Le potenzialità della valutazione nel rapporto impresa-cultura: riflessioni sullo stato dell’arte in Italia

La contrazione subita dai finanziamenti per la cultura in Italia ha sollevato, tra il 2008 e il 2011, un interessante dibattito sul rapporto impresa-cultura mettendo in rilievo l’urgenza di porre mano ai problemi che da tempo lo contraddistinguono. Una delle misure proposte consiste nel promuovere il ricorso alla valutazione ovvero ad una analisi che permetta di cogliere la rete di valore tessuta dall’intrecciarsi del rapporto tra questi due attori. Il contributo propone una riflessione sul ruolo della valutazione accostando la “voce” della letteratura e quella delle imprese italiane allo scopo di mettere in luce le sue potenzialità con particolare riferimento all’attuale contesto nazionale.

Introduzione(1)

 

L’indebitamento contratto dallo Stato italiano e la crisi finanziaria hanno comportato, negli ultimi 3 anni, una ulteriore riduzione dei finanziamenti pubblici per la cultura(2) insieme ad un forzato contingentamento delle risorse erogate dalle imprese(3). La criticità della situazione sembra aver però favorito il consolidarsi di un confronto attento tra soggetti privati e istituzioni culturali volto a decifrare e sanare le difficoltà che da tempo contraddistinguono il rapporto tra questi due attori. Come ricorda Salvatore Settis (p. 45, 2011) “la carenza di fondi pubblici rende più preziosi i finanziamenti privati“. La particolare congiuntura venutasi a creare ha portato nuovamente in scena le “antiche” problematiche legate agli incentivi fiscali – scarsi e eccessivamente macchinosi -, alla frammentarietà e instabilità degli interlocutori – che frena la nascita di progetti a lungo termine con obiettivi chiari e garanzie -, alla scarsa informazione, formazione e quindi sensibilizzazione sui possibili benefici derivanti da un investimento in cultura(4). Si è soffermato recentemente su quest’ultimo aspetto Cecchi (p. 4, 2011) secondo il quale la vera priorità nel contesto attuale sia promuovere anche nel “mondo” imprenditoriale la visione della cultura come un investimento “e non un’elemosina o una qualche altra forma consolatoria del vivere civile“. Studi di settore hanno poi confermato come all’oggi le ragioni che allontanano le imprese dalla cultura sono riconducibili principalmente allo scarso riconoscimento dei vantaggi di business che ne derivano mentre l’assenza di risorse e di incentivi fiscali accessibili appaiono decisamente secondarie (Civita, 2010); analogamente tra gli operatori bancari prevale la convinzione di essere in presenza di un settore “di scarsa convenienza commerciale, poco strategico per il business[…] – e insieme perdura – una mentalità che fatica a comprendere[…]le peculiarità e le caratteristiche degli ambiti culturali rispetto alle loro valenze, alla progettualità e agli impatti socio-economici che vengono a prodursi[…]” (Fuortes, Argano, pp. 31-32, 2011). Al fine di ovviare a tale debole consapevolezza una delle misure proposte nel dibattito sviluppatosi tra il 2008 e il 2011 sul rapporto impresa-cultura in Italia consiste nel promuovere il ricorso alla valutazione ovvero ad una analisi che permetta di quantificare i ritorni di un investimento. In particolare, Cantoni (2009) suggerisce di introdurre nuovi parametri capaci di cogliere oltre alla dimensione economica legata all’immagine anche l’impatto sul territorio e sul capitale umano interno all’azienda. Fuortes e Argano (2011) suggeriscono di introdurre un sistema di valutazione adeguato alle peculiarità di ciascun ambito culturale che tenga conto del valore prodotto sul piano finanziario, sociale e culturale. Bortoluzzi Dubach (p. 6, 2011) sostiene poi che le istituzioni culturali al fine di incentivare le sponsorizzazioni devono, anche, “documentare con efficacia il valore che possono garantire e che il mondo imprenditoriale ricerca” migliorando le pratiche di trasparenza e rendicontazione.

 

Alla luce di tali considerazioni, si propone una analisi del ruolo della valutazione nel rapporto impresa-cultura in Italia allo scopo di mettere in luce le sue potenzialità e il punto di vista delle imprese in materia. A questo proposito viene messa a confronto la letteratura italiana, australiana e inglese inerente le politiche culturali aziendali e le sponsorizzazioni – in particolare di eventi culturali(5) – con i dati relativi alle più recenti indagini empiriche svolte sul “mondo” delle imprese attive in ambito culturale in Italia. Le riflessioni emerse permettono quindi di tracciare “uno stato dell’arte” in materia e di proporre alcune riflessioni circa l’utilità della valutazione nello scenario italiano attuale.

 

 

Le potenzialità e il ruolo della valutazione attraverso la “voce” della letteratura e quella delle imprese

 

La maggior parte della letteratura analizzata (Allen, 2008, p. 375; Knell, 2004; Bowdin et al., p. 480, 2011; Bortoluzzi, Dubach e Frey, p. 171, 2008; Jeffries-Fox, 2005; O’Toole e Mikolaitis, p. 244, 2002) sostiene che oggi vi sia una maggiore competizione tra i vari dipartimenti aziendali per l’allocazione dei fondi facendo sì che anche i budget destinati al marketing e alle sponsorizzazioni siano posti sotto scrutinio. Le imprese attive in questo settore sono chiamate, quindi, a dimostrare internamente l’utilità e l’efficacia del proprio operato al fine di assicurare un “appoggio” economico alle proprie attività presenti e future. La valutazione, in quest’ottica, viene vista come uno strumento gestionale per ottenere credibilità e supporto internamente. Altri autori (Bondardo, 2004; Coughlan, Mules, 2001; Jeffries-Fox, 2005; Masterman, 2004) sottolineano poi come il rapporto impresa-cultura viene “vissuto” come parte di un più ampio piano produttivo mosso da implicazioni di tipo competitivo mentre in passato era motivato in buona parte da motivazioni filantropiche – dal puro mecenatismo -. Questa nuova concezione comporta la necessità di verificare se le azioni intraprese – e i soldi spesi – hanno raggiunto gli obiettivi prefissati come una qualsiasi azione facente parte di una strategia. In quest’ottica, la valutazione rappresenta una componente utile al fine di controllare il proprio operato. Oltre a questi vantaggi, altri autori (es. O’Toole e Mikolaitis, 2002) ribadiscono il valore della valutazione rispetto alla progettazione di eventi futuri. Sotto questo aspetto, essa rappresenta uno strumento per conoscere meglio il proprio pubblico, per capire non soltanto da chi è composto, ma anche che cosa apprezza, di cosa sente la necessità aiutando così l’impresa ad orientare meglio i propri investimenti. Oltre a queste motivazioni di carattere interno – o comunque legate al management e alla mutata gestione degli investimenti in cultura -, una parte esigua della letteratura pone in risalto la sua utilità come strumento di comunicazione esterna rifacendosi al concetto di responsabilità sociale dell’impresa. A questo proposito, Baia Curioni (p. 242, 2003) sostiene che l’impegno in cultura dovrebbe essere pensato e progettato come parte delle strategie di responsabilità sociale dell’impresa e, in questa ottica, andrebbe valutato anche al fine di “influenzare positivamente l’accettabilità dell’impresa e del suo operato da parte degli operatori economici e delle parti sociali”. Riferimenti simili si ritrovano poi in altri autori (es. Cantoni, 2009; O’Toole, Mikolaitis, 2002; Skinner, Rukavina, 2003) i quali, seppur brevemente, precisano come la valutazione possa aiutare l’impresa a dialogare con l’opinione pubblica purché essa contempli anche le ricadute generate dall’evento sul territorio. Infine, secondo O’Toole e Mikolaitis (2002), la valutazione può “assolvere al suo compito” di migliorare l’accettabilità dell’impresa e del suo operato anche internamente; a questo proposito gli autori si soffermano sulla opportunità di ricorrervi al fine di convincere il personale aziendale circa l’utilità di un evento e della spesa effettuata dall’azienda nel settore.

 

Dal punto di vista delle imprese, l’indagine campionaria condotta da Civita(6) nel 2010 segnala che il 27,3% delle imprese italiane non adotta alcun criterio per valutare i propri investimenti in ambito culturale; quelle che vi ricorrono si affidano principalmente a indici legati alla visibilità del marchio/prodotto sui media (29,9%), alla creazione di contatti diretti e relazionali (23,6%), mentre solo il 15,2% verifica una variazione nella reputazione/immagine e il 4% nelle vendite. Allo stesso tempo, il poter ricevere ritorni e benefici chiari, trasparenti e adeguati rispetto agli investimenti richiesti è al terzo posto tra le aspettative delle imprese nei confronti degli enti culturali sponsorizzati (20%), preceduto dalla accuratezza nella gestione dell’evento (44,5%) e dalla possibilità di instaurare una collaborazione continuativa nel tempo (42,8%). Il quadro riportato da Civita (2010) appare sostanzialmente in linea con i dati che emergono da altre indagini condotte precedentemente fatta eccezione per il ricorso alla valutazione che risulta decisamente in crescita rispetto al passato. Secondo lo studio condotto dalla Fondazione Fitzcarraldo(7) (Bacchella, Conforti, 1997) tra il 1993 e il 1994, il controllo periodico e la verifica finale dell’impatto degli interventi vengono effettuate da due terzi delle imprese interrogate; gli strumenti utilizzati sono la copertura dei media e i dati sull’affluenza di pubblico. Lo studio riporta poi come la metà degli intervistati segnali difficoltà nella valutazione degli interventi (Bacchella, Conforti, p.70, 1997). Qualche anno dopo, Bondardo Comunicazione(8) (p.77, 1998) indica che il controllo dei risultati appare una pratica acclarata nel 3% dei casi e presumibile nel 15%, mentre l’Università Bocconi(9) (p.53, 2003) dichiara che la maggior parte del campione analizzato non esercita alcun controllo effettivo sulla destinazione dei fondi stanziati né sul successo dell’iniziativa finanziata. L’indagine effettuata da EGG e Astarea(10) (p.22, 2008), pur non presentando dati in merito, precisa che i parametri utilizzati per verificare l’efficacia della sponsorizzazione sono: contatti, visibilità mediatica, reputation. La possibilità di acquisire dati sui ritorni dell’investimento da parte degli enti culturali sponsorizzati rappresenta poi un elemento importante per le imprese nel giudicare la configurazione dell’offerta.

 

Da una lettura dei dati sopra riportati emerge il ricorso modesto alla valutazione ex-post nell’ambito delle politiche culturali aziendali, la carenza di strumenti rispetto ad una valutazione più approfondita degli interventi – laddove vengono impiegati i criteri più facilmente riscontrabili – e insieme, da ultimo, l’interesse nei confronti delle evidenze empiriche a sostegno delle decisioni di impresa. Inoltre, dal confronto tra la “voce” della letteratura analizzata e quella delle imprese, si avverte come queste ultime riconoscano la sua utilità come strumento gestionale ad uso interno mentre ne sottostimano il ruolo nel gestire il consenso esternamente e internamente.

 

Conclusioni

 

L’analisi della letteratura ha messo in luce i benefici che possono derivare dall’uso della valutazione; le indagini field prese in esame delineano un quadro in cui le imprese appaiono poco preparate ma interessate all’argomento tanto da chiedere ai propri interlocutori culturali informazioni sui ritorni dell’investimento. Il tema risulta quindi rilevante nell’ambito del rapporto impresa-cultura e il suo peso appare crescere nel panorama italiano attuale per due ordini di ragioni.

 

Le condizioni sociali, politiche ed economiche nelle quali l’impresa contemporanea opera fanno sì che quest’ultima sia chiamata ad agire secondo i criteri di trasparenza, accountability, efficacia ed efficienza. Questo clima si sta traducendo, negli ultimi anni, in una lettura della attività di un’impresa e dei risultati da essa prodotti in chiave non soltanto economica e finanziaria, ma anche sociale e ambientale come testimoniano la diffusione dei bilanci sociali e di sostenibilità, le linee guida in materia (es. Global Reporting Initiative), le politiche di indirizzo promosse da numerose istituzioni pubbliche (es. Commission of the European Communities, 2006). Con l’insorgere della crisi finanziaria ed economica nel 2008 il tema della “Responsabilità Sociale dell’Impresa – e la sua relativa rendicontazione – è divenuto ancora più rilevante in conseguenza della crescente domanda di responsabilità rivolta alle imprese e della necessità di ricostruire la fiducia avvertita dal settore imprenditoriale occidentale(11)” (European Commission, p. 9, 2011). In quest’ottica, valutare anche gli investimenti in cultura in termini di risultati generati sul territorio rappresenta una leva strategica tutt’altro che secondaria per l’impresa. Rendicontare all’esterno il proprio impegno attraverso il ricorso a dati e cifre tangibili costituisce infatti uno strumento di “amplificazione comunicazionale” – parafrasando Pastore e Vernuccio(12) (p.332, 2008) – che va oltre la semplice associazione del marchio ad un progetto culturale. Questa visione si sposa poi con la responsabilità d’impresa quale motivazione principale sottesa agli investimenti in cultura emersa da una recente indagine condotta in Italia (cfr. Bertani, 2009(13)).

 

Il ruolo della valutazione appare poi rilevante nel contesto italiano attuale in relazione alla diffusione delle partnership tra soggetti imprenditoriali e culturali e del neomecenatismo(14). Secondo l’indagine condotta da Civita (2010), il 23% delle imprese intervistate dichiara di investire in progetti ed eventi organizzati in proprio; l’assunzione di un ruolo più propositivo e attivo sul piano progettuale e organizzativo rende la valutazione uno strumento interno utile ai fini di una efficace ed efficiente pianificazione, gestione e controllo. Cruciale diventa allora rilevare aspetti quali il gradimento e l’esperienza di visita anche in relazione alla teoria di Meenaghan (2001) secondo il quale il livello di goodwill nei confronti dell’impresa si muove parallelamente all’intensità del coinvolgimento del consumatore(15). Inoltre, il ruolo di partner e neomecenate ha delle implicazioni in termini di responsabilità verso il territorio sul quale l’investimento in cultura “ricade”. Questo vale tanto su un piano etico, quanto d’immagine: le eventuali ricadute negative possono infatti ancora più direttamente danneggiare le reputazione dell’azienda. Misurare quindi l’impatto del proprio investimento sulla comunità interessata può fornire utili informazioni sul piano gestionale e progettuale e, insieme, i dati ricavati possono essere utilizzati al fine di legittimare la propria posizione in qualità di “ente promotore” di attività culturali.

 

Le riflessioni proposte suggeriscono di cogliere le potenzialità offerte dalla valutazione che appaiono oggi sottoutilizzate nel rapporto impresa-cultura in Italia. Uno studio empirico più approfondito sulle motivazioni che ne ostacolano l’esercizio nonché l’impiego di parametri più estesi rispetto agli attuali potrebbe aiutare a delineare meglio lo stato dell’arte in materia e a capire come intervenire al fine di incentivarne il ricorso. La mancanza di questi dati non impedisce tuttavia di intuirne l’utilità sul piano gestionale e comunicazionale ma anche ai fini di una maggiore comprensione circa il valore di un investimento in cultura essendo la valutazione uno strumento che permette di determinare sistematicamente la qualità, il valore o l’importanza di un qualcosa (Scriven, 1991).

 

 

Note

 

(1) Si ringrazia la prof.ssa N. Buratti dell’Università degli Studi di Genova per avere fornito alcuni suggerimenti utili all’impostazione di questo articolo.
(2) Il bilancio del Mibac è sceso dai 2.037 miliardi di euro del 2008, ai 1.718 del 2009 e 1.710 del 2010 (Mibac, 2011).
(3) Le erogazioni liberali degli enti soggetti all’Imposta sul Reddito delle Società (ex art. 100, c.2, lettera m TUIR – DPR 917/1986) è passata dai 31.646.294,00 di euro del 2008 ai 29.439.453,00 del 2009 (Cabasino, Onesti, Rauco, 2010) mentre l’ammontare delle sponsorizzazioni destinate alla cultura ammonta, nel 2010, a 181 milioni di euro contro i 258 del 2008 (Grossi, 2011).
(4) Su quest’ultimo aspetto si vedano, in particolare, Bondardo, 2004; Cantoni, 2008; Martinoni, Sacco, 2004; Trimarchi, 2003.
(5) La scelta di questo approccio metodologico deriva dalla constatazione che il maggior numero di investimenti in cultura delle imprese in Italia è orientato verso la promozione di eventi, mostre, concerti etc. (cfr. Civita, 2010).
(6) L’indagine è stata condotta tra maggio e giugno 2010 su un campione di 1.500 imprese rappresentativo delle imprese italiane con più di 9 addetti.
(7) L’indagine è stata effettuata su un campione di 114 aziende piemontesi e 150 lombarde individuate in base ai seguenti criteri: “le protagoniste di interventi di mecenatismo/sponsorizzazione culturale in regione;  i partners delle più importanti iniziative culturali promosse dagli Enti pubblici sul territorio regionale; i soggetti che avevano utilizzato le normative relative ai benefici fiscali –L. n.512/1982 e 555/1982; i membri della Consulta torinese” (Bacchella, Conforti, p. 23, 1997).
(8) Lo studio è stata condotto nel 1998 e si è basato sulla analisi del materiale inviato dalle 132 aziende che hanno partecipato tra il 1997 e il 1998 al Premio Guggenheim; non è quindi stata condotta una indagine field.
(9) La ricerca sul campo è stata effettuata su un campione di 34 imprese manifatturiere associate ad Assolombarda di dimensioni superiori ai 10milioni di euro di fatturato nel 2001; due terzi di queste avevano già investito in progetti in ambito artistico e culturale. La ricerca non sembra riportare la data di svolgimento che presumibilmente risale al 2003.
(10) L’indagine, condotta nella primavera 2008, ha coinvolto 35 imprese “che negli ultimi tempi hanno dimostrato sensibilità alle iniziative culturali…il tema dell’indagine riguarda la sponsorizzazione culturale in generale focalizzata sulla realtà milanese” (EGG, Astarea, p. 5, 2008).
(11) Traduzione propria di: “It is particularly in the wake of the financial and economic crisis that broke in 2008 that CSR is more relevant than ever as calls for more responsible business are heard and rebuilding trust is a top priority among businesses in the Western world“.
(12) Secondo gli autori un evento promosso dall’impresa nell’ambito delle proprie relazioni pubbliche può ricercare un effetto di “amplificazione comunicazionale ottenendo la diffusione della notizia da parte dei media, sia nella fase di promozione sia in quella di rendicontazione” (Pastore, Vernuccio, p. 332, 2008).
(13) L’indagine prevedeva un campione di partenza di 416 imprese italiane di cui 39 hanno risposto per intero al questionario.
(14) Con il termine neomecenatismo Candela e Scorcu (p. 123, 2004) identificano quei casi in cui “l’impresa finanzia una sua divisione o una sua controllata che si occupa d’arte“.
(15) Per coinvolgimento, l’autore intende: il livello di apprezzamento per l’ambito di riferimento dell’evento (artistico, sportivo etc.) e per il precipuo argomento/tema su cui è incentrato l’evento; ma a questo proposito, Allen et al. (p. 352, 2008) precisano che si può trattare anche dalla percezione di un ambiente positivo da parte del ‘consumatore’; in particolare scrivono: “emphasis is placed on consumers being in a positive environment at events as sponsorship brands are perceived in a favourable light”.

 

 

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