La forza delle comunità locali e del capitale umano

Credo si possa affermare con una certa tranquillità che il nostro futuro dipende dalla capacità che il Paese avrà di imprimere una svolta all’accrescimento della qualità del suo capitale umano.
La situazione attuale della formazione, a tutti i livelli scolastici e universitari, è piuttosto critica per la carenze di risorse economiche e umane; oltretutto è critica a fianco della carenza quantitativa anche quella qualitativa. I sistemi di valutazione in Italia stentano ad affermarsi.

Credo si possa affermare con una certa tranquillità che il nostro futuro dipende dalla capacità che il Paese avrà di imprimere una svolta all’accrescimento della qualità del suo capitale umano. La situazione attuale della formazione, a tutti i livelli scolastici e universitari, è piuttosto critica per la carenze di risorse economiche e umane; oltretutto è critica a fianco della carenza quantitativa anche quella qualitativa. I sistemi di valutazione in Italia stentano ad affermarsi.

A fronte di ciò, esiste, possiamo dire una modalità di formazione parallela che è quella che si fa sul campo. Non è certo sostitutiva della prima, ma certamente complementare e che, comunque, può dare alla prima un notevole valore aggiunto.
Si tratta di una formazione in itinere che avviene facendo esperienze nella città, nei luoghi dove la gente si incontra e discute dei problemi comuni, nelle associazioni, nei city center, nei comitati di quartiere, nelle assemblee cittadine, nei luoghi in cui si delineano soluzioni e si costruiscono strategie di governance. Si tratta di luoghi in cui spesso si riesce a fare innovazione e a tenere viva l’identità culturale dei territori.

In questo numero due articoli su temi profondamente diversi, la ricostruzione in Abruzzo e il Forum mondiale Unesco sulla cultura e sulle industrie culturali, propongono tra le righe questo tema.

L’articolo sull’ Abruzzo propone un’ “interpretazione” del processo di ricostruzione, con particolare riferimento al piano C.A.S.E.: il centro del tema è la scelta della localizzazione delle aree sulle quali sono state costruite, e si stanno costruendo, le nuove residenze e i ruoli che in questa hanno ricoperto il Governo centrale e la Protezione civile da un lato e i Comuni (in particolare L’Aquila), dall’altro. L’autore vede nelle aree marginali sulle quali si sta ricostruendo un “pretesto” intorno al quale le amministrazioni possono impiantare, di fatto ex post, “un’operazione visionaire che non sia di semplice ricostruzione dov’era com’era, ma di community re-building e community empowerment”. Si presume che, in tale contesto, il capitale umano/locale possa lavorare per determinare (per quanto possibile) il proprio destino. Il problema è capire come questa operazione, oggi certamente necessaria, sia stata determinata da scelte “ambigue”, non condivise da tutti e rispetto alle quali sembra che nessuno voglia assumersi a pieno titolo la responsabilità. In tal senso, quale avrebbe potuto essere l’operazione visionaire a fronte di una diversa logica territoriale di ricostruzione?

Su questo tema, Tafter Journal apre un dibattito e uno spazio di discussione.

Dall’altra parte il Forum Unesco, svoltosi recentemente a Monza, ha inquadrato la questione nel contesto di un’economia che si va sempre più basando sulla conoscenza, all’interno della quale la cultura può diventare la scatola magica dove si stimola l’innovazione e si accresce la qualità del capitale umano. Questa prospettiva contempla una valorizzazione delle diversità culturali come elemento di ricchezza sociale in un’ottica in cui le industrie culturali siano sempre più legate al territorio e veicolo d’identità.