E’ stato di recente bandito il Concorso internazionale di idee per il riuso dell’edificio delle ex Fonderie Riunite di Modena secondo le indicazioni emerse da un processo partecipativo avviato dall’Amministrazione comunale che ha visto impegnate istituzioni e associazioni cittadine. L’esperienza, quasi unica nel suo genere per la dimensione del progetto e la qualità del risultato, deve il suo successo al coraggio di alcuni amministratori locali, all’entusiasmo e l’impegno di un compatto gruppo di cittadini portatori di idee progettuali diverse che hanno saputo trovare un punto di contatto tematico e una convergenza ideale, e alla capacità professionale di Marianella Pirzio Biroli Sclavi che ha governato il processo.
Officina Emilia, uno dei soggetti del progetto partecipativo, ha assunto l’iniziativa di raccontare questa storia raccogliendo un’intervista della prof. Sclavi.
1. Premessa
Una recente esperienza di “progetto partecipativo” si è sviluppata a Modena sul tema della destinazione di un’area legata a un’importante fase dello sviluppo della città e a un momento della sua storia che ha tracciato, come spesso avviene per gli eventi cruciali nella vita delle singole persone come in quella delle comunità, uno spartiacque tra un “prima” e un “dopo”.
La storia remota del luogo inizia nel 1938 con la costruzione di un edificio industriale a ridosso della linea ferroviaria Modena-Bologna, nei pressi della stazione e a poca distanza dal centro storico in un’area, in seguito denominata “fascia ferroviaria”, che già da tempo aveva visto una progressiva concentrazione di stabilimenti industriali, prevalentemente metalmeccanici.
Anche questo edificio, destinato ad accogliere una fonderia di ghisa, contribuì a potenziare questa specializzazione del territorio che, nel corso del tempo, ha generato l’attuale distretto industriale della meccanica che riveste fama internazionale.
La storia dell’impresa fu segnata negli anni dal 1947 al 1949 da forti contrasti tra maestranze e proprietà, culminati in una serrata e in manifestazioni sindacali che ebbero un tragico epilogo. Il 9 gennaio 1950, la polizia aprì il fuoco sulla folla dei manifestanti senza apparente motivo e uccise sei operai.
A seguito della tragedia che scosse a fondo la coscienza della città, in tutto il Paese furono indetti scioperi e manifestazioni di solidarietà, e mentre la popolazione di Modena si presentava in massa ai funerali delle vittime, si susseguirono le prese di posizione.
I “fatti di Modena” aprirono una pagina di riflessione nella storia d’Italia – il regista Carlo Lizzani li narrò in un documentario – e da allora l’edificio delle Fonderie di Modena ha assunto il valore di monumento simbolo della lotta sindacale in favore del miglioramento delle condizioni di lavoro.
La successiva fase della storia dell’impresa registrò un lungo periodo di rapporti conflittuali con la proprietà fino a quando l’azienda venne ceduta ad altro proprietario e infine messa in liquidazione. La reazione degli operai fu decisa: occuparono la fabbrica e si opposero alla liquidazione delle Fonderie coinvolgendo l’Amministrazione comunale che li sostenne. La fabbrica fu posta sotto regime di amministrazione controllata e nel 1966 avvenne il passaggio di proprietà agli operai che l’acquistarono e si costituirono in Cooperativa.
Nel 1983 lo stabilimento cessò di funzionare a causa del declino che in quegli anni investiva il settore e per l’obsolescenza degli impianti che non avevano visto per lungo tempo investimenti significativi. Ebbe così luogo la fusione con un’altra azienda, gestita anch’essa da una cooperativa, e l’edificio fu abbandonato. In seguito fu acquistato dal Comune di Modena che inizialmente pensò di farne la sede dell’Azienda USL locale, ma il progetto non ebbe seguito.
Quando nel 2005 si profilò l’intenzione di destinare l’edificio ad accogliere uffici comunali e l’area circostante ad edilizia residenziale, si levarono numerose voci di dissenso e il 10 gennaio 2006 una partecipata assemblea manifestò l’interesse ancora vivo per le sorti dell’edificio da parte della cittadinanza. L’Amministrazione comunale, così stimolata, decise di coinvolgere la città nella scelta sulla destinazione dell’area e dare avvio ad un percorso di progetto partecipativo che fu annunciato nella simbolica data del 9 gennaio 2007. Il compito di coordinare il progetto venne affidato a Marianella Pirzio Biroli Sclavi, docente di Etnografia Urbana al Politecnico di Milano ed esperta di Arte di ascoltare e Gestione creativa dei conflitti.
Dopo un anno di lavoro del “tavolo di confronto creativo”, costituito per dare luogo alla progettazione condivisa tra tutti i proponenti, l’Amministrazione comunale ha potuto presentare alla città nel gennaio 2008 i risultati e annunciare l’imminente pubblicazione di un bando per un concorso di idee per il riuso dell’edificio e la progettazione dell’intera area circostante secondo le indicazioni emerse dal processo partecipativo. Il concorso è ora stato bandito: entro il 28 novembre dovranno essere presentate tutte le proposte.
Quale è stato il percorso che ha portato a questo risultato? Ce lo racconta Marianella Sclavi in questa intervista.
D.: Le chiedo innanzitutto di spiegare in che cosa consiste il “progetto partecipativo”.
E’ un processo governato da un metodo ad hoc che punta sulla possibilità di giungere a comporre gli interessi di tutti i partecipanti ad un progetto piuttosto che sul predominio della maggioranza che inevitabilmente lascerà la minoranza insoddisfatta.
Una sintetica definizione della sua finalità potrebbe essere: “superare la tirannia della maggioranza attraverso un processo democratico inclusivo, nel quale l’ascolto delle minoranze e la fiducia nella creatività del gruppo sono le due regole principali”.
La chiave per coinvolgere tutti i partecipanti in una modalità di problem setting and solving consiste nel mettere da parte il pensiero win-lose che sta alla base dei tradizionali dibattiti parlamentari e nel puntare con decisione verso un accordo che possa risultare mutualmente vantaggioso.
Il progetto partecipativo si sviluppa attraverso cinque step:
1. confrontarsi
2. assegnare ruoli e responsabilità
3. facilitare il problem setting and solving da parte del gruppo. Ciò ha lo scopo di generare proposte mutualmente vantaggiose e mettere in discussione i punti di disaccordo attraverso un ascolto attivo e un’esplorazione comune. Inoltre occorre operare un ampliamento della gamma delle possibilità: il processo utilizza le migliori informazioni disponibili e fa in modo che venga esaminata una varietà di possibili soluzioni, ivi incluse alcune che non erano state prese in considerazione o considerate “impossibili” in un primo momento.
4. raggiungere l’accordo. Decidere non è semplicemente “votare”. Significa avvicinarsi il più possibile all’inclusione degli interessi più importanti di tutti i partecipanti e documentare come e perché l’accordo è stato raggiunto.
5. far sì che le persone mantengano gli impegni presi. Ciò non significa semplicemente che ogni persona deve fare ciò che ha promesso. Occorre anche il mantenimento di un contatto costante tra le varie parti in gioco, in modo che se sorgono problemi inattesi, questi possano essere risolti di comune accordo.
D.: Come è stata avviata l’esperienza modenese?
Un incontro con il sindaco e due assessori della città è stato alla base della decisione di avviare il percorso che fin dall’inizio si presentava molto complesso per le forti implicazioni emozionali e metaforiche dell’edificio in relazione alla identità e alla memoria della città.
Il progetto partecipativo fu presentato alla città come una possibilità per Modena di rafforzare la sua presenza e visibilità in Europa attraverso la realizzazione di qualcosa di importante, di bello e orientato verso la crescita della comunità in un mondo postmoderno.
Ben presto le parole e le frasi usate per comunicare questo messaggio, quali ad esempio “progetto partecipativo” e “Open Space Technology”, diventarono una sorta di “linguaggio condiviso” del progetto e furono usate ripetutamente nella produzione dei materiali informativi e nei discorsi pubblici da parte degli amministratori che avevano il problema di difendere le loro scelte relative al processo partecipativo nei confronti dell’atteggiamento di incredulità e sfiducia dell’opposizione politica.
D.: Come si è svolto il percorso del progetto partecipativo?
Il percorso del processo partecipativo avviato a Modena ha attraversato le fasi di aggregazione delle proposte e la loro presentazione attraverso l’OST (Open Space Technology), costruzione del consenso con la costituzione di un TCC (Tavolo di Confronto Creativo) per giungere infine ad un risultato di grande rilievo e interesse.
Queste fasi hanno incluso le seguenti azioni:
– sono state condotte 45 interviste a rappresentanti della comunità locale in diversi settori: partiti politici, sindacati, associazioni di categoria in rappresentanza delle imprese, amministratori, associazioni giovanili, ecc.;
– si è tenuto un corso di 16 ore rivolto a 32 facilitatori volontari che sono stati formati per dare diffusione e presentare il processo partecipativo alla cittadinanza e invitarla a contribuire al processo con proposte;
– è stata promossa una fase di esplorazione da parte della città, consistita in un’esposizione di pannelli e una discussione comune di interessanti esempi internazionali di riqualificazione di edifici ed aree industriali dismesse e in una raccolta di idee e proposte in merito alla riqualificazione dell’edificio delle ex Fonderie; inoltre sono state organizzate visite guidate all’edificio;
– nel corso di un incontro organizzato secondo la metodologia dell’Open Space Technology tutte le proposte messe in campo sono state ufficialmente presentate e discusse in una fase esplorativa alla ricerca di possibili convergenze: la realizzazione di un instant book ha reso la sintesi delle proposte disponibile a tutti;
– da ciò ha preso avvio il “confronto creativo” che ha discusso e progressivamente amalgamato le 20 diverse proposte iniziali in un progetto unitario, da tutti condiviso e considerato migliorativo delle proposte iniziali;
– gli attori istituzionali coinvolti nel processo hanno approvato la proposta finale del Tavolo di confronto creativo ed ha così avuto inizio il processo di implementazione del progetto;
– la prima fase, ora in corso, è consistita nella costruzione e pubblicazione di un bando per un concorso di idee per la riqualificazione urbanistica e architettonica dell’area ex Fonderie Riunite, con scadenza 28 novembre 2008, rivolto ad architetti e ingegneri che riescano ad interpretare le linee guida del progetto DAST per l’area storica delle Ex Fonderie. I risultati saranno resi noti a gennaio 2009.
Occorre tuttavia precisare che non tutte le 20 proposte iniziali sono entrate nella proposta finale: alcune sono state spontaneamente ritirate, altre hanno trovato una diversa collocazione nella città, altre ancora si sono fuse in un unico progetto (ad esempio quello per il centro dedicato alle arti). Le istituzioni e associazioni che hanno firmato la proposta finale sono le seguenti:
– Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, Facoltà di design industriale
– Fonderia delle Arti, centro di arti performative
– Istituto Storico della Resistenza e della Storia Contemporanea di Modena
– Officina Emilia, laboratorio di storia delle competenze e dell’innovazione nella meccanica
– Associazione “Amici delle Fonderie”, Science centre
– Consulta della cultura
Il progetto è stato denominato DAST (Design, Arte, Scienza e Tecnologia) ad indicare le principali aree tematiche che saranno rappresentate nel futuro Centro per gli studi e la ricerca interdisciplinare sui linguaggi e le pratiche di un progetto creativo con proposte che fanno riferimento a tutte le sfere della vita sociale, culturale ed educativa, così come a quelle dei contesti industriale, economico e politico.
Il DAST costituisce un progetto unitario, con una gestione unitaria – che sarà creata attraverso la costituzione di una Fondazione – e uno spazio unitario: l’80% dello spazio è gestito in comune dai vari progetti o servizi che saranno collocati nell’edificio delle ex Fonderie.
D.: Quali sono stati secondo lei i principali fattori che hanno contribuito al successo del progetto?
Questo risultato è stato facilitato dal clima di solidarietà e fiducia che tradizionalmente ispira in generale i rapporti tra i vari attori presenti sul territorio modenese, derivanti dall’abitudine al dialogo e al confronto, dall’esistenza di valori condivisi e dal rispetto delle regole di comportamento. Inoltre, molte delle proposte originarie di intervento sull’edificio delle ex Fonderie erano chiaramente espressione della cultura locale e contenevano alcune importanti parole chiave che hanno individuato il terreno simbolico attorno al quale è stata costruita la proposta finale.
Queste parole erano “officina” – che era anche il nome di una delle proposte in campo (Officina Emilia) – in riferimento sia all’industria meccanica sia ai processi del fare creativo in generale, e “prototipo” in riferimento sia alle competenze altamente specializzate del locale distretto della meccanica sia all’arte e scienza della progettazione e del design.
I membri del tavolo di confronto creativo sono giunti con impegno e forte coinvolgimento personale a scoprire che “officina e prototipo” potevano rappresentare il punto di partenza per ripensare le loro proposte e giungere ad una elaborazione comune esplorando le potenzialità di significato ed intreccio di queste idee.
Applicando il metodo delle “bisociazioni multiple” (A. Koestler), ogni proposta iniziale è stata vista in rapporto a tutte le altre, una ad una. Collocate in questa prospettiva, tutte le proposte, aprendosi alla dimensione dialogica, cambiano e diventano più vive e vibranti, e più interessanti. E’ una sorta di brainstorming strutturato che, se svolto nel setting appropriato e con tempo sufficiente da dedicare, è utile e divertente al tempo stesso. Uno stimolo molto importante per giungere ad una conclusione è stato offerto dai precisi limiti di tempo indicati per il processo: la proposta doveva essere consegnata il 31 maggio 2007; i tempi erano quindi molto ridotti e prescrittivi.
D.: In concreto, che cosa ha prodotto la proposta fino ad oggi?
La proposta ha delineato con precisione quanti e quali spazi sono necessari per realizzare il progetto (un aiuto essenziale e prezioso per questo non facile lavoro è venuto dall’Ordine degli Architetti della provincia di Modena), essa inoltre ha fornito un’ipotesi di copertura finanziaria per la sua realizzazione e una prima valutazione dell’autosostenibilità delle attività proposte.
L’esito finale contempla anche una proposta di governance del progetto DAST che viene indicata nella costituzione di una “Fondazione partecipata”. Il progetto, per quanto riguarda l’uso degli spazi, prevede l’utilizzo di una parte dell’edificio delle ex Fonderie Riunite (mq. 10.000 ca.) che si integra con altre destinazioni dell’area richieste dall’Amministrazione comunale: una parte dell’area sarà destinata a creare strutture per gli uffici comunali, la parte rimanente (mq. 9.000) sarà lottizzata e venduta per recuperare in parte i fondi necessari a finanziare il progetto.
Gli amministratori locali hanno quindi accettato di prendere una decisione basata sul risultato finale del tavolo di confronto creativo e di assumere il progetto partecipativo come una proposta credibile e fattibile per migliorare la qualità della vita culturale e sociale della città. Ora prende il via la fase dell’implementazione. L’interesse suscitato dal bando per il concorso di idee è stato davvero notevole e ci attendiamo risultati molto soddisfacenti.
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