La convivialità nelle strade. Un percorso tra feste ed eventi auto-organizzati a Napoli, dal Petraio a Scampia

Il presente contributo affronta lo studio di alcune pratiche urbane che, nel loro essere espressione dei diritti della cittadinanza e nel loro essere utilizzate come strumenti di auto-amministrazione e di auto-promozione, si dimostrano capaci di mettere in relazione differenti attori e di ampliare lo spazio delle possibilità e l’autonomia degli spazi urbani. Tali pratiche sono nate nel corso del Festival di strada di Lefevbre, dove lo spazio fisico è al contempo spazio sociale, in grado di registrare ogni micro cambiamento nella vita di tutti i giorni e nei rapporti esistenti tra le differenti classi sociali, che reclamano più spazi di condivisione e che possono evolvere in utopie sperimentali, creando nuovi significati e strumenti di partecipazione innovativi ed affascinanti.

Introduzione

Uno sguardo intento a ricercare tracce di pratiche minute ci rivela come nelle nostra città persistano spazi in cui si riproducono modalità di esercitare una creatività surrettizia, e si insinuano “procedure – multiformi, resistenti, scaltre e ostinate – che sfuggono alla disciplina senza essere tuttavia al di fuori del campo in cui essa si esercita” (de Certeau 2001, pp. 149-150). La città e lo spazio pubblico diventano luogo attraverso le azioni delle comunità operose e attive – le insurgent citizenships dell’antropologo americano James Holston – o quelle che Leonie Sandercock chiama insurgent planning practices, le iniziative di pianificazione e di resistenza che si oppongono alla città esistente come struttura di potere.
Questi spazi si realizzano soprattutto per strada, o meglio, lungo alcune strade, luoghi dove l’utilizzo informale, ma radicato nella memoria(1)  della città, fa sì che lo spazio esterno diventi domestico, contemporaneamente luogo dell’appartenenza e della relazione con l’altro.
Luoghi plastici, dove le feste e gli eventi autorganizzati – oggetto di questo contributo  – dagli abitanti, scandiscono il tempo e mutano lo spazio di due percorsi, profondamente diversi tra loro: il Petraio, pedamentina(2)  nel centro storico della città, e le strade larghe di Scampia, periferia settentrionale della città di Napoli.
Luoghi pubblici che appartengono a tutti, strade, muri, piazze e slarghi, ma che attraverso azioni di progettualità diffusa e di creatività a largo raggio, investendo le competenze ed i saperi dei bambini fino a quelle dei più anziani, ridefiniscono le traiettorie di comunicazione fisica e simbolica tra gli abitanti ? le comunità operose ? ed i passanti e/o i visitatori. Il progetto ? in questi casi ? è una forma di impazienza della conoscenza (Paba, 2001), dove da parte dei soggetti agenti è presente la voglia di sperimentare modelli e pratiche trasformative del quotidiano, in modo che “la città viene ricostruita dal di dentro, con i pezzi disponibili della città circostante”(3).
Strade che si caricano di un nuovo significato, di una convivialità possibile, rafforzando il senso di appartenenza anche di chi le attraversa casualmente ogni giorno, ed entrando di merito all’interno della geografia della storia culturale del camminare, nei giorni normali ed in quelli speciali, raccontata da Rebecca Solnit:

“Camminare è una delle costellazioni del cielo stellato della cultura umana, una costellazione formata da tre stelle: il corpo, la fantasia e il mondo aperto, e sebbene ciascuna di esse abbia un´esistenza indipendente, sono le linee tracciate tra di esse – tracciate dall’atto del camminare con scopi culturali – a farne una costellazione”.


Salita  Petraio. La comunità e la strada


Fig. 1, Maggio al Petraio

Di tutte le strade pedonali che collegano la collina del Vomero con il centro della città di Napoli, la pedamentina del Petraio è il percorso più vivo e frequentato, attraverso le sue lunghe rampe di scale in pietra di piperno, che ne caratterizzano la conformazione urbanistica. Il percorso si snoda attraverso un piccolo borgo fatto di case bianche e basse, aperte su piccoli slarghi o affacciate direttamente sulle scale, un’edilizia spontanea che si fonde alla morfologia del luogo, un ex alveo torrentizio, intessuta di microspazi verdi e piccole aie improvvisate, curati dagli abitanti, ed aperte al panorama da cartolina della città.
Uno di quei luoghi in cui attraversandoli si riesce a captare tutto quello che vi è accaduto, la loro storia, il Petraio è stato anche soggiorno di Paul Klee:

“Giace ai miei piedi, come un gigantesco anfiteatro, la città meravigliosa con il suo brusio. A sinistra la vecchia città coi bacini del porto e l’antico Vesuvio, a destra la moderna Villa Nazionale e Posillipo. Tutto intorno alla casa giardini di un verde fresco, forme fantastiche e miriadi di fiori”(4);

e tappa di passaggio delle peregrinazioni urbane di Anna Maria Ortese:

“giravo tutta Napoli. Dal porto, a piazza Dante, all’Arenella, scendevo le scalette del Petraio, facevo tutta via Caracciolo. Non prendevo mai un autobus, mai un tram. Non avevo soldi”(5).

Oggi il Borgo del Petraio è abitato in parte da una comunità storica, che si prende cura della strada da anni, tra cui alcune famiglie di contadini che coltivavano un tempo la vicina Vigna dei Certosini, detta Vigna di San Martino, alla quale si sono aggiunti negli anni nuovi abitanti, sopratutto giovani coppie con bambini e studenti universitari. La scelta di questi ultimi è stata determinata in parte dall’esigenza di godere di una tranquillità che, in una città altamente motorizzata, solo una strada pedonale può offrire, e maggiormente dal livello del costo degli affitti, rimasto ancora basso rispetto al resto del centro storico della città. In totale al 2002 risultavano residenti circa settecento persone.
Gli abitanti storici ricordano come un tempo la strada, nonostante i gradini, fosse animata dai venditori ambulanti, piccoli negozi di frutta e verdura e coloniali, dagli scalpellini che passavano puntualmente a cavare il selciato per renderlo meno scivoloso; alcuni conservano scrupolosamente immagini fotografiche delle processioni lungo la salita e del doposcuola organizzato da alcune maestre. Negli anni molti se ne sono andati a vivere altrove, soprattutto le giovani generazioni del ceto popolare, sostituite in qualche modo da una lenta gentrificazione da parte di ceti medio alti della popolazione giovane.
I due vicinati tra un po’ di difficoltà e rivendicazioni di appartenenza dei vecchi abitanti, iniziano a parlarsi e dalla necessità di risolvere i problemi di abbandono e degrado della strada e grazie alle scarse risposte derivanti dalle istituzioni, nel maggio del 2005 nasce un comitato civico e ad ottobre viene promossa la prima iniziativa pubblica: Petraio Arte.
Una lunga tela viene distesa lungo le mura delle Rampe ed i partecipanti insieme ai passanti vengono invitati a lasciare un segno della loro creatività; gli abitanti storici aprono le loro cucine organizzando dei piccoli chioschi di distribuzione di cibo di strada, una banda scandisce con la musica il tempo della festa.
Da allora si susseguono iniziative di strada, che legano nuovi eventi culturali e feste popolari, come quella di Sant’Anna, a fine luglio, da sempre festeggiata al Petraio, fino alla consacrazione, nel giugno del 2010 come, spazio per il pubblico, dato l’inserimento della salita tra le location teatrali del Napoli Teatro Festival. A queste iniziative si accompagnano azioni di cittadinanza attiva, che stanno favorendo il recupero della salita come percorso, per preservarne la bellezza e la peculiarità, conservandone la quiete del quotidiano.

Scampia. L’utopia in corteo

Fig. 2, Carnevale a Scampia

A Scampia lo scenario cambia, le strade qui non sono fatte per passeggiare o per perdersi in flânerie urbane; le larghe arterie per lo più sono percorse da automobili, la memoria del luogo ci racconta di una campagna, le scampie infatti erano delle piante, “prima di perdere il nome antico per acquisirne uno nuovo, preso dal numero della più nota legge italiana per l’edilizia residenziale pubblica: la 167, numero magico che, in trent’anni l’ha popolata di abitanti venuti dalla città: quarantaquattromila secondo l’ultimo censimento, molti di più secondo gli stessi abitanti” (6) e prima di assurgere alla cronaca recente come scenario di una della più efferate guerre di camorra degli ultimi vent’anni.
Dal 1983 il Gridas(7)  (Gruppo Risveglio dal Sonno), che ha sede nel Rione Monterosa – il nucleo più antico del quartiere, con palazzi di un paio di piani, alcuni portici, qualche negozio ed un mercatino – promuove una parata di carnevale per le strade del quartiere.

“Da allora al centro del carnevale di Secondigliano c’è sempre il contrasto tra il bene e il male, tra le forze positive e quelle negative, che assumono di volta in volta le sembianze dei personaggi d’ attualità”(8).

Gli attivisti del Gridas insieme ai bambini delle scuole, e negli ultimi quattro anni insieme ai bambini del vicino campo nomadi, iniziano già alcuni mesi prima a preparare le maschere e dei piccoli carri di cartapesta da portare in corteo; ogni anno il tema cambia, ma viene scelto a partire da fatti di attualità.
Il corteo si svolge la domenica mattina prima del martedì grasso. Il 18 febbraio 2007, ad esempio, alle dieci e mezza di mattina è partita dalla sede del Gridas la parata “FILO DIRe/iTTO ovvero CHI CONTROLLA CHI?” per il venticinquesimo anno del carnevale di Scampia. Anno dopo anno si è consolidata una tradizione che porta molte persone anche del centro città a parteciparvi. Il corteo ha un percorso annunciato ma spesso si sono verificati vari imprevisti, vari cambi di rotta, ma la meta è sempre la stessa, il campo sportivo dove alla fine della parata si svolge un falò, in cui si da fuoco ai simboli negativi, in questo caso i “fili cattivi”, simboleggiati da un traliccio con due parabole, e si fanno trionfare quelli positivi che danzano in un girotondo finale attorno alle ceneri.
La necessità di festeggiare il carnevale per strada è nata per riportare la scuola a relazionarsi con il territorio, negli anni in cui iniziava un processo di bunkerizzazione degli edifici scolastici, per mostrare il lavoro fatto dai bambini al resto del quartiere. Un altro motivo è legato alla riappropriazione del diritto alla strada:“troppo spesso questi spazi, lungi dal divenire dei giardinetti progettati, sono luoghi angosciosi e, di notte, paurosi testimoni del degrado della periferia, e le strade divengono spesso poligoni di tiro della malavita organizzata”(9).
Dal 2007 le parate di Carnevale, figlie di quest’esperienza, in città si sono triplicate: quest’anno in diversi quartieri, anche nel centro storico, diversi gruppi ed associazioni, che si occupano della gestione di alcuni spazi sociali recuperati e contemporaneamente contesi in città, hanno lavorato in maniera autonoma alla realizzazione dei carri per la parata del martedì grasso, ma seguendo un unico tema, quello dello spazio pubblico. Nello specifico durante la parata venivano rivendicati un maggior numero di spazi pubblici adeguati alle richieste dell’utenza, spazi in cui muoversi liberamente, giocare, mangiare e metaforicamente “calpestare le aiuole”. Spazi in cui, citando Georges Perec, mondo e spazio paiono uno lo specchio dell’altro.

Epiloghi
L’espressione del potenziale creativo emerso durante gli eventi auto-organizzati e le naturali competenze specializzanti portano alla creazione di un circuito conviviale, il quale tende a svolgere diverse funzioni di carattere sociale, intergenerazionale, culturale e formativo.
In questo circuito diventa possibile sperimentare una progettualità autonoma del contesto, in cui le competenze passate e quelle presenti assumono una dimensione strutturante del luogo e dei due percorsi, la cui storia abbiamo cercato di sintetizzare.
La convivialità, qualità che in questo caso coniuga il con-vivere con il vivere bene, il vivere e agire per e nelle strade tende a costituire, come scrive Illich, “rapporti autonomi creativi interpersonali, e delle persone con l’ambiente”.
Nelle nostre microstorie, la strada conviviale diventa il risultato di una forte interazione sociale e culturale dell’abitante con lo spazio pubblico. Il nostro obiettivo è quello di vigilare e di restituire valore ai processi fragili, accesi dagli abitanti e dalle associazioni, auspicando “che i prodotti collettivi dell’insediamento umano nello spazio (città, villaggi, quartieri, vicinati, paesaggi, territori, ambienti) siano costruiti (o debbano essere costruiti) attraverso la mobilitazione delle energie individuali e collettive”(10).

Note
(1) “Le città sono per eccellenza spazi che non solo evocano la memoria, ma la costruiscono e la contengono” in, “Atlas of Emotion, intervista a Giuliana Bruno”, a cura di , L. Brogli,  Aria 1, giugno 2005, p.23
(2) L’etimologia di pedamentina deriva dal termine pedemontanus “che sta ai piedi del monte”
(3) G.F. Lanzara, “Comunità-rifugio o laboratori per l’innovazione?”, Urbanistica, n. 123, 2004, pp. 29-33.
(4) P. Klee, Diari 1898/ 1918, Il saggiatore Net, 2004, p. 321
(5) D. Maraini, E tu chi eri? 26 interviste sull’infanzia, Rizzoli, Milano, 1998, p. 245
(6) F. Ceci, D. Lepore, Arcipelago vesuviano. Percorsi e ragionamenti intorno a Napoli, Argo, 1997, p. 38
(7) Associazione culturale fondata da Felice Pignataro, maestro muralista. www.felicepignataro.org
(8) L. Rossomando, “La richiesta di spazi pubblici dietro i cortei di Carnevale”, La Repubblica, Sezione Napoli, 14 febbraio 2010, p. 8
(9) F. Pignataro,”L’utopia per le strade”, Gridas, 1998, p.28
(10) G. Paba, “I cantieri sociali per la ricostruzione della città”, in A. Magnaghi, a cura di, Il territorio degli abitanti, Masson/Dunod, Milano, 1998, p. 92

Bibliografia
Amin A., Thrift N. (2005), Città. Ripensare la dimensione urbana, Il Mulino, Bologna
Illich I. (2005), La convivialità. Una proposta libertaria per una politica dei limiti allo sviluppo, Boroli, Milano
Paba G. (2003), Movimenti urbani, Franco Angeli, Milano
Perec G. (1989), Specie di spazi, Bollati Boringhieri
Solnit R. (2000), Storia del camminare, Mondadori, Milano