1. Impresa sociale e produzione culturale
La cooperazione sociale (1) rappresenta, a più di trent’anni dalla nascita delle prime esperienze, il modello di impresa sociale più diffuso a livello nazionale (2). Sviluppatasi all’interno di settori di intervento ben definiti (servizi socio assistenziali, inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati), ora sta vivendo una fase del suo ciclo di vita caratterizzata da una maggiore apertura verso altri comparti all’interno dei quali è possibile produrre beni e servizi coerenti con una mission che, ai sensi della normativa (l. 381/91), persegue “l’interesse generale della comunità e la promozione umana e dell’integrazione sociale dei cittadini”. Rispetto a un così peculiare profilo identitario – organizzazione privata e d’impresa che svolge una funzione pubblica – l’attività culturale rappresenta una delle modalità più creative e potenzialmente partecipate da mettere in campo, soprattutto se sviluppa una programmazione integrata con progetti educativi, terapeutici, di socializzazione, inclusione e sviluppo comunitario. Allo stesso tempo la cooperazione sociale può operare anche attraverso le più semplici, ma essenziali, attività di service per eventi favorendo l’inserimento lavorativo di fasce deboli della popolazione all’interno di strutture culturali.
A fronte di questo proliferare di attività e di soluzioni organizzative è necessario osservare da vicino quali siano le possibili evoluzioni e quali le linee di trasformazione, in modo da sviluppare le singole iniziative come un vero e proprio asset imprenditoriale. Oltre alle cooperative sociali sono diversi i soggetti interessati a seguire questa evoluzione. E’ innanzitutto l’ente pubblico che in veste di committente o coproduttore richiede sempre più spesso, oltre alla qualità intrinseca delle attività culturali, ben precise ricadute a livello educativo, di coesione e integrazione sociale. Ma sono anche soggetti non profit come fondazioni di tipo operativo e associazioni ad essere potenzialmente interessati a elaborare soluzioni giuridico organizzative adeguate a sostenere il loro percorso verso l’impresa sociale. Questo orientamento è sostenuto anche da una recente riforma legislativa (d.lgs n. 155/06 e successivi decreti) che consente di organizzare attività d’impresa sociale utilizzando diversi modelli giuridico – organizzativi e soprattutto allargando i settori di intervento (tra i quali la produzione di servizi culturali). Non ultimi, gli attori for profit possono guardare all’impresa sociale, e alla più recente normativa appena ricordata, come ad una possibile soluzione per realizzare attraverso modalità inedite i loro approcci alla filantropia e alla responsabilità sociale (3).
2. Il percorso di ricerca
In questo contesto, così ricco di sollecitazioni, il consorzio Con.Solida di Trento (4) – una delle più importanti reti locali della cooperazione sociale – ha deciso di misurarsi in ambito culturale promuovendo un percorso di ricerca-azione volto a definire limiti e potenzialità del suo sistema imprenditoriale e sociale. La ricerca si è concentrata, in primo luogo, sull’analisi quantitativa e qualitativa della produzione culturale dei soci della rete Con.Solida. Successivamente è stato approfondito il caso di Barycentro, un centro servizi aperto a persone con disagio e alla cittadinanza in generale dove si articola, tra l’altro, un fitto programma di iniziative culturali. Infine, sono state prese in esame le attività culturali gestite dal consorzio “in prima persona”, allo scopo di verificare quanto l’agenzia che si preoccupa di rafforzare e ampliare il network locale si fa anche carico di innovare l’offerta di beni e servizi in quello che per molte realtà della cooperazione sociale può essere considerato un nuovo settore di intervento.
La produzione culturale delle cooperative sociali
Il consorzio Con.Solida associa 54 cooperative sociali impegnate nella produzione di servizi socio assistenziali, educativi e sanitari (“tipo A” ai sensi della legge) e nella gestione di differenti attività economiche finalizzate ad inserire al lavoro persone a diverso titolo “svantaggiate” (tipo B). La rilevazione sulla produzione culturale di queste diverse realtà ha contribuito a mettere in luce alcuni elementi di ambivalenza.
In primo luogo quasi il 70% delle cooperative coinvolte ha dichiarato di aver promosso e gestito attività culturali nell’ultimo triennio, dimostrando che non si tratta di iniziative estemporanee o improvvisate. D’altro canto emerge altrettanto chiaramente come tali iniziative vengano prioritariamente considerate funzionali alla promozione della mission sociale dell’impresa e, solo secondariamente, si configurino come una vera e propria offerta di servizi che integra e sviluppa il core business delle attività più tipicamente sociali. Più di 1/3 delle iniziative promosse riguarda infatti progetti formativi e di sensibilizzazione che hanno l’obiettivo di radicare l’impresa nei tessuti comunitari, in particolare presso i loro stakeholder principali (lavoratori, volontari, utenti dei servizi e loro familiari).
In secondo luogo se si considera il livello di strutturazione dei processi produttivi si nota che nella quasi totalità dei casi (90%) la gestione di iniziative culturali viene esternalizzata a enti e professionisti, anche se con una buona mobilitazione di risorse interne, almeno in fase esecutiva: quasi il 40% delle cooperative ha coinvolto oltre 20 fra operatori e volontari nella gestione della propria produzione culturale.
In terzo luogo, guardando alle risorse economiche investite in produzioni culturali spicca una componente significativa di autofinanziamento (40%) che mette in secondo piano i corrispettivi per la vendita di beni e di servizi, tipici dell’organizzazione d’impresa.
Dunque le cooperative sociali non sono estranee al mondo culturale, ma sembrano faticare a costruire un’offerta di servizi specifica che riescono a scambiare all’interno di arene mercantili pubbliche e/o private. Eppure, stando alle loro dichiarazioni d’intenti, il settore appare promettente: quasi l’80% degli intervistati pronostica un futuro positivo per le attività culturali della cooperativa, sia come strumento per sintonizzarsi con il proprio territorio, sia come vero e proprio output imprenditoriale.
Una best practice: Barycentro
Nell’ambito delle attività svolte dalle cooperative sociali aderenti a Con.Solida l’esperienza di Barycentro rappresenta un’eccezione virtuosa. Nato nella seconda metà degli anni ’90 come centro diurno rivolto alla segnalazione e alla cura del disagio psichico, Barycentro si è progressivamente aperto all’esterno rivolgendosi ad un pubblico sempre più ampio. All’interno di uno spazio fisico collocato in ambito urbano, nel centro della città di Trento, due cooperative sociali (Delfino e Samuele) gestiscono un esercizio di bar ristorante e promuovono una vasta gamma di attività e iniziative con obiettivi di socializzazione e di prevenzione del disagio.
La programmazione di eventi culturali (mostre, seminari, corsi di formazione, ecc.) ha rappresentato un importante fattore di innovazione perché ha consentito di aprire una struttura di servizio sociale al pubblico, favorendo così il contrasto effettivo alle forme di discriminazione ed esclusione sociale connesse al disagio psichico e contribuendo a una crescita della sensibilità pubblica rispetto alla rilevanza sociale di questi temi.
Questo stesso successo ha contemporaneamente fatto emergere alcuni elementi di sfida che hanno innescato un processo di cambiamento a livello identitario e organizzativo. Una prima sfida consiste nel trasformare Barycentro da un tradizionale centro di erogazione di servizi a committente di iniziative ed attività (soprattutto di carattere culturale) che vengono poi gestite in autonomia da associazioni e singoli individui presso i suoi spazi. Una seconda sfida consiste poi nel definire un nuovo assetto di sostenibilità imprenditoriale. Fino a oggi Barycentro si è finanziato soprattutto attraverso contratti con l’ente pubblico che ha sostenuto l’erogazione delle attività più tipicamente sociali. Ma questo centro ha dimostrato di essere in grado di sviluppare ulteriormente la sua attività commerciale, oltre che di produttore artistico culturale.
Raccogliere questi elementi di sfida significa dunque istituzionalizzare il carattere ibrido dell’organizzazione di Barycentro ad almeno tre livelli: in primo luogo la governance, cercando di definire un assetto societario più efficace nel valorizzare le qualità distintive dei soggetti coinvolti o da coinvolgere; in secondo luogo il capitale umano, acquisendo nuove competenze e promuovendo percorsi di empowerment di quelle già disponibili; in terzo luogo il networking, lavorando sia sulle reti corte della prossimità (il quartiere) sia su quelle medio lunghe delle professionalità culturali, in grado di alimentare un’offerta insieme distintiva e di qualità. Attraverso questi passaggi si potrà realizzare la doppia identità di Barycentro in veste di produttore in proprio di contenuti culturali e sociali e come promotore di queste stesse attività attraverso il coinvolgimento di altre realtà associative.
L’agenzia consortile come attore dello sviluppo in campo culturale
La produzione culturale non si concentra esclusivamente nelle cooperative sociali socie. Anche il consorzio, nella persona giuridica dell’agenzia che ne coordina le attività (quello che i cooperatori definiscono “consorzio partita Iva”) gestisce alcuni “cantieri” culturali che l’indagine ha consentito di classificare in tre grandi filiere di progettualità.
La prima riguarda la ristrutturazione e gestione di beni culturali come il parco minerario di Calceranica, dove si stanno sperimentando nuovi prodotti e servizi (educazione, formazione, turismo) rivolti a nuove tipologie di beneficiari (scuole, pubblico in generale) e sperimentando nuovi assetti gestionali (accordi di programma con enti locali), oltre a forme inedite di investimento come la gestione “chiavi in mano” dei siti culturali e delle strutture ricettive legate al turismo sociale.
La seconda filiera consiste nella produzione di contenuti comunicativi non in posizione accessoria rispetto ad altre iniziative (ad esempio la disseminazione dei risultati di progetti portati a termine), ma come un vero e proprio bene relazionale che contribuisce direttamente al perseguimento di obiettivi di coesione e sviluppo. Il periodico “Tracce”, ad esempio, è rivolto alla popolazione anziana e si caratterizza per lo scambio di vissuti ed esperienze di utenti e gestori dei servizi.
Terza e ultima filiera riguarda l’organizzazione di eventi, tra i quali spicca “Educa”, il festival nazionale sull’educazione che consente al consorzio di giocare un ruolo da protagonista in un ambito dove invece le singole cooperative sono presenti solo in forma embrionale, aprendo così nuove opportunità di sviluppo attraverso un percorso, anche questo inedito, che muove in direzione top-down.
3. Apprendimenti dal caso Con.Solida
I risultati di questo percorso di ricerca-azione possono essere sintetizzati in un importante elemento di apprendimento che consiste nel ruolo delle reti d’impresa sociale per lo sviluppo di nuovi campi di intervento. Appare piuttosto chiaramente, infatti, che l’evoluzione in campo culturale chiama in causa le singole realtà imprenditoriali ma sollecita soprattutto l’agenzia consortile. Per Con.Solida, in particolare, si ripropongono, in un ambito relativamente nuovo, alcune questioni che, in generale, riguardano i significati e le pratiche associate alla funzione di “sviluppo” che ne connota l’operatività fin dalla costituzione (ormai più di venti anni fa).
Sul fronte esterno alla rete, il consorzio è chiamato a svolgere un’importante azione di scouting rispetto alla produzione culturale e ai relativi mercati, tenendo presenti i vincoli di mandato della propria base associativa che antepongono ai vantaggi del business la coerenza con gli elementi identitari e di mission delle cooperative sociali. Guardando invece agli stimoli provenienti dall’interno del network, Con.Solida è chiamato ad agire sui livelli di consapevolezza delle organizzazioni aderenti, in quanto la produzione culturale è ancora embrionale e spesso non codificata in una vera e propria offerta di servizi ispirata a criteri di continuità, qualità e accessibilità. Operare per una maggiore consapevolezza circa il potenziale di sviluppo in ambito culturale richiede quindi di individuare le prassi più avanzate e stimolare processi di apprendimento reciproco e di fertilizzazione incrociata.
Esistono infine alcune questioni trasversali alla dinamica interna ed esterna alla rete consortile legate, da una parte, all’individuazione di alcuni interlocutori rilevanti con i quali costruire un sistema di alleanze strategiche in grado di sostenere la produzione di servizi e più ampie progettualità di sviluppo locale. Ed infine un ulteriore dilemma riguarda la “messa a sistema” dell’innovazione sperimentata, optando fra un ruolo “guida” da parte dell’agenzia consortile, oppure per un progressivo (e differenziato) rilascio a favore dei nodi della rete.
Fino ad oggi il consorzio ha intrapreso la gestione di importanti attività di produzione assumendosi direttamente costi d’investimento e rischio d’impresa. I processi di innovazione stanno registrando buoni risultati soprattutto in termini di riconoscimento comunitario e di accreditamento nei confronti delle istituzioni locali ma rimangono alcune questioni da risolvere per la loro piena realizzazione. In particolare una maggiore infrastrutturazione delle iniziative richiede di agire con maggiore decisione per la crescita delle competenze necessarie alla loro gestione, attraverso percorsi di empowerment di dirigenti e quadri delle cooperative associate e attraverso l’acquisizione di professionalità esterne, mettendo al lavoro le partnership nel frattempo sottoscritte con attori del mondo culturale.
Note
(1) Ringraziamo i colleghi Cristian Aiardi, Silvia Devogli, Andrea Ferrandi e Pietro Scarpa di Con.Solida per la collaborazione alla stesura dei materiali di ricerca. Questo articolo rappresenta infatti una rielaborazione di tali materiali. Naturalmente la responsabilità di quanto riportato in questa sintesi è da attribuire in via esclusiva agli autori.
(2) Borzaga C., Zandonai F. (2009), L’impresa sociale in Italia. Economia e istituzioni dei beni comuni, Rapporto Iris Network, Donzelli editore, Roma.
(3) Abbiamo già affrontato questi temi in Macii D., Zandonai F. (2009), Impresa sociale e cultura, in Tafter Journal, n 14, https://www.tafterjournal.it/2009/06/15/impresa-sociale-e-cultura/ .
(4) Per maggiori informazioni sul consorzio www.consolida.it.
Bibliografia
Argano L., Dalla Sega P. (2009), Nuove organizzazioni culturali. Atlante di navigazione strategica, Franco Angeli, Milano
Borzaga C., Zandonai F. (2009), L’impresa sociale in Italia. Economia e istituzioni dei beni comuni, Rapporto Iris Network, Donzelli editore, Roma
Con.Solida (a cura di) (2008), Storia – Sviluppo, il percorso 2007. Bilancio sociale
Macii D., Zandonai F. (2009), Impresa sociale e cultura, in Tafter Journal, n 14, https://www.tafterjournal.it/2009/06/15/impresa-sociale-e-cultura/
Scaratti G., Zandonai F. (a cura di) (2007), I territori dell’invisibile. Culture e pratiche di impresa sociale, Laterza, Roma Bari
Zandonai F. (2008), “Le relazioni tra imprese sociali”, in Borzaga C., Fazzi L., Governo e organizzazione per l’impresa sociale, Carocci editore, Roma, pp. 273-293