dell’immagine d’arte, l’about-ness costituisce elemento essenziale dell’analisi del soggetto nel caso in cui il riferimento simbolico, allegorico o per così dire di rimando appaia dichiarato o evidente; nel caso in cui risulti tenue e sfuggente perché l’interpretazione dipende dalla soggettività di chi osserva, l’about-ness può anche essere tralasciato (Shatford Layne 2002). L’about-ness sarebbe dunque il fattore costitutivo che differenzia un’immagine d’arte da un’immagine che d’arte non è. Tuttavia, questo tipo d’immagine non è soltanto una riproduzione del reale, ma anche una finestra aperta su ciò-che-è-stato e questo essere-stato è nel “qui” e “ora” di chi osserva. L’essenza visiva reca con sé un qualcosa di evocativo: fa riemergere dal passato una “favilla di contingente” o infligge a chi osserva un punctum.
Questo implica che la lettura dell’immagine non si esaurisce nel continuum che spazia dal generico allo specifico, volto a descrivere e identificare la realtà riprodotta per poi ricondurla entro un sistema di categorie modellato sui tipi concettuali dei soggetti; implica altresì che è opportuno fornire ulteriori punti di vista e di accesso non già sull’immagine ma nell’immagine.
Se non è possibile formalizzare in un qualche modo l’interazione fra studium e punctum come anche stabilire regole in base alle quali conoscere in anticipo il punctum – dimensione totalmente confinata nella soggettività di chi osserva l’immagine – l’approfondimento del livello sull’immagine equivale a trattare sistematicamente l’of-ness: da un lato, sull’asse del continuum generico/specifico che dalla descrizione giunge all’identificazione; dall’altro, sull’asse delle associazioni; e questo è un compito di pertinenza dell’indicizzatore. (6)
L’approfondimento del livello nell’immagine ovvero il far emergere un significato che si forma nel momento del punctum è invece demandato allo spettatore: nell’èra del Web 2.0 egli può liberamente associare al contenuto visivo la parola chiave (tag) che meglio esprime la “fitta emozionale”, lo stato d’animo o altro ancora suscitato in lui dalla visione dell’immagine. È dunque verosimile che tagging e folksonomie raccolgano fra le altre anche attestazioni di about-ness barthesianamente intesa (la bibliografia sull’argomento ha raggiunto, per quantità e qualità, dimensioni notevoli: per un primo approccio si vedano Trant 2006a e Trant 2006b).
Così, la nuova versione del sistema informativo online “Percorsi della memoria” dovrebbe offrire all’utente la possibilità di registrare il suo “punto di vista” circa l’immagine che ha sotto gli occhi e di esplorare il relativo insieme di parole chiave. Accanto alla struttura di consultazione predefinita e controllata, il sistema fornirebbe un’altra via di accesso alle immagini resa possibile dalle descrizioni, identificazioni e interpretazioni formulate dall’utente senza alcun vincolo di terminologia o di classificazione.(7)
L’interfaccia di consultazione
L’interfaccia di consultazione attuale(8) è strutturata secondo le indicazioni e le raccomandazioni del Flamenco Search Interface Project: un’impostazione che segue in buona sostanza la concezione della facet analysis (analisi a faccette) di matrice statunitense (Hearst 2009 e Cuna 2011, pp. 881-92). I principi di questo metodo sono stati, per così dire, codificati nello standard ANSI/NISO Z39.19-2005 (p. 14):
– l’analisi a faccette è un approccio induttivo all’organizzazione del sapere particolarmente utile all’organizzazione logica delle risorse elettroniche, in un ambito nel quale non si pongono problemi di ubicazione e di collocazione: ciò implica in buona sostanza la scarsa utilità di un sistema di notazione;
– pur non entrando nel contesto applicativo, lo standard esemplifica quali possano essere gli attributi o le faccette di una risorsa: soggetto, autore, localizzazione, formato, lingua;
– il concetto di faccetta corrisponde in buona sostanza con quello di attributo in senso informatico.
Sembra che l’ANSI/NISO Z39.19-2005 recepisca appieno lo standard de facto da tempo imposto al Web dai siti di e-commerce, dove compaiono strutture a faccette che riprendono semplicemente gli attributi del prodotto (Denton 2003 e Adkisson 2005). Nonostante l’esplicito cenno al lavoro di perfezionamento apportato dal Classification Research Group a questa metodologia, non è menzione alcuna del fatto che l’analisi a faccette ha a che fare in primo luogo con contenuti di soggetto (Broughton 2006, p. 60 s.). Accanto a questo considerevole presupposto, che differenzia in modo così netto la concezione statunitense da quella inglese, v’è poi nel contesto dell’immagine fotografica anche la significativa riflessione di Barthes, che individua il referente fotografico nella «chose nécessairement réelle qui à été placée devant l’objectif» (Barthes 1980, p. 120) e che rafforza sul piano teorico quel presupposto.
Per questa duplice ragione l’interfaccia della seconda versione di “Percorsi della memoria” è il risultato di un’analisi che ha individuato faccette e relativa terminologia unicamente sulla base degli enunciati riconducibili ai soggetti delle immagini(9). L’informazione contestuale interviene in un secondo momento con finalità per l’appunto di contestualizzazione spazio-temporale(10).
Caratteristiche
In generale, l’accesso all’informazione segue il modello di berrypicking: lungi dal presupporre che l’esigenza informativa iniziale resti statica ed immutabile lungo tutto il processo, questo approccio sostiene invece che il percorso sia di natura dinamica e incrementale; l’interesse iniziale può subire aggiustamenti e anche cambiamenti suggeriti in punti e momenti diversi secondo i dati che l’utente può incontrare nella sua ricerca (Bates 1999).
Il contesto operativo del processo di ricerca si basa su un browse-and-search framework che riprende le caratteristiche principali del progetto Flamenco(11):
1) presentazione esplicita delle faccette e delle relative sottofaccette: questa struttura offre una visione d’insieme sui contenuti della raccolta e sullo spazio informativo coperto dal sistema e propone una modalità di consultazione che richiama idealmente l’esperienza del browsing the shelves di una biblioteca aperta;
2) anteprime di query associate ad ogni sottofaccetta: questo indicatore è utile a orientare le fasi successive della ricerca;
3) gerarchizzazione interna – se presente – della sottofaccetta (tooltip che si apre portando il puntatore sulla voce d’interesse);
4) percorso di ricerca seguito dall’utente: indica la posizione all’interno del sistema e riduce il memory load;
5) presentazione sistematica del set di risultati: a differenza di un’elencazione lineare, una strutturazione secondo la gerarchia interna alla sottofaccetta favorisce il processo di sensemaking;
6) approccio per finestre separate: consente di non perdere di vista l’interfaccia principale.
Fig. 3 – Pagina con i risultati della selezione Attività > Attività relative alla religione, con elementi e funzionalità dell’interfaccia offerti all’utente
La figura 3 offre una visione sintetica di queste e di altre caratteristiche minori: le immagini sono raggruppate per tipo di attività e presentate in ordine cronologico. Sulla parte sinistra della pagina, sono presenti i termini di tempo e di luogo in base ai quali è possibile effettuare un raffinamento del set di risultati, che comporta una contestualizzazione cronologica o di luogo del soggetto esplorato. In alto a destra, è presente l’indicazione del percorso di ricerca seguito, mentre a sinistra il motore di ricerca al quale è associata una funzionalità di autosuggerimento. Portando il puntatore sull’immagine, si produce un effetto di zoom, mentre cliccando sull’identificativo che precede la didascalia sottostante si apre la relativa scheda. I sottoinsiemi particolarmente ricchi sono paginati al fine di limitare lo scrolling.
Queste sono le modifiche principali che hanno per ora interessato la revisione del sistema informativo “Percorsi della memoria”: restano da definire aspetti di layout e di grafica come anche elementi relativi all’interazione sistema-utente.(12)
Note
(1) Vedi What is digital curation? (DCC, Digital Curation Center), http://www.dcc.ac.uk/digital-curation/what-digital-curation.
(2) Collections Search Center (Smithsonian Institution): http://collections.si.edu/search.
ExplorARTorium: http://www.explorartorium.info.
Flamenco Fine Arts Search (Fine Arts Museums, San Francisco): http://orange.sims.berkeley.edu/cgi-bin/flamenco.cgi/famuseum/Flamenco.
Metadata for Architectural Contents in Europe (MACE): http://portal.mace-project.eu.
Online Collections Home (Penn Museum): penn.museum/collections.
(3) L’interfaccia di consultazione del sistema è consultabile all’indirizzo http://www.issrgo.it: menù orizzontale in alto, Archivio del Capitolo > Archivio fotografico Arcidiocesi di Gorizia.
(4) Il ritratto di Gaspard Ziegler apre l’articolo di Chapuis 2008.
(5) Questo approccio è stato recepito dalle Categories for the Description of Works of Art (CDWA), standard di rilievo internazionale messo a punto presso il Getty Research Institute: vedi Harpring 2002.
(6) Terminologia e relazioni vanno naturalmente verificate sulla base di un vocabolario controllato: nel nostro caso, il Nuovo soggettario THESAURUS (http://thes.bncf.firenze.sbn.it/ricerca.php); questo tipo di indicizzazione esaustiva può tuttavia sconfinare in una sorta di of-ness interpretativa, quando all’immagine vengono associati concetti astratti che hanno legami labili con il soggetto.
(7) Il tagging è una delle forme mediante le quali si manifesta l’intelligenza collettiva del Web 2.0: questa modalità di partecipazione diretta dell’utenza alla creazione o, meglio, alla categorizzazione dell’informazione relativa alle risorse informative online ha imposto l’esigenza di gestire i dati in base a strutture aperte alla partecipazione e alla collaborazione da parte delle comunità di utenti. Il prosumer è al tempo stesso un produttore e un fruitore che opera all’interno di progetti collettivi, caratterizzati dalla condivisione dei tag e dallo sviluppo di classificazioni informali dei contenuti (folksonomie). L’attività di social tagging è ormai largamente diffusa e praticata in una pluralità di contesti e viene sempre più presa in considerazione anche nell’ambito di progetti volti ad offrire nuove vie di accesso all’informazione relativa al patrimonio culturale e storico-artistico. Steve (http://www.steve.museum) ed explorARTorium (http://www.explorartorium.info) rappresentano iniziative esemplari ed offrono valide indicazioni sulle nuove forme di gestione e d’interazione, anche se in relazione a scenari piuttosto ampi e contesti d’uso consolidati. Per realtà culturali e informative più delimitate e circoscritte sembrano esservi problemi di approccio circa il ruolo attivo dell’utente e, forse, l’utilità di questi strumenti, come dimostrano i dati del monitoraggio server-side relativo alle forme di consultazione più utilizzate dell’esposizione online Luciano Morandini: lo sguardo e la ragione (http://www.cataloguing-science.org/public/morandini/index.php): da questo monitoraggio – ancora in corso – si attendono indicazioni quantitative e qualitative precise al fine di elaborare un’impostazione valida ed efficace per la nuova versione del progetto qui in discussione.
(8) Vedi sopra nota 2.
(9) L’interfaccia di browsing è consultabile all’indirizzo http://www.cataloguing-science.org/public/issrgo/indice.php. Si tratta ancora di un prototipo in fase di test che presenta soltanto alcune faccette e relative sottofaccette attive.
(10) A differenza del contenuto o soggetto che è intrinseco all’«oggetto d’informazione», il contesto «indicates the who, what, why, where, and how aspects associated with the object’s creation and is extrinsic to an information object» (Gilliland 2008).
(11) La documentazione relativa al Flamenco Search Interface Project è consultabile all’indirizzo http://flamenco.berkeley.edu/pubs.html.
(12) Il prototipo è consultabile all’indirizzo http://www.cataloguing-science.org/public/issrgo/indice.php.
Referenze bibliografiche*
Adkisson Heidi P. (2005), Use of Faceted Classification, http://www.webdesignpractices.com/navigation/facets.html
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* L’ultima consultazione dei siti web risale al 20 maggio 2013.