Manifesto per la felicità. Come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere

Il volume di Stefano Bartolini, docente di Economia presso l’Università di Siena, esplora le principali cause dell’infelicità contemporanea e le sue soluzioni. Frutto di un decennale lavoro di ricerca, le tesi esposte si fondano sul presupposto che la natura del problema sia prima di tutto relazionale.

La ricerca di un modello economico alternativo al paradigma attualmente dominante, fondato sull’idea neoclassica di capitalismo, ha generato negli ultimi decenni un fiorire di studi e teorie, che – trovando riscontri pratici nella realtà – hanno messo in crisi il concetto di progresso da cui dipende il funzionamento delle società occidentali contemporanee. Il principale risultato a cui tali ricerche sono pervenute è che maggiore ricchezza non equivale ad un maggiore benessere sociale ed individuale. Un nesso negativo già noto negli anni ’70 del secolo scorso, quando i primi studi sull’argomento hanno messo in luce che, sebbene dal secondo dopoguerra in poi nelle economie avanzate fossero aumentate la ricchezza prodotta e la possibilità degli individui di soddisfare un numero crescente di bisogni, non si riscontrava nella popolazione un aumento altrettanto significativo del grado di appagamento e felicità. Una scoperta che nel 1974 l’economista Richard Easterlin ha tradotto con l’espressione “paradosso della felicità”, per indicare il fatto che l’essere felici e lo stare bene con se stessi e con gli altri non sono determinati da una disponibilità economica sempre più grande, ma risultano essere correlati ad altri fattori quali le relazioni interpersonali e la partecipazione alla vita sociale di una comunità.
Parte proprio da tale constatazione il volume di Stefano Bartolini, docente di Economia politica e sociale presso l’Università di Siena, che recuperando i dati e le osservazioni raccolti durante dieci anni di studi, offre una spiegazione del perché le persone oggi siano più infelici che in passato, ed identifica alcune strade percorribili per uscire dalla trappola che ci rende schiavi di un’idea perversa di sviluppo.
Il suo “Manifesto per la felicità” non è una condanna universale dell’economia e dei suoi portati. Pur affermando che gli economisti hanno testimoniato il falso quando hanno garantito l’esistenza di un homo oeconomicus, il cui unico fine era produrre di più per guadagnare di più e spendere di più – diventato poi “il presupposto antropologico delle teorie che giustificano l’attuale ordine economico” -, Bartolini sostiene anche che l’affrancamento da condizioni di vita disagiate e la conquista di maggiori gradi di libertà non debbano necessariamente corrispondere ad un peggioramento della qualità delle relazioni tra le persone. Dal suo punto di vista sarebbe assurdo asserire che l’economia non conta, in quanto l’organizzazione del sistema economico influenza il processo di formazione della cultura di una determinata società. Ciò significa che per evitare che gli effetti positivi dell’aumento di ricchezza siano compensati dagli effetti negativi della povertà relazionale – secondo quanto previsto dal paradosso della felicità -, l’economia deve ri-pensare se stessa, al fine di pervenire ad un nuovo concetto di progresso della società. Lo straordinario successo di cui gode ancora oggi il modello di vita americano deriva dal presupposto che la crescita economica sia un’aspirazione globale. Molte ricerche antropologiche hanno svelato, invece, l’assenza del concetto di sviluppo in numerose civiltà prima dei contatti con i popoli occidentali, dimostrando l’esistenza di sistemi economici altri.
Il messaggio che traspare dal volume di Stefano Bartolini è che il “mondo ricco non produce individui più felici perché non è organizzato per questo. L’organizzazione economica e sociale mira ad altri scopi. Se vogliamo più benessere dobbiamo costruire una società finalizzata a questo”. Per farlo l’autore individua alcune politiche per la felicità che vanno da una diversa progettazione degli spazi urbani, che dovrebbero essere concepiti per favorire le relazioni tra i cittadini e non per isolarli gli uni dagli altri, ad una nuova impostazione della scuola, che dovrebbe “promuovere il senso della possibilità, la cooperazione, la creatività, l’affettività, la partecipazione e l’inclusione”. E’ solo rimettendo al centro l’uomo e l’importanza della funzione relazionale che le società riusciranno ad essere più felici, senza essere necessariamente più povere.

Manifesto per la felicità
Come passare dalla società del ben-avere a quella del ben-essere
Stefano Bartolini
Donzelli Editore, Roma, 2010
Euro 18,00