Monica Amari, esperta di politiche e processi culturali, è l’autrice del volume “Manifesto per la sostenibilità culturale. E se, un giorno, un ministro dell’economia venisse incriminato per violazione dei diritti culturali?”, testo che prima che una riflessione sulle dinamiche politico-economiche è un progetto rivolto a chiunque ne intenda condividere i presupposti.
Già dal titolo si annuncia la volontà di superare i cliché abituali per arrivare attraverso dieci sintetici punti a gettare una luce sull’ambiguità delle decisioni politiche in merito al settore culturale. La stessa proposta a conclusione del ragionamento è una boutade dell’autrice: la condanna da parte della Corte di Strasburgo di un ministro europeo per aver diminuito i finanziamenti alla cultura.
Che si condivida o meno l’assunto di partenza, ovvero l’esistenza di un complesso di diritti culturali e l’appartenenza degli stessi alla categoria dei diritti inviolabili dell’uomo (come enunciato dalla Dichiarazione di Friburgo), e aldilà della fattibilità di un allineamento a livello europeo dei finanziamenti ai processi culturali basato su un minimo percentuale (1% del PIL) obbligatoriamente imposto, sulla scorta del modello del patto di stabilità e crescita, i dieci capitoli (punti) del libro (manifesto) affrontano tematiche di primario interesse e attualità.
“1. Per non rimanere silenti davanti all’orrido vuoto di idee e di passioni a cui la stupidità del potere vuole sottometterci”, acuto avvio di un ragionamento sulla natura di decisioni di finanza pubblica che celano un inganno ben più grande del peso economico che rappresentano: i continui tagli alla cultura come naturale conseguenza della crisi economica e finanziaria si rivelano una strategia dispotica di abolizione dello spirito critico dei cittadini. Alla già di per sé drammatica tirannia dei media (2.) che ne deriva, la messa al bando della cultura innesca una catena di effetti negativi che vanno ben oltre l’aspetto etico della questione, che si possono riassumere nell’impossibilità di affermarsi di fattori determinanti per la competitività di un paese, quali la coesione sociale e la creatività (3.).
Una buona analisi del valore e significato di parole quali s-viluppo e sostenibilità (9.), sempre più spesso selvaggiamente sbandierate quando non anche impropriamente (ab)usate, è il contesto in cui si pone l’accento sulla valenza strategica delle componenti immateriali all’interno dei processi di crescita e benessere degli Stati nella nuova economia della conoscenza e dell’esperienza. Il futuro post-industriale infatti, frutto della nascita di un’economia cognitiva intesa come creazione di valore incentrata non più tanto sullo sfruttamento della forza lavoro per la creazione di beni materiali quanto soprattutto sull’impiego di conoscenze per la creazione di benessere, può affrontarsi solo riconoscendo la dimensione del simbolico indispensabile per gli scambi e l’interazione della vita sociale ed economica (4.), per una ri-generazione ciclica dell’identità del territorio (5.), per continuare a creare e ricreare comunità (6.), affinché ognuno possa scegliere il proprio percorso di senso e perché i valori intesi come convincimenti condivisi a livello generale e assunti a livello individuale – e viceversa- possano essere identificati in modo dialettico e critico (8.)
La speranza è di un impegno a garantire le condizioni per produrre e riprodurre le nostre idee, per non restare prede inermi della trivialità e dell’ignoranza (10.).
Manifesto per la sostenibilità culturale
E se, un giorno, un ministro dell’economia venisse incriminato per violazione dei diritti culturali?
Monica Amari
Franco Angeli, 2012
Euro 16,50