La cultura dei bambini

Tra i pilastri dell’economia della cultura vi sono le teorie dell’addiction e dell’exposure: la cultura, come una droga, crea dipendenza, assuefazione e, più se ne consuma, più se ne consumerebbe. Non solo, man mano che cresce la quantità consumata, il gusto si affina e il fruitore, sempre più esperto, diventa anche produttore del proprio piacere culturale, una specie di prosumer antesignano di quello fabrisiano. Se tutto questo è vero, come sembrerebbe a livello empirico e come in ogni caso viene insegnato all’inizio di ogni corso universitario di economia dell’arte o della cultura, viene da chiedersi come mai ci si sia concentrati così poco sui consumi culturali dei bambini. Non, genericamente, dei giovani, non dei ragazzi, ma degli esseri umani da 0 a 6 anni, quelli in età prescolare.

1. I consumi culturali dei bambini

 

Tra i pilastri dell’economia della cultura vi sono le teorie dell’addiction e dell’exposure: la cultura, come una droga, crea dipendenza, assuefazione e, più se ne consuma, più se ne consumerebbe. Non solo, man mano che cresce la quantità consumata, il gusto si affina e il fruitore, sempre più esperto, diventa anche produttore del proprio piacere culturale, una specie di prosumer antesignano di quello fabrisiano.

 

Se tutto questo è vero, come sembrerebbe a livello empirico e come in ogni caso viene insegnato all’inizio di ogni corso universitario di economia dell’arte o della cultura, viene da chiedersi come mai ci si sia concentrati così poco sui consumi culturali dei bambini. Non, genericamente, dei giovani, non dei ragazzi, ma degli esseri umani da 0 a 6 anni, quelli in età prescolare. Individui che probabilmente ancora non sanno scrivere né leggere ma che, quasi sicuramente, guardano la televisione, molto probabilmente ascoltano la musica e sfogliano libri e che, forse, qualche volta, vanno – accompagnati, s’intende – al museo e a teatro. Consumatori culturali a tutti gli effetti. Di oggi ma, soprattutto, di domani. Una domanda molto più facilmente fidelizzabile di quella adulta.

 

I colossi del marketing se ne sono accorti ormai da anni lavorando per tenere agganciati i bambini ai brand “from cradle to grave” e, in tempi più recenti, anche “dal concepimento alla tomba” (Linn, 2004) con investimenti pubblicitari negli USA stimati attorno ai 12 miliardi di dollari l’anno.

 

In Italia, il solo mercato della pubblicità di giocattoli nel primo semestre 2011 ammontava a 21 milioni di euro con una crescita dell’11,6% rispetto all’anno precedente (Nielsen, 2012). Ai consumatori bambini sono dedicati corsi e convegni internazionali oltre a libri e studi che animano non solo le comunità di marketers e di studiosi ma spesso anche la pubblica opinione nonché genitori ormai sotto assedio per le continue richieste dei propri figli (il cosiddetto “nag factor”; Henry e Borzekowski, 2011).

 

2. Industrie creative all’“assalto dell’infanzia”

 

Fra le industrie all’“assalto dell’infanzia”, anche quelle culturali non sono state in disparte ricavandosi spazi sempre più ampi e consolidati in un mercato rivelatosi da subito redditizio, sin dall’apertura, nel 1750 a Londra, della prima libreria per piccoli lettori in cui si potevano comperare libri di fiabe e riduzioni di romanzi di successo come “I viaggi di Gulliver” o “Robinson Crusoe”.

 

L’editoria è stata infatti tra le prime industrie creative a dedicarsi al giovane pubblico, insieme alla moda. All’inizio del XIX secolo, in Inghilterra, la letteratura per l’infanzia aveva già un mercato consolidato, in Francia, dagli ottanta titoli per bambini disponibili nel 1811, nel 1890 si era già passati a oltre un migliaio (Sassoon, 2006) e oggi, in molti paesi, l’editoria per bambini e ragazzi costituisce una quota rilevante del mercato editoriale: in Italia rappresenta circa il 7% dei titoli e il 13% della tiratura complessiva.

 

Poi fu il cinema con i cartoon. Nel 1917 comparve il Gatto Felix, nel 1928 arrivò Braccio di Ferro e oggi, nella gran parte dei paesi, le classifiche sugli incassi al botteghino includono film e disegni animati per bambini. Nelle Top 10 annuali dei film di maggior successo, redatte a livello mondiale dalla divisione statistica dell’Unesco, troviamo 4 titoli per bambini nel 2007 e 3 nel 2008 e 2009, molti dei quali sequel o franchise (UNESCO/UIS, 2012).

 

Il business di libri e film per bambini non si riduce infatti al successo dei singoli prodotti ma, attraverso il sistema delle licenze e grazie anche alla televisione, alimenta un intero sistema che va dall’abbigliamento, ai parchi a tema, ai giocattoli, agli accessori scolastici e molto altro, fino, di nuovo, all’editoria e al cinema.

 

I primi esempi di questo “effetto valanga”, provocato dallo sviluppo della letteratura per l’infanzia prima e da quello del cinema poi, risalgono agli inizi del XX secolo ma cominciano ad affermarsi con evidenza a partire dagli anni 30 grazie anche alla capacità di Walt Disney di rendere globali le più popolari storie per bambini europee – da Biancaneve alla Sirenetta – innescando la nuova tendenza commerciale. Già l’uscita di “Steamboat Willie”, il cortometraggio animato del 1928 che rese celebre Topolino e Walt Disney al grande pubblico, portò con sé il successo di mercato di un orologio raffigurante Mickey Mouse e, nel 1937, Disney riceveva i diritti da parte di circa 80 produttori di vari articoli su cui comparivano i suoi personaggi (Candela e Scorcu, 2004).

 

Da allora le vendite di merchandising costituiscono un’importantissima fonte di entrata per le imprese cinematografiche e “i cui ricavi solitamente sono regolati da contratti di licenza che cedono il copyright su un’immagine, un nome o un personaggio di finzione contro il pagamento di una percentuale sulle vendite dei prodotti che incorporano l’elemento di licenza”(1).

 

Oggi Disney o Time Warner possiedono stazioni televisive e radio, case discografiche e case editrici che “oltre a promuovere la vendita di alimenti, giocattoli, libri, indumenti e accessori, si fanno anche pubblicità reciproca.”(2).

 

Il fenomeno non riguarda certo solo i colossi statunitensi dell’entertainment: le vendite dei libri di racconti “The Railway Series”, nati a partire dal 1942 dalla creatività del reverendo inglese W.H. Awdry, conobbero un incremento esponenziale con la trasposizione animata degli anni 80 e, nel 1996, la Britt Allcroft Company che aveva acquistato i diritti mondiali del trenino Thomas e dei suoi amici venne quotata in borsa (Sassoon, 2006). Harry Potter è un altro dei molti clamorosi esempi.

 

Anche la moda e poi il design non sono stati da meno nel loro interesse verso i bambini, pur con tempi e approcci diversi, e l’attuale boom del design for kids non rappresenta certo la prima occasione data ai designer per cimentarsi con il piccolo pubblico. Già negli anni 20 Gerrit Rietveld aveva creato per i figli una collezione che comprendeva anche un carretto in legno (1922-1924) con i suoi tipici colori à la Mondrian, e, tra gli anni 50 e 60, gli Eames e Verner Panton  “progettarono versioni ridotte dei propri oggetti di arredamento per poter includere i bambini tra i loro fruitori” (Richardson, 2008).

 

Anche nel design italiano degli anni 60 troviamo significativi esempi dell’attenzione riservata ai bambini dai designer: è il caso dei progetti ludico-didattici di Bruno Munari, delle creazioni di Enzo Mari, della seggiolina k4999 nata dalla collaborazione tra Zanuso, il Comune di Milano e Kartell, solo per citarne alcuni.

 

Molti di questi oggetti non raggiunsero, ai tempi, la produzione di massa anche per la resistenza dei produttori a investire in un mercato che non era ancora maturo. Così l’elefante in compensato progettato dagli Eames nel 1945 o la Panton Junior hanno dovuto aspettare il XXI secolo per essere messi in produzione allorquando importanti aziende come Vitra, Offi, Magis hanno inaugurato le loro “kid collection” e prodotti come il colorato “Puppy” di Eero Aarnio, in polietilene stampato, hanno trovato visibilità internazionale fino comparire in alcune importanti sedi museali.

 

3. Piccoli fruitori culturali e politiche. Modelli internazionali e il caso italiano

 

I piccoli consumatori (e, ovviamente anche i loro genitori) sono dunque da decenni al centro dell’interesse delle industrie culturali e di una classe creativa che a essi si dedica con passione trovando nuove aree di sperimentazione come è avvenuto, per esempio, nel cinema e nel design. Oggi, i bambini sono anche destinatari della progettazione di molte nuove applicazioni tecnologiche e di formule editoriali sperimentali come nel caso della free-press “Spazio”.

 

Nel 2010, con l’uscita di “Alice for the Ipad”, versione interattiva di “Alice nel Paese delle Meraviglie”, furono in molti a gridare allo scandalo, compreso il New York Times, nella convinzione che l’uso del tablet da parte dei più piccoli per la fruizione di fiabe avrebbe “ucciso la lettura in culla”(3). Dopo poco più di due anni sull’App Store esistono già centinaia di app per l’intrattenimento dei bambini molte delle quali fiabe interattive: alcune scadenti, altre affatto, come la Cenerentola dell’editore inglese Nosy Crow che ha ricevuto riconoscimenti e premi a livello internazionale. Anche il mercato dell’e-book per bambini sta crescendo enormemente e in Italia si è passati rapidamente da poche centinaia di titoli nel 2010 (420 titoli nel gennaio 2010) a più di mille nei primi mesi del 2012 (AIE/Ediser 2012).

 

I piccoli fruitori di cultura si stanno dunque cimentando anche con nuovi strumenti, contenuti e forme di produzione. In questo scenario viene dunque naturale chiedersi quale sia il livello di attenzione a essi riservato dalle politiche culturali.

 

La consapevolezza che l’avvicinamento all’arte e alla cultura in tenera età abbia effetti significativi sulla formazione del gusto, e quindi sulla predisposizione degli individui al consumo e all’apprezzamento culturale, ha portato alcuni paesi a mettere i bambini al centro delle loro strategie culturali e sociali rivolte , in particolare, all’inclusione e all’accesso.

 

Avvicinare bambini e giovani alle arti è, per esempio, uno degli obiettivi strategici del “Piano d’Azione 2007-2011” dell’Arts Council danese e, in Inghilterra, grande attenzione politica è stata dedicata ai risultati emersi dal rapporto “Encourage Children Today to Build Audiences for Tomorrow”  dell’Arts Council of England i quali hanno indicato come  l’incoraggiamento alla fruizione culturale dei più giovani sia associato in modo significativo alla probabilità che essi siano consumatori attivi di arte e cultura nel corso della vita adulta.

 

In Australia il rapporto “ Review of Theatre for Young People in Australia” ha osservato come l’esposizione precoce a esperienze artistiche positive trovi una correlazione con l’interesse e l’impegno culturale dei cittadini (Glow e Johanson, 2012) e la Svezia ha recentemente (2009) inserito, tra gli obiettivi della sua politica culturale nazionale, quello della partecipazione attiva dei bambini alla vita culturale, sancendo il diritto dei più piccoli a esercitare la propria creatività.

 

E in Italia? Nonostante molte importanti istituzioni pubbliche e private, attive sul fronte sia delle arti visive sia delle performing arts, dedichino ormai specifici programmi anche ai bambini più piccoli – si pensi per esempio all’attività del Teatro del Buratto a Milano, al Passaporto per Famiglie di Palazzo Strozzi, alle iniziative presenti in molti musei e nelle biblioteche –, nelle politiche culturali italiane i bambini, quelli in età non scolare (e quindi non raggiungibili con i percorsi di avvicinamento all’arte e alla cultura presenti nelle scuole), sono davvero poco presenti. Perche?

Un primo nodo lo troviamo anche solo cercando di sapere qualcosa di questo “piccolo” pubblico, quasi quattro milioni di individui dagli 0 ai 6 anni e altri 3 milioni tra i 6 e i 10, ossia un pubblico che potrebbe riempire gli Uffizi per 5 anni.  E che, invece, finisce, per diverse ragioni, in un buco statistico di cui solo i contorni riescono a restituirci qualche dato interessante.

 

Scopriamo, per esempio, che nella quasi totalità delle attività culturali fuori casa, i livelli di fruizione dei bambini tra i 6 e i 10 anni sono assai più alti della media della popolazione. Il 70% di loro va al cinema, il 40 frequenta musei e mostre, il 30 va a teatro, il 25 visita siti archeologici e monumenti: tutti valori superiori al valore medio nazionale di almeno dieci punti percentuali fino ad arrivare a venti nel caso del cinema (Istat, 2011) . Quasi 90 bambini su 100 guardano poi tutti i giorni la televisione e leggono libri, più degli adulti. L’unico dato sotto la media riguarda la musica e non solo quella classica.

 

Ci sono, ovviamente, forti differenze tra Nord e Sud e anche di genere, queste ultime particolarmente evidenti nella lettura e meno su attività in cui è più presente il ruolo della scuola.

 

Il quadro appena tracciato ci permette di avere almeno qualche elemento di conoscenza sui consumi culturali dei bambini in età scolare e di cercare delle corrispondenze con le azioni che si sviluppano soprattutto dentro e intorno alla scuola.

 

Poco, pochissimo, sappiamo invece sul consumo di cultura da parte dei piccolissimi e, ancora più faticoso, è trovare politiche culturali a essi specificamente indirizzate. Con qualche eccezione come, per esempio, il progetto “Nati per Leggere” che dal 1999 si pone l’obiettivo di promuovere la lettura ad alta voce ai bambini di età compresa tra i 6 mesi e i 6 anni. Un progetto attivo sull’intero territorio nazionale con circa 400 progetti locali promossi da enti pubblici, pediatri e bibliotecari, e il coinvolgimento di 1.195 comuni italiani(4).

 

Forse è il caso di cominciare a rifletterci: i bambini sono un pubblico speciale per capacità di apprendimento e di restituire stimoli, per numeri e, non ultimo, perché viaggiano sempre accompagnati.

 

Note
(1) Candela e Scorcu, 2004.
(2) Linn, 2004.
(3) Frediani, 2011.
(4) www.natiperleggere.it.

 

Bibliografia

AIE e Ediser (2012), “Quando il Copy in Italy continua a crescere. Il caso dell’editoria per ragazzi” presentazione  tenuta nell’ambito della Fiera del Libro per Ragazzi, Bologna, 19 marzo 2012
Candela, G. e Scorcu, A. (2004), Economia delle Arti, Bologna, Zanichelli
Frediani C., “Il tablet nella culla”, in L’Espresso, 15 dicembre 2011
Glow, H. e Johanson, K. (2012), «The state of play: protocols as children’s cultural policy” in International Journal of Cultural Policy; Vol. 18, N. 1, pp. 1-12
Henry H. e Borzekowski D. (2011), “The Nag Factor. A mixed-methodology study in the US of young children’s requests for advertised products” in Journal of Children and Media, Volume 5, Issue 3, pp. 298-317
Istat (2011), Indagine “Infanzia e vita quotidiana” disponibile su http://www.istat.it/it/archivio/45646
Linn, S. (2004), Consuming Kids: The Hostile Takeover of Childhood, New York, The New Press
Nielsen (2012), “Analisi del mercato dei prodotti per bambini”, disponibile su http://www.nielsen.com/content/dam/corporate/Italy/reports/2012/Analisi%20mercato%20prodotti%20per%20bambini.pdf
Richardson, P. (2008), Designed for Kids: A Complete Sourcebook, London, Thames & Hudson
Sassoon, D. (2006), The Culture of the Europeans: From 1800 to the Present, New York, HarperCollins Publishers
UNESCO/UIS (2012), “From International Blockbusters to National Hits.  Analysis of the 2010 UIS survey on feature film statistics”, disponibile a http://www.uis.unesco.org/culture/Documents/ib8-analysis-cinema-production-2012-en2.pdf