Mente e paesaggio. Una teoria della vivibilità

Il nostro pianeta non è mai stato così vicino al collasso come in questo momento, complice la presenza dell’uomo che in nome di una presunta superiorità rispetto alle altre specie, ha smesso di sentirsi parte del proprio ecosistema per disporre del paesaggio e delle risorse naturali e ambientali a proprio piacimento. Ugo Morelli nel volume “Mente e paesaggio” analizza il rapporto che intercorre tra uomo e ambiente, mettendo in luce come la vivibilità sia diventata prima di tutto un problema cognitivo.

Un rapporto non semplice da definire, costituito da numerosi punti di luce e ombra, lega l’uomo al paesaggio. Entità al contempo astratta e concreta, il paesaggio rappresenta lo spazio fisico e mentale con il quale gli individui sono chiamati a confrontarsi e a interagire durante l’intero arco della loro vita, dalla nascita alla morte. Ma affinché tale relazione sia nuovamente possibile è necessario che la mente umana ri-acquisti la sua capacità di pensare il paesaggio e con essa la consapevolezza dei limiti umani e delle conseguenze delle nostre azioni. E’ quanto traspare dal volume “Mente e Paesaggio” di Ugo Morelli, presidente del Comitato scientifico della Scuola per il governo del territorio e del paesaggio presso la Trentino School of Management.
Scorrendo le pagine del libro, appare chiaro come gli uomini, abituati a considerare la natura una forza ostile da combattere e sopraffare pur di garantire la sopravvivenza della specie, abbiano preferito adottare una posizione di superiorità rispetto all’ambiente circostante, in nome della quale hanno creduto di poter sfruttare la totalità delle risorse naturali a loro disposizione, ignari dell’insensatezza di un simile comportamento.
La percezione dei propri limiti più che fungere da argine – e contenere, quindi, l’istinto alla distruzione e all’auto-distruzione che ci caratterizza -, ha svolto il ruolo opposto trasformando gli uomini in esseri sopra le parti che hanno smesso di riconoscersi come parte del tutto. L’uso indiscriminato del paesaggio ha portato alla gravità della situazione attuale, testimoniata da cifre e dati che identificano proprio la nostra presenza come il principale nemico dell’ecosistema di cui facciamo parte. Ammaliati dall’idea di potenza e stregati da un sistema economico e sociale fondato sull’equivalenza tra produzione e ricchezza, gli abitanti dei cosiddetti paesi del Primo Mondo – circa un miliardo di persone – fanno registrare un tasso di consumo 32 volte superiore rispetto ai cinque miliardi e mezzo di individui che popolano il resto della Terra. Ciò significa che se tutta la popolazione del nostro pianeta raggiungesse gli stessi livelli di consumo, sarebbe come se la popolazione mondiale “divenisse immediatamente di 72 miliardi di persone rispetto ai 6,5 attuali”, con l’aggravante che la quasi totalità degli studiosi sono concordi nel ritenere che la capacità di carico massima che il nostro pianeta è in grado di sopportare sia pari a 9 miliardi di abitanti.
Secondo l’autore c’è una sola soluzione possibile per evitare una fine catastrofica e conquistare una rinnovata vivibilità presente e futura. Tale soluzione non consiste nel negare a Paesi come l’Africa, la Cina, l’India, l’accesso a condizioni di vita migliori rispetto a quelle attuali, ma passa attraverso tre decisive trasformazioni che riguardano soprattutto il modo di pensare e agire della minoranza ricca e consumistica del pianeta, e che possono essere così sintetizzate: formare una comunità di individui capaci di assumersi la responsabilità del presente e di comprendere che la nozione di crescita non può più coincidere con l’idea di progresso propria del capitalismo; elaborare un insieme di norme e regolamenti che sappiano attribuire la giusta valenza al paesaggio e alla sua tutela e valorizzazione; adottare un approccio interdisciplinare che combini l’apporto di discipline diverse – quali l’urbanistica, l’architettura, l’ingegneria, l’economia, la psicologia – al fine di trovare nuove vie d’uscita da problemi che rischiano di minare ogni giorno di più l’incolumità globale della Terra. Per rendere queste trasformazioni reali serve un impegno tripartito tra istituzioni, centri di ricerca e formazione, e singoli individui, perché “la ricerca della vivibilità e della bellezza del paesaggio come spazio di vita esige la responsabilità dell’educazione propria e altrui […] Abitiamo tacitamente un framing che ci fa vivere il vincolo, il limite, la vulnerabilità, come fattori negativi e problematici. Eppure possiamo creare noi stessi mentre creiamo il paesaggio solo perché siamo mancanti, vincolati e capaci di elaborare il limite che ci consente il margine di creatività necessaria. Si rende perciò necessario delineare una nuova cornice che ci consenta di riconoscere le possibilità insite nel vincolo”.
Non si tratta semplicemente di cambiare idea a proposito del paesaggio, del clima, dell’ambiente, ma di cambiare le nostre idee più consolidate e di adottare una nuova scala temporale capace di farci comprendere che il presente non si esaurisce nell’oggi, ma continua nel futuro.


Mente e paesaggio

Una teoria della vivibilità
Ugo Morelli
Bollati Boringhieri, 2011
Euro 16,00