Cultural heritage, in all its forms, is both a productive asset and a precious resource to be conserved. It embodies and safeguards the values of a place and its people. Sustainable conservation of cultural heritage addresses the challenges of balancing economic development with the preservation of authenticity and identity. This is particularly crucial for valuable historic cities, which are non-renewable resources with strong attractions.
Premesse
Le manifestazioni materiali e immateriali che sostanziano ciò che definiamo patrimonio culturale, sono considerate una straordinaria risorsa produttiva, ma allo stesso tempo esse rappresentano un capitale da preservare poiché esprimono e custodiscono i valori e le tradizioni di un determinato territorio e dei suoi abitanti. Tale patrimonio riveste particolare importanza non solo per la sua dimensione economica, ma anche per la rilevanza che assumono le problematiche inerenti alla dimensione qualitativa della vita individuale e collettiva da perseguire negli ambiti in cui la sua concentrazione è rilevante, come per esempio i contesti urbani storici di elevato pregio. Nello specifico, quindi, il patrimonio oggetto di tale riflessione è il patrimonio insediativo storico che rappresenta una particolare risorsa e che non è riproducibile.
La pratica e la teoria negli anni ci hanno insegnato che non solo i monumenti, ma anche i quartieri, le città antiche e le testimonianze storiche minori non si distruggono. Queste parti urbane, tuttavia, non possono essere considerate ambiti speciali e autonomi, ma devono far parte di un ambiente urbano più vasto; esse sono subordinate alla qualità del loro contesto urbano di riferimento, la città nella sua totalità. “La traducibilità dello spazio antico – questa intuizione e, a un tempo, questa riscoperta rivoluzionaria anche sul piano della progettualità – porta con sé, tuttavia, dei pesanti punti interrogativi che, non solo non sono risolti, ma sembrano crescere col proseguire delle attuali esperienze di ricupero. Essi possono essere riassunti nel problema dell’interpretazione e della valutazione dell’offerta di spazio. Mi sembra che la questione possa essere chiarita con questi semplici passaggi: la città antica si lascia ri-usare, sia globalmente – e il fatto che il Centro storico abbia spesso conservato, appunto, la sua centralità nei confronti dell’intera città contemporanea, ne è la più evidente dimostrazione – sia nelle sue diverse componenti; ciò vuol dire che quello spazio – grande o piccolo che sia – sa offrirsi a un uso diverso, mutevole nel tempo: in questo senso, lo spazio antico ha una sua forza e una sua straordinaria resistenza. Ma contemporaneamente, questa sua disponibilità alla trasformazione può rappresentare una debolezza intrinseca, una condizione disarmata: perché l’operazione di ri-uso può, per così dire, approfittarsi di questa offerta generosa e risolversi, ad esempio, in una violenza deformante e distruttiva”(1). (Cusmano, 2002). Osservazioni puntuali e rigorose dei possibili rischi che i processi di trasformazione, visti come eventi in grado di apportare benefici a tutti gli abitanti delle città, indistintamente nascondono.
I processi di significazione
Le risorse storico/culturali, ovvero il patrimonio culturale nella sua totalità, rappresentano il patrimonio genetico sedimentato nel corso di secoli, con il quale le generazioni passate comunicano all’attuale e alle future generazioni. Il patrimonio urbano, reale risorsa per la città storica, è caratterizzato da elevati valori intrinseci legati alle identità dei luoghi, delle società e degli abitanti, contribuendo all’educazione, alla qualità della vita e dell’ambiente, e producendo effetti positivi nei processi di trasformazione.
Dell’intero complesso organismo insediativo che definiamo patrimonio urbano, le parti di esso che riteniamo di pregio sono quelle che subiscono maggiori alterazioni nei processi di riconfigurazione spaziale e sociale; la complessità fisica, i caratteri identitari e sociali, la ricchezza culturale e patrimoniale che caratterizza questi luoghi, comportano notevoli problematicità alle quali va aggiunto il dinamismo che in queste porzioni di città si è registrato negli ultimi decenni.
“Abbiamo salvato gli edifici, ma li abbiamo sommersi con un traffico automobilistico che ne compromette perfino l’aspetto estetico e che è esiziale per gli antichi tessuti. Una volta il tessuto dei centri storici era articolato per funzioni: l’abitazione e il commercio di prossimità, l’assistenza agli anziani e l’istruzione ai bambini, l’artigiano di servizio e la produzione dei beni più popolari. Permettendo che il centro storico – il luogo di massimo valore immobiliare – si riempisse di uffici e si svuotasse di residenze, lo abbiamo compromesso irreparabilmente, azzerando la funzione articolata del complesso sistema urbano. Così il centro della città si riempie di giorno e si svuota di notte, salvo le poche zone dedicate allo svago, che però disturba i residenti rimasti. Dal centro storico sono scomparsi i negozi di prima necessità – che erano disposti lungo le strade e servivano gli inquilini dei piani superiori -, sostituiti ora da “vetrine”, strumenti di pubblicità delle multinazionali, la cui economicità non dipende dal mercato locale del quartiere, ma da quello mondiale”(2). (Campos Venuti, 2010). Una descrizione concreta degli aspetti strutturali, fisici e sociali che oggi possono essere rintracciati nelle modificazioni avvenute in parecchie città e ambiti urbani di pregio.
Il rapporto tra urbs e civitas in tali ambiti rappresenta l’identità stessa, con un ruolo ben definito nell’evoluzione dell’intero organismo urbano; la disgregazione e/o la rottura dell’equilibro di tale rapporto, produce non solo una alterazione fisica progressiva del patrimonio urbano in questione, ma anche un prolungato svuotamento e snaturamento funzionale e d’uso e, quindi, in prospettiva, di senso e di valori, rischiando di indebolire in maniera strutturale gli equilibri stratificati della città con effetti di lunga durata e di difficile risoluzione.
In una famosa similitudine, tra la mente umana e Roma, Sigmund Freud sostiene che esiste una analogia tra la conservazione della memoria psichica, quella della mente, e quella fisica della città con una sostanziale differenza tra le due: dimenticare non significa distruggere per sempre la traccia mnemonica e inoltre l’uomo può ricordare simultaneamente fatti appartenenti a tempi diversi della sua storia mentale, mentre questo nella città non è possibile, perché il medesimo spazio non può essere riempito in due modi diversi contemporaneamente(3). Ovvero spesso la memoria dei luoghi viene cancellata o re-inventata per farli rivivere. È ciò che definiamo conservazione sostenibile di queste risorse, la quale attribuisce nuovi valori di uso a partire e in coerenza con i valori indipendenti dall’uso, in modo tale che il valore complessivo sia il più elevato possibile, al fine di costruire una nuova più compiuta e completa qualità urbana. Cancellare e/o re-inventare non significa perdita dell’identità, snaturamento e artificializzazione dei luoghi, ma significa restituire ai luoghi stessi nuove funzioni e attività adeguate alle dinamiche della vita contemporanea, attraverso processi di significazione, progetti di identità, ossia strategie per la promozione/valorizzazione dei luoghi che mettano in evidenza le relazioni che legano risorse culturali e intento strategico delle politiche nella ridefinizione dell’immagine delle città.
Il termine sostenibilità viene spesso associato ai problemi della crescita economica legata a una preservazione dell’ambiente in modo da non comprometterlo in maniera irreversibile; allo stesso modo anche le risorse culturali, il patrimonio culturale, sebbene rappresentino una fonte per lo sviluppo territoriale, grazie soprattutto ai benefici indiretti che genererebbero, vanno tutelate in quanto trasmettono valori e tradizioni.
Non esiste una singola e univoca definizione di sostenibilità culturale, ma la sua importanza è connessa da un lato alla valorizzazione di beni e servizi, intesa come tentativo di renderli produttivi, di incentivarne il consumo e di favorire la diffusione della conoscenza del patrimonio. D’altro canto però la sostenibilità è collegata anche alla tutela e alla conservazione del patrimonio urbano di tali contesti, in particolare di quei beni che rappresentano una forte attrattiva, su cui si riversa un’enorme domanda di consumo.
Parlare quindi di sostenibilità culturale significa affrontare diverse questioni:
– l’importanza correlata alla necessità di valorizzare il patrimonio intesa come tentativo di rendere produttive le risorse culturali-urbane (valore economico);
– il problema della tutela e conservazione di alcuni beni (nel caso specifico le città storiche di pregio) che, per il loro valore identitario particolare, esercitano una forte attrattiva catalizzando una consistente domanda di fruizione/uso (valore d’uso e attività correlate).
Le condizioni di rapido cambiamento di tali contesti rappresentano una importante sfida, poiché la loro gestione, lo squilibrio del loro progresso e la conservazione del tessuto storico urbano spesso portano a una stasi economica o alla perdita dei valori del patrimonio culturale e con essa, alla perdita di identità. Per cui tra le finalità di processi culturalmente sostenibili vi sarebbero quelle di favorire il giusto equilibrio tra la conservazione del patrimonio culturale costruito e lo sviluppo socio-economico dei contesti, al fine di rafforzare la loro attrattiva e competitività. Ri-cercare la qualità della città storica, perciò, significa riconoscere il valore complessivo del patrimonio edilizio e architettonico che dà forma e funzione agli spazi urbani, ed esprime i significati più importanti del paesaggio culturale.
Gli ostacoli per una conservazione sostenibile
In tali contesti, però, gli interessi economici sono di gran lunga superiori, così come gli equilibri dei tessuti e degli ambienti sono molto più fragili e complessi che in altre parti urbane. Infatti oltre all’allontanamento delle classi meno abbienti si assiste anche a una perdita dell’autenticità dei luoghi, a un loro snaturamento. Queste aree delle città si trasformano da luogo da vivere a luogo da consumare prevalentemente in senso turistico, accentuando processi di spopolamento poiché le esigenze del mercato urbano sono nei fatti incompatibili con quelle di chi vi abita stabilmente.
Questo processo tipico della gentrification, secondo la definizione coniata da Ruth Glass(4), negli anni ha colpito anche queste aree storiche/centrali delle città, ma il processo che segue a questo fenomeno, ovvero i cambiamenti urbani interessati da una trasformazione della città dal punto di vista socio-demografico qui è ben più complesso e rovinoso, poiché siamo in contesti che più di altri possiedono una loro fisionomia, un loro marcato genius loci, un tessuto urbano e degli equilibri culturali e sociali creati dal tempo e dalla storia.
C’è però qualcosa di più profondo – sostiene Saskia Sassen – dietro questi processi, “ovvero la realizzazione di un nuovo spazio di potere che si incastona in una rete mondiale di città. E ad avere più bisogno di occupare questi spazi sono proprio le multinazionali. Che arrivano così ad accumulare quello che io chiamo «capitale di conoscenza urbana»: la formazione cioè di un tipo di rete di conoscenza che nessuna azienda può comprare. Questo spazio conquistato è uno spazio strategico. All’apparenza è uno spazio «gentrificato»: con nuovi edifici costruiti con gusto, appartamenti, uffici, ristoranti, locali, altri servizi, dove tutto è più costoso e prende il posto prima occupato da imprese dal profitto più basso e da famiglie con un reddito più modesto. Dietro la realizzazione di questo spazio di potere, si nascondono la privatizzazione e la deurbanizzazione di gran parte dei centri cittadini e di altre importanti aree storiche di grande pregio”(5).
Ci troviamo, quindi, in uno spazio urbano completamente modificato che ha perso il suo carattere originario locale per conferirsene uno globale. Come affrontare il problema? Le dimensioni caratterizzanti queste problematiche riguardano due livelli scalari diversi: il primo attiene alla sfera economica-sociale-culturale e riguarda i processi/fenomeni sopraesposti; il secondo strutturale-morfologico-fisico riguarda gli elementi strutturanti lo spazio materiale dei contesti, i quali rappresentano veri e propri fattori di condizionamento e si riferiscono: a) alla complessità dell’impianto urbano (fisica e strutturale); b) alla sostenibilità delle funzioni; c) all’attrazione dei luoghi. Da ciò deriva una auspicabile ri-definizione dei processi di rinnovamento e/o rigenerazione che tenga conto della necessaria componente di compattezza, complessità e densità sociale di questi luoghi.
Modelli di sviluppo e strategie sostenibili per le città storiche di pregio
“Il paesaggio storico urbano acquista il suo significato universale ed eccezionale da una graduale evoluzione, così come lo sviluppo territoriale pianificato in un preciso arco di tempo attraverso il processo di urbanizzazione integra le condizioni ambientali e topografiche ed esprime valori socio-culturali ed economici relativi alla società”. Questo richiamo ripreso dal testo del Memorandum di Vienna (2005) su: Patrimonio Mondiale e Architettura Contemporanea-Gestione del Paesaggio Urbano Storico, rimarca come questi particolari contesti urbani non possono essere semplicemente considerati come un insieme di monumenti importanti, ma devono essere considerati piuttosto come un organismo vivente, uno spazio vitale per i suoi abitanti. L’ultimo documento dell’ICOMOS(6) ribadisce l’importanza di considerare il patrimonio come una risorsa costituente l’ecosistema urbano.
Inoltre la loro rappresentatività, identità e memoria, attraverso una valorizzazione innovativa ma coerente e sostenibile entro gli obiettivi della tutela, assicura la continuità della memoria collettiva, del senso dei luoghi e introduce con funzioni d’uso contemporanee un modello di sviluppo sostenibile, che coniuga l’integrazione del patrimonio comune con le necessità d’innovazione e competitività dell’intero territorio.
I modelli di trasformazione, in relazione anche alle due dimensioni delle problematiche sovraesposte possono essere ricondotti a due macro tipologie di intervento; il primo più prettamente attinente alla sfera “tecnologica” ovvero a tutto ciò che attiene alla conservazione dei luoghi e/o manufatti con modalità e tecniche di recupero innovative e “sostenibili”. Il secondo modello riguarda i processi di trasformazione che tentano di re-interpretare i contesti storico-culturali locali secondo principi globali già sperimentati, con poche diversificazioni e molto omologati. In una sorta di competizione tra la dimensione globale e la dimensione locale, questi fenomeni per non trasformarsi in conflitto continuo devono riproporre ovunque i propri principi e linguaggi di base, ma al contempo simulare, o in pochi casi accettare, un dialogo con le invarianti culturali locali che ancora sopravvivono. Molti casi sono noti e già sufficientemente criticati per gli “effetti perversi”prodotti e/o indotti – vedi le città d’arte -, ma nell’insieme piccoli germi di esempi diversi e anomali nelle intenzioni e negli effetti si possono a volte riscontrare.
Per esempio alcuni centri storici, tra cui Genova, Trieste e altri, per tentare di arginare questi effetti negativi, a favore della qualità della rigenerazione sociale e funzionale, hanno tentato attraverso nuove modalità d’investimento e di intervento di promuovere la ristrutturazione globale delle relazioni socio-spaziali. A Genova dopo gli eventi internazionali, e a Trieste con le azioni di politiche urbane e finanziamenti europei, quartieri degradati, ma non privi di identità, mostrano a un certo momento segni di rigenerazione, sostituzione funzionale, recupero edilizio, grazie a un processo prevalentemente spontaneo, partito dal basso. Anche se gli interventi urbanistici possono creare esternalità predisponenti al loro decollo, la scala del fenomeno è locale e assume una dimensione di quartiere, o comunque di spazio controllato, tentando di non innescare effetti negativi/perversi quali l’espulsione degli abitanti e soprattutto gli appetiti immobiliari dei grandi investitori. Una volta avviate, tali trasformazioni divengono l’esito di un comportamento imitativo prodotto dall’interazione di molte decisioni che convergono rispettivamente in un “intorno spaziale”, con aspetti differenti rispetto a quelli descritti come negativi.
Rigenerare, favorire l’accesso, migliorare la qualità della vita, sono i principi fondamentali degli interventi sugli ambienti urbani storici, che si stanno affermando negli ultimi anni con l’obiettivo di aumentare la qualità dei contesti e la qualità della vita degli abitanti e dei fruitori/turisti. Nuove forme di valorizzazione e nuove logiche di intervento più strettamente legate al fattore esperienza, alla sostenibilità delle soluzioni gestionali e alla partecipazione delle comunità locali.
Sostenibile e compatibile, sebbene termini abusati, individuano una sensibilità verso l’ambiente – fisico e culturale – delle città e invitano a creare le condizioni per favorire creatività e innovazione. Si registra, cioè, una rinnovata attenzione verso forme di riqualificazione soft attraverso cui riposizionarsi nell’ambito del sistema competitivo territoriale internazionale.
Le strategie di valorizzazione sostenibile in tali ambiti vanno intese, perciò, non come semplice tutela e conservazione di beni e risorse, ma come un’azione fondata su un più generale processo di rivitalizzazione economica, in cui la messa in valore delle risorse e la loro organizzazione in sistema, privilegiando criteri di accessibilità e fruibilità, possano costituire la chiave di volta per generare nuova attrattività e, quindi, rilancio socio-economico.
I tessuti urbani, considerati come organismi viventi nelle loro continue contaminazioni, vedono nel rapporto tra antico e nuovo un confronto che si apre a diverse possibilità e discussioni. Sia a livello di macro scala (centro storico e tessuto urbano) sia di microscala (il manufatto nel suo processo di conservazione e rifunzionalizzazione), la città storica è chiamata a modificare la propria conformazione e configurazione, in un rapporto serrato tra storia e tecnologia. Attraverso processi di valorizzazione che non sono solo un insieme di azioni volte esclusivamente a innalzare il valore economico di aree e immobili, ma perseguono obiettivi più ampi di riqualificazione e rivitalizzazione sociale, economica, culturale del contesto urbano cui sono riferite.
Affinché il processo non si riduca a un’operazione di semplice valorizzazione immobiliare, di recupero edilizio o di make up urbano è necessario non solo fare leva sulle risorse esistenti e potenziali, ma anche dare risposta alle carenze del tessuto urbano e alle istanze provenienti dal contesto socio-economico. Parliamo, quindi, di una strategia di valorizzazione complessiva, capace di tenere insieme interventi fisici, sociali, economici e culturali. Le diverse interazioni tra gli aspetti sociali, ecologici ed economici indicano che questi processi di valorizzazione/rigenerazione passano da intervento puntuale a strategia complessiva di sviluppo, assumendo il ruolo di una strategia fondamentale per riportare qualità e identità a contesti urbani di pregio; un’opportunità straordinaria per rispondere alle sfide delle trasformazioni socio-economiche e culturali in atto.
Note
(1) Cusmano M.G., Oggi parliamo di città. Spazio e dimensioni del progetto urbanistico, FrancoAngeli, Milano, 2002.
(2) Oliva F. (a cura di), Giuseppe Campos Venuti, Città senza cultura. Intervista sull’urbanistica, ed. Laterza, Roma-Bari, 2010.
(3) Longobardi G., Pompei sostenibile, L’Erma di Bretschneider, Roma, 2002.
(4) Ruth Glass, London: aspects of change. London: MacGibbon & Kee, 1964
(5) Saskia Sassen, “Da Amburgo a Buenos Aires virtù e vizi di una rivoluzione”, in La Repubblica, 15 luglio 2012.
(6) Principi de La Valletta per la salvaguardia e la gestione delle città e insiemi urbani storici (ICOMOS, XVII assemblea generale, 28 novembre 2011).
Bibliografia
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