La fine del copyright. Come creare un mercato culturale aperto a tutti

Sinceramente questo piccolo, ma molto denso e interessante volumetto non l’avevamo notato al momento della sua pubblicazione, ma, per dirla con Alberto Manzi, il maestro televisivo degli anni ‘60, “non è mai troppo tardi” per imparare e recuperare proficuamente il tempo trascorso. Soprattutto su un tema così scottante come quello del “diritto d’autore” o “copyright”, qui intesi come sinonimi.

Non è semplice sintetizzare questo saggio, scritto con un approccio pragmatico e costruito con una metodologia e argomenti degni di fare scuola in merito a una tesi analizzata e proposta al più ampio pubblico, per alimentare un dibattito costruttivo, lanciare nuove prospettive di analisi e indicare, in modo sostanzialmente convincente, strade percorribili per creare un mercato culturale più libero e accessibile.

 

La solidità del tutto è comprovata dalle diciannove pagine di bibliografia, purtroppo aggiornata all’anno di edizione del volume, ma in ogni caso ricca di riferimenti molto utili e pertinenti. Certo, se affrontiamo il diritto d’autore tirando in ballo la nozione di diritti umani fondamentali, indeboliti o negati di fronte al diritto esclusivo di minoranze che lo detengono e se si invoca come opzione alternativa la creazione di un level playing field, (un terreno di gioco dalle pari opportunità) capiamo sin dall’inizio che stiamo giocando su un terreno la cui posta è molto elevata e le regole da cambiare molto vicine a una rivoluzione prossima all’utopia (… ma non si pensava forse anche negli anni ’80 che il sistema dei “blocchi” est-ovest fosse destinato a durare ancora per molto?…).

 

I quattro capitoli, più le conclusioni, scorrono velocemente, ripercorrendo gli argomenti contro il diritto d’autore, le possibili alternative insoddisfacenti, l’apertura di una nuova prospettiva e i casi in cui il nuovo modello è stato sperimentato in fase embrionale. Molti spunti sono costruiti ipotizzando qualità e contesti sociali improntati sull’onestà morale e intellettuale (apparentemente non molto diffuse presso il genere umano) e su di un approccio economico tendente all’equa ridistribuzione delle ricchezze (anch’esso non classificabile propriamente come “istintivo”), ma la prospettiva di avere meno best seller e più well seller appare convincente sotto il profilo della convenienza dei più rispetto a quella di pochi, che condizionano in tal modo anche i nostri gusti e la loro possibile modificazione. Dare opportunità a un maggior numero di persone di esprimersi e di far conoscere il proprio messaggio è garanzia di democrazia, favorisce e promuove il pluralismo e la diversità culturale (e delle “espressioni culturali”, così come richiamato anche dalla Convezione Unesco del 2005).

 

Ma il mercato è oggi arroccato nelle casematte dei trattati internazionali nell’ambito della WTO (World Trade Organization) e del TRIPS (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights), l’accordo che impegna i Paesi a “concordare reciprocamente il livello di tutela che desiderano offrire ai titolari di diritti di proprietà intellettuale”, costruendo in tal modo un discretamente solido strumento di protezione, il cui adempimento e l’eventuale contenzioso generano, però, dei costi molto elevati. E il costo della repressione delle frodi, anche a livello nazionale appare effettivamente incongruo rispetto ai risultati che si possono raggiungere, tenuto conto, inoltre, che con le tecnologie di cui oggi disponiamo “ci sono nel mondo milioni di persone che si comportano come se il copyright non esistesse!”. E sarebbe forse meglio indirizzare le forze giudiziarie e di polizia a reprimere prioritariamente reati ben più gravi, come la tratta degli esseri umani, il traffico di armi o il riciclaggio di denaro sporco.

 

Qualche tentativo alternativo è già operante, per esempio mediante licenza Creative Commons, usata, tra l’altro, per la pubblicazione e diffusione di questo volume, ma si tratta di strumenti che, oltre a presentare aspetti procedurali un po’ farraginosi, non garantiscono introiti ragionevoli per gli autori. Il libero mercato prefigurato e descritto in una serie di opzioni operative sembra, dunque, essere la migliore soluzione, contando in particolare: sul vantaggio competitivo di chi fornisce al mercato stesso un’opera originale, non necessariamente destinata (anche per motivi economici) a essere copiata; sull’aumento di reputazione (e di valore) dell’autore la cui opera venisse copiata, riprodotta e diffusa; sulla perdita di credibilità e reputazione dei “furbetti” e dei disonesti che approfitterebbero di tale libertà di movimento (opzione, questa, non particolarmente valida nel mercato occidentale, ma di forte presa in altri contesti).

 

Nuove regole potrebbero essere elaborate in materia di tutela, ma diverse rispetto alla rigidità (e sostanziale inapplicabilità) di quelle attuali e nuove, sostanziose risorse potrebbero essere investite per dare spazio ai molti creativi, oggi impossibilitati a farsi conoscere. Si potrà rielaborare liberamente un’opera altrui, citando l’originale di partenza, e non ci saranno limiti a versioni ulteriori e alternative di una medesima intuizione creativa, cercando di trovare il modo in cui il primo ad averla concepita ne abbia il giusto riconoscimento, prima di tutto morale e, ove possibile, economico-finanziario, liberando, ove possibile, i tribunali, da cause assai onerose. Le sovvenzioni pubbliche potrebbero essere così indirizzate a sostenere coloro i quali faticano maggiormente a trovare visibilità, ma hanno proposte valide per la collettività.

 

Valutando esempi pratici già realizzati, nell’editoria si potrebbe dare ampio spazio al print on demand, stampando solo ciò di cui è sicura la vendita, così come per alcuni concerti di musica (rock) dal vivo, acquistati e sostenuti dai fan, mediante operazioni di crowd sourcing/funding, nel cinema limitando le mega produzioni (i cui costi maggiori ricadono sulle attività di marketing, piuttosto che sull’investimento creativo), e migliorando e sostenendo la più ampia diffusione di un maggior numero di film, impiegando anche qui il crowd funding, nelle arti visive ripensando e aggiornando le regole del droit de suite. Gli autori del volume non sono per niente convinti di indicare con sicurezza soluzioni percorribili ed efficaci, ma sono certi che, anche in ragione di quanto vissuto con la crisi globale economico-finanziaria iniziata nel 2008, vadano individuate regole appropriate per gestire le nuove sfide planetarie. Il copyright non può essere eliminato se non si riducono contestualmente le forze dominanti del mercato e si crea un nuovo equilibrio, evocando, se del caso, l’opportunità di una convenzione mondiale sul (libero) accesso alla conoscenza, basato sui diritti umani, già sanciti in sede ONU. Siamo tutti chiamati, dunque, a costruire un mondo migliore, a documentarci e a ragionare sul tema, a partecipare al dibattito e, auspicalmente, a godere di un mercato culturale assai più vario, ampio e interessante di quello che ci è offerto al momento attuale.

 

Un pensiero riconoscente, a chiusura di queste righe va anche alle traduttrici del volume Claudia Di Palermo e Isabella Massarda, che hanno saputo rendere accessibili nella nostra lingua concetti e termini tecnici non certo facili e hanno costruito un periodare che, riflettendo lo spirito degli autori, risulta in ogni caso leggero, piacevole e accessibile anche per un lettore non specialista della materia.

    

La fine del copyright
Come creare un mercato culturale aperto a tutti
Joost Smiers, Marieke van Schijndel
Stampa Alternativa, 2010
Euro10,20
http://www.stampalternativa.it/liberacultura/?p=201
http://www.connectcp.org/profiles/profile.php?profileid=100