Mappe percettive
Trattare qualsiasi tema legato al territorio in epoca contemporanea è estremamente ambizioso e complesso. Le città in cui abitiamo diventano sempre meno afferrabili, sempre meno maneggiabili con gli strumenti e i paradigmi con i quali siamo abituati ad avere a che fare: prodotti, modalità di fruizione, significati e valori mutano a velocità elevatissima. I rapidi e imprevedibili mutamenti in corso puntano gli occhi sull’importanza dell’avere a disposizione strumenti in grado di farci comprendere, di giorno in giorno, di tema in tema, quello che sta succedendo e quello che potrà o potrebbe succedere.
In un mondo di cui è impossibile prevedere i prossimi passi mettere a fuoco e capire come cambiano le nostre modalità di interfacciarci e di percepire i contesti e le esperienze, le relazioni civiche, i comportamenti e le conseguenti interazioni tra le persone e i contesti significa intercettare il futuro, e dimostrare che è possibile progettarlo.
In che modo? Una rapida ricognizione di come è possibile leggere questo contesto multidimensionale che ci circonda appare necessaria. Nel contesto urbano contemporaneo discutere di città, di pianificazione e di decisioni strategiche alla scala territoriale genera dialoghi completamente diversi rispetto a qualche decennio fa. Non si tratta più, infatti, di saper maneggiare ed argomentare unicamente temi relativi ad edifici, ad infrastrutture, a servizi; sempre di più il concetto di smart city e di città sostenibile incontra inevitabilmente numerosi altri altri fattori chiave: accessibilità, connettività, dati, informazioni portano progettisti e decisiori politici a interfacciarsi con dimensioni sempre più effimere, a-spaziali e difficilmente incasellabili nei paradigmi tradizionali.
Negli anni si susseguono molteplici e affascinanti descrizioni dei fenomeni che pervadono il cambiamento delle nostre esperienze urbane; può risultare particolarmente utile narrarne i profili di fondo per cercare di far assumere una dimensione tangibile e immaginabile (rappresentabile) a questi nuovi livelli a-spaziali effimeri, dalla “città liquida” di Baumann e Castells (2003), che descrivono città dominate dal traffico di informazioni, piuttosto che dal traffico di vetture, alla “city of bits” (Mitchell, 1996), che legge la città come un sistema di spazi virtuali interconnessi da autostrade di informazione, che identifica per la prima volta la prevalenza di infrastrutture soft su infrastrutture fisiche e materiali, alla “soft city” (Pickles, 2004) che utilizza un modello per immaginare, leggere e interpretare la città riprendendo concetti propri del mondo biologico (fluido, fatto di flussi e molecole), descrivendo uno spazio senza categorie statiche (quali servizi, attività, funzioni, aree, zone); con l’idea di base che la città possa essere letta come una rete di dati temporanei, frammentati, di informazioni generate dall’interazione tra uomo e luogo: città viste e vissute attraverso i media locali ma anche quelli internazionali.
Questa informational membrane (Graham, 2004) che costituisce la nuova città invisibile si definisce progressivamente man mano che si aggiorna il concetto di cyberspace: lo spazio di internet che negli anni Ottanta e Novanta era concepito come il possibile “nuovo villaggio globale” in cui tutto sarebbe successo. L’idea di un nuovo mondo immateriale ha rimandato all’illusione che la città potesse presto “non servire più” e che in una qualsiasi campagna o deserto si sarebbe presto potuto avere la stessa accessibilità ad informazioni e servizi, la stessa qualità della vita che nel centro di una metropoli.
Ancora, l’introduzione dei concetti di cyberlocal (Graham e Zook, 2004) e data space (Thrift e French, 2002) fanno uno scarto in avanti rispetto alle interpretazioni precedenti perché si concentrano sui legami specifici tra i singoli spazi e le informazioni disponibili in essi, prendendo in considerazione le percentuali di funzionamento (soddisfazione delle aspettative rispetto alle attività possibili) dei luoghi stessi in base al funzionamento (on-off) dei codici di informazione che si trovano al loro interno, e identificando quindi rapporti inscindibili tra i nuovi spazi contemporanei ed i livelli di informazione innestati in essi.
In parallelo, con la diffusione dei mezzi tecnologici a disposizione, con l’aumento della connettività e della possibilità di associare informazioni a luoghi specifici, sempre di più le descrizioni dello spazio urbano arrivano a coincidere con le rappresentazioni dello spazio stesso, configurando dei veri e propri data space interrogabili attraverso i nuovi dispositivi mobili che indossiamo di giorno in giorno: lo spazio urbano interpretato come un insieme di dati geolocalizzati e mappati in dispositivi mobili cui gli utenti possono accedere continuamente e in tempo reale per navigare e comprendere i posti che abitano.
Non solo la città di riempie di sensori, di dispositivi fissi e mobili in grado di scambiare informazioni; sempre più quindi la città è pervasa anche da contenuti, contenuti generati e condivisi dagli utenti stessi (definizione di user generated content, OECD, 2007), contenuti geolocalizzati e non: condivisioni in tempo reale di emozioni, di stati d’animo, di pensieri legati ai luoghi, alla città e ai servizi che identificano “neo-geografie digitali” (Szott, 2006), “città palinseste” (Graham, 2009) che includono i nuovi modi di creare mappe collettive attraverso strumenti digitali, i nuovi modi di viaggiare, di riportare i viaggi, di costruire itinerari, di descrivere, interpretare e condividere le esperienze urbane personali.
In questo contesto multidimensionale, multitemporale e inevitabilmente multiforme la possibilità di restituire (e primariamente di riuscire a decifrare, leggere e interpretare) i nuovi paesaggi di informazioni attraverso linguaggi condivisi appare di fondamentale importanza: saper comprendere e cogliere le sfumature e i livelli di organizzazione e di relazioni è da considerarsi la base per qualsiasi intuizione progettuale e per l’identificazione di futuri possibili.
Interpretare la città
All’interno del Politecnico di Milano (Dipartimento Indaco, Facoltà di Design) sta nascendo una nuova linea di ricerca applicata dedicata alla progettazione di nuovi strumenti in grado di leggere, incrociare e restituire descrizioni di elementi, attori, ruoli, relazioni, flussi, conoscenze attraverso artefatti comunicativi dinamici che utilizzino linguaggi adeguati ai diversi contesti ed interlocutori.
La ricerca in corso si pone l’obiettivo di identificare nuovi linguaggi visivi che supportino attività di conoscenza e comprensione dei fenomeni urbani contemporanei; di costruire e fornire la possibilità di tradurre (attraverso l’elaborazione di adeguati modelli interpretativi e la scelta di metafore visive appropriate) e ricombinare dati ed informazioni eterogenee al fine di creare narrazioni in grado di preservare multiple interpretazioni.
Che descrizioni? Che narrazioni? Che strumenti? Immaginate di avere a disposizione uno strumento che vi permetta, in tempo reale, di interrogare la città o il territorio urbano in cui vivete, in cui progettate. Sobo mappe dinamiche che vi permettano di sapere di cosa parlano i cittadini nei vari spazi, come reagiscono all’attuazione di nuove politiche, cosa pensano del futuro di un dato quartiere in cui vivono e risiedono; ma anche quali sono i problemi giornalieri, quali le potenzialità; quali gli spostamenti principali, quali quelli ricorrenti, quali le possibili coincidenze di temi o i possibili incroci virtuosi di esigenze con potenzialità.
Immaginate che questo strumento possa essere interrogato incrociando informazioni diverse (qualitative, quantitative, generate in tempo reale dagli utenti ignari o interrogati ad hoc), o potendo scegliere di visualizzare solo quelli di una tipologia diversa.
Immaginate uno strumento in grado di fornire fotografie del reale e del contemporaneo estremamente comprensibili e chiare, restituite attraverso metafore visive appositamente studiate per i diversi interlocutori, e rispetto ai diversi e possibili livelli di accesso.
Immaginate ancora che queste descrizioni del reale riescano a superare l’imprevedibilità del futuro costruendo narrazioni del possibile che non siano mai definitive e immutabili, focalizzandosi su restituzioni visive flessibili, aggiornabili e interrogabili al fine di fronteggiare cambiamenti ed evoluzioni.
Immaginate poi di poter interrogare e manipolare queste immagini associando parametri magari insoliti, creando voi stessi una narrazione utile e significativa al vostro scopo preciso, costruendo identità effimere mutevoli e mutabili, fotografie dello stato di fatto, confronti temporali dinamici rispetto a temi selezionati, ma anche intuizioni e scenari futuri ipotizzati.
La sfida è ambiziosa, certo. La ricerca si propone di effettuare nei prossimi anni studi, progetti e sperimentazioni in grado di fornire strumenti significativi a supporto delle decisioni amministrative, politiche, progettuali e strategiche creando piattaforme in grado di selezionare, incrociare e restituire dati ed informazioni di tipologia diversa sotto forma di narrazioni dinamiche interrogabili: narrazioni del possibile.
Alcune di queste riflessioni sono iniziate insieme con Simone Quadri, Paolo Patelli e hanno preso una prima forma in tre pubblicazioni successive: “Id-Lab goes on City Tour” (Disegno Industriale, 2010), “Quali Spazi per Quali Servizi” (SIU Conferenza Internazionale degli Urbanisti, Torino 2011), “Progettare il Possibile” (Corriere delle Comunicazioni, aprile 2011).