Monitoraggio e controllo della gestione dei siti UNESCO. Il piano di gestione come opportunità mancata?

Questo articolo presenta un quadro dell’attuale situazione nazionale dei sistemi di gestione dei siti UNESCO dichiarati “patrimonio mondiale dell’umanità”. L’Italia, il paese più rappresentato nella lista, si trova al momento ad affrontare una difficile crisi economica, che coinvolge anche i sistemi di gestione del proprio patrimonio culturale. Si ritiene che sia necessario far fronte alle difficoltà attuali con lo sviluppo di maggiore cultura manageriale e l’utilizzo più consapevole degli strumenti propri delle discipline economico-aziendali. Questi elementi vanno riscoperti in particolare per la realizzazione e l’attuazione di strumenti volti al monitoraggio e al controllo dei risultati ottenuti; fra questi strumenti emerge in particolare il piano di gestione dei siti UNESCO, che nella sua prima fase di applicazione non sembra aver ancora sviluppato tutto il suo possibile potenziale.

1. Introduzione

 

Nell’ambito delle discipline economico-aziendali e manageriali applicate al settore culturale, negli ultimi anni si è riscontrata un’evoluzione dell’oggetto d’indagine degli studiosi, la cui attenzione si è sempre più rivolta non solo alle singole realtà organizzative, quali musei, teatri, archivi e biblioteche, ma anche ai sistemi coinvolgenti più soggetti istituzionali, soffermandosi dunque su di un livello di analisi “meso” e non solamente “micro” (Montella 2003, Donato e Gilli 2011). In questo percorso di sviluppo, particolare importanza hanno assunto gli studi rivolti ai sistemi di aziende deputate alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale di un territorio, al fine di individuare gli elementi utili sia allo sviluppo turistico del territorio stesso (Dubini e De Carlo 2008), sia alla promozione di sistemi gestionali più efficienti ed efficaci, dal punto di vista economico-finanziario, qualitativo e sociale (Donato e Badia 2008).

 

Nell’ambito del filone di studi citato, uno specifico oggetto di interesse è rappresentato dai siti dichiarati “patrimonio mondiale dell’umanità” dall’UNESCO (d’ora in poi, siti UNESCO). Appartengono alla lista del patrimonio mondiale stilata dall’UNESCO, dopo gli ultimi inserimenti del 2012, 962 siti di cui 745 rientrano nella categoria del patrimonio culturale, 188 in quella del patrimonio naturale e 29 in quella di natura mista(1). L’Italia, fra i 157 paesi rappresentati nella lista del patrimonio mondiale, è quello che a tutt’oggi vanta il maggior numero di iscrizioni con 47 siti dichiarati patrimonio dell’umanità.

 

Questo prestigioso riconoscimento, che pone il nostro paese al primo posto su scala mondiale, si scontra però con una difficile realtà per le istituzioni deputate alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale in Italia. L’attuale contesto sconta infatti gli effetti della crisi economica esplosa sui mercati finanziari nordamericani alla fine del 2008, che ha avuto ripercussioni fortissime in tutto il mondo nel 2009 e nel 2010, e della “crisi del debito”, apertasi nel 2011 (in parte anche in conseguenza della crisi precedente). Quest’ultima ha messo in seria difficoltà l’economia soprattutto dei paesi europei, con un livello di particolare gravosità per quegli stati che presentavano un profilo di indebitamento o di esposizione delle finanze pubbliche più rischioso, quali Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e, purtroppo, la stessa Italia.

 

La necessità di ridurre e rendere più efficiente la spesa pubblica porta perciò nell’ultimo periodo (si consideri ad esempio l’operazione di spending review dell’attuale Governo Monti(2)) a dover incrementare le politiche di contrazione dei costi e di revisione della spesa già intraprese negli ultimi anni, coinvolgendo in maniera forte il settore culturale. Tale riduzione dei costi avviene sia in via diretta, mediante uno specifico taglio di talune voci di spesa ai servizi culturali, sia in via indiretta, mediante una riduzione delle risorse complessive a disposizione, soprattutto degli enti locali, elemento che conduce dunque le singole amministrazioni a scelte, in taluni casi quasi obbligate, di riduzione degli stanziamenti a favore della cultura.

 

Un contesto istituzionale di questo tipo porta le aziende operanti nel settore culturale, per lo più appartenenti al settore pubblico(3), a dover applicare con estrema cura ed attenzione quel processo di “aziendalizzazione” (Anselmi 1993)(4), che, essendo stato avviato, in teoria, da più di vent’anni, non dovrebbe costituire una novità, ma che in realtà non ha ancora prodotto nel nostro paese i risultati sperati, anche per via di una sua interpretazione non sempre corretta (Donato 2010).

 

La gestione dei siti UNESCO deve dunque confrontarsi con queste problematiche e deve perciò adattarsi ad un contesto dove, pur in presenza di minori risorse economiche a disposizione, è più che mai necessario mettere in atto le migliori strategie possibili per lo sviluppo economico, sociale e culturale dei territori coinvolti (Sibilio Parri 2011).

 

La richiesta per ogni sito UNESCO di predisporre un appropriato “management plan” (piano di gestione) per governare gli effetti del riconoscimento ottenuto e il sistema del patrimonio culturale (e naturale) iscritto nella World Heritage List, sembra andare incontro a queste esigenze, sebbene i presupposti che hanno portato l’UNESCO stessa a tale richiesta non fossero quelli che contraddistinguono l’attuale scenario e che si sono descritti nelle precedenti righe. È stato infatti il progressivo allargamento della lista e la volontà di disporre di concreti strumenti di tutela e difesa dei siti già riconosciuti a portare alla definizione dei “management plans” (UNESCO 1994), descritti poi in maniera più puntuale con le guide applicative del 2005 (UNESCO 2005). Uno degli elementi di maggiore importanza legati alla tematica dei piani di gestione appare quello dello sviluppo di sistemi di monitoraggio sui risultati effettivamente ottenuti: proprio questa tematica è l’oggetto specifico che si andrà maggiormente a sviluppare nel presente lavoro.

 

Pertanto, partendo dall’analisi di contesto esaminata, si vuole qui descrivere il possibile ruolo dei piani di gestione, al fine di promuovere sistemi di gestione efficienti ed efficaci per i siti UNESCO. Particolare attenzione sarà rivolta alle possibilità di utilizzo di tale strumento per il monitoraggio dei risultati raggiunti e il controllo di gestione dei siti, verificando l’eventuale presenza di coerenza fra aspetti di natura teorica e aspetti di natura pratica e applicativa.

 

A questi fini, il lavoro è strutturato come segue. Nel prossimo paragrafo saranno sviluppati i fondamenti del piano di gestione, ripresi dalle linee guida operative dell’UNESCO e saranno sottolineate le opportunità che una corretta interpretazione di tale strumento potrebbe fornire ai sistemi di management dei siti UNESCO. Nel paragrafo successivo sarà invece analizzata la realtà effettivamente esistente nei siti UNESCO italiani, facendo riferimento ai risultati di due ricerche empiriche condotte rispettivamente fra il 2008 e il 2009 e fra il 2011 e il 2012. Nell’ultimo paragrafo si tracceranno infine le riflessioni conclusive desumibili da quanto precedentemente descritto, fornendo un profilo di analisi critica, senza tralasciare spunti di riflessione teorica, che si spera possano essere forieri di un’applicazione ai piani di gestione dei siti UNESCO più coerente con i loro scopi generali.

 

2. Fondamenti ed opportunità del piano di gestione

 

L’iscrizione di un sito nella lista dei beni patrimonio dell’umanità dell’UNESCO comporta non soltanto il riconoscimento del suo valore universale ma, soprattutto, una forte assunzione di responsabilità nel proteggerlo. Come si è già avuto modo di specificare, sebbene già in documenti precedenti l’UNESCO avesse sollecitato, in particolare per i siti naturali, la presenza di un piano di gestione e l’avesse già reso obbligatorio per tutte le nuove candidature alla World Heritage List, è nel 2005 che entra nello specifico della sua definizione, richiedendolo esplicitamente per ogni sito. In particolare, si richiede un “appropriato piano di gestione o un altro documentato sistema di gestione che dovrebbe specificare come il valore universale eccezionale del sito sarà mantenuto, possibilmente attraverso processi partecipativi” (UNESCO 2005, p 26).

 

Le interpretazioni teoriche che hanno orientato i primi approcci al tema del piano di gestione sono state tra loro diverse e a volte anche contrastanti. Le disposizioni dell’UNESCO non forniscono un formato preciso per la redazione del piano stesso, riconoscendo un discreto margine di libertà, nel rispetto della diversità tra i diversi stati, delle caratteristiche dei singoli luoghi e dell’eventualità di non adottare uno specifico documento (il “piano”), ma di utilizzare anche un appropriato “sistema” di gestione del sito iscritto.

 

Tutto ciò non si traduce in una totale discrezionalità: secondo le linee guida dell’UNESCO, infatti, il contenuto del piano di gestione o, alternativamente, gli elementi chiave del sistema di gestione di ogni sito, dovrebbero essere (ibidem):
a) “un’approfondita conoscenza del sito condivisa da tutti i soggetti portatori d’interesse”; con questo primo punto viene dunque sottolineata la necessità che i valori, materiali ed immateriali, che hanno portato all’iscrizione del sito nella lista dell’UNESCO, siano conosciuti e condivisi da tutti i soggetti che, a vario titolo, sono legati al territorio su cui il sito stesso insiste;
b) “un ciclo di pianificazione, implementazione, monitoraggio, valutazione ed azioni correttive”; in questo secondo requisito sono riassunti tutti gli elementi che costituiscono le fasi fondamentali di un processo di pianificazione, programmazione e controllo, in linea coerente con quanto stabilito ormai da decenni anche dalla teoria economico-aziendale sia nordamericana che europea (Anthony 1965, Brunetti 1979);
c) “il coinvolgimento di tutti i soggetti responsabili del sito e dei portatori di interesse”; tale requisito apparentemente scontato, appare invece fondamentale e deve essere esplicitato soprattutto in quei casi in cui il patrimonio culturale iscritto sia sotto la tutela e la responsabilità di diversi soggetti, o nelle situazioni in cui la sua gestione non possa essere portata avanti in maniera efficace senza il coinvolgimento di soggetti esterni rilevanti; appare inoltre difficile immaginare casi in cui fra questi “stakeholder” esterni rilevanti non sia compresa direttamente la comunità territoriale di riferimento;
d) “lo stanziamento delle risorse necessarie”; elemento fondamentale di un piano o di un sistema di gestione efficace è che agli obiettivi che si sono configurati corrispondano effettivi stanziamenti di risorse (non solo di natura finanziaria) che ne rendano possibile il raggiungimento; di questo elemento è dunque fatta richiesta di esplicitazione;
e) “costruzione e formazione di risorse e competenze per lo sviluppo del sito”; questo punto è la traduzione dell’espressione inglese “capacity building”, che dovrebbe esprimere proprio l’idea di riuscire a sviluppare sul territorio di riferimento, con opportuni processi di formazione, le risorse, soprattutto di natura immateriale, in grado di consentire il mantenimento dei valori universali dichiarati ed uno sviluppo sostenibile del territorio orientato al futuro;
f) “una descrizione trasparente e responsabile verso i soggetti esterni di come funziona il sistema di gestione”; l’ultimo elemento richiama dunque la necessità di “accountability” (Gray, Owen and Adams 1996), ovvero sia di trasparenza della gestione, sia di rendicontazione responsabile nei confronti dei soggetti esterni sui risultati effettivamente raggiunti.

 

Un piano di gestione bene interpretato, nel suo processo di redazione e nella sua fase di implementazione, potrebbe dunque costituire quel documento “guida” per la gestione, in grado di fungere da strumento di governo delle politiche di tutela e conservazione, valorizzazione, conoscenza e promozione del sito UNESCO.

 

Secondo una prospettiva economico-aziendale appare particolarmente rilevante il punto b), che richiama alla necessità di far seguire alla fase della pianificazione quella della realizzazione concreta delle azioni programmate e quella dell’analisi e valutazione dei risultati raggiunti, predisponendo le eventuali azioni correttive (traduzione dell’originale “feed-back” della versione inglese), degli obiettivi o dei comportamenti, nel caso si verifichi uno scostamento fra quanto preventivato e i risultati effettivamente raggiunti.

 

Come detto l’UNESCO, comunque, pur fornendo questi importanti principi ispiratori per i piani di gestione, ha deciso, coerentemente al proprio ruolo istituzionale e al suo tradizionale modus operandi, di non entrare direttamente nell’elaborazione di specifiche linee guida per la realizzazione dei piani stessi, ma di intrattenere i propri rapporti solamente con gli stati membri, che a loro volta hanno il compito di sovrintendere i processi di redazione dei singoli piani di gestione nel proprio territorio nazionale.

 

In Italia, il Ministero dei Beni Culturali a partire già da alcuni anni si è mosso in maniera decisa nella direzione di ottenere i piani di gestione di tutti i siti italiani iscritti alla lista del patrimonio mondiale, mediante l’elaborazione di apposite Linee guida (MiBAC 2004). A distanza dunque di alcuni anni dall’emanazione di questo documento, si sono realizzate due ricerche empiriche, la prima conclusasi nel 2009 e la seconda nel 2012, con lo scopo di verificare in primis l’effettiva diffusione dei piani di gestione nei siti UNESCO italiani, ed in secondo luogo di analizzare i loro contenuti, ove possibile, per verificarne l’aderenza con i punti richiesti dall’UNESCO, presentati nelle righe precedenti. In particolare, partendo da una prospettiva di studio economico-aziendale, e pur non tralasciando gli altri punti, l’elemento a cui si è dato maggiore risalto nelle indagini empiriche è stato quello della presenza di sistemi di monitoraggio e controllo all’interno dei piani o legati alla loro adozione ed implementazione. I risultati di queste due indagini empiriche saranno analizzati e confrontati fra loro nel successivo paragrafo.

 

3. I risultati di due ricerche empiriche a confronto

 

In questo paragrafo viene presentata la sintesi dei risultati(5), posti in confronto fra loro, di due ricerche empiriche condotte negli ultimi anni sui siti UNESCO italiani, conclusesi rispettivamente nel 2009 e nel 2012.

 

Obiettivi e contenuti delle due ricerche svolte

 

La ricerca conclusasi nel 2009, finanziata nell’ambito di un progetto di Promozione alla Ricerca Nazionale del CNR su “L’identità culturale come fattore di integrazione” si è rivolta agli allora 43 siti UNESCO italiani ed ha investigato, fra gli altri, tre elementi che appaiono di interesse per il presente lavoro.

 

In primo luogo, si è cercato di ottenere il numero di piani di gestione effettivamente completati, elemento sul quale non vi era una statistica “ufficiale” fornita dal Ministero. In secondo luogo, si è voluto capire quali competenze disciplinari fossero state utilizzate per i piani di gestione già redatti o fossero in previsione di essere coinvolte per la redazione di quelli non ancora completati. Infine, si sono analizzate le concrete modalità di attuazione dei sistemi di monitoraggio all’interno dei siti UNESCO: in particolare è stata investigata la presenza (o la volontà di inserimento, per i documenti ancora in corso di realizzazione) di specifici indicatori di misurazione dei risultati ottenuti. Alla base di quest’indagine vi era infatti l’assunto per il quale un sistema di monitoraggio che non si appoggi sull’osservazione di concreti risultati, che siano misurabili, rischia di essere completamente inefficace, e quindi di fatto, inesistente.

 

Per lo svolgimento di questa prima indagine è stato fondamentale l’appoggio dell’Associazione Città e Siti UNESCO (divenuta oggi Associazione Beni Italiani Patrimonio Mondiale UNESCO), che ha fornito il supporto utile per ottenere un contatto diretto con 40 dei 43 siti UNESCO italiani, coinvolti direttamente nella ricerca, mediante la sottoposizione di un questionario che investigava gli aspetti qui delineati. Con riferimento al primo profilo di indagine, ovvero la numerosità dei piani di gestione, si è riuscito comunque ad avere il dato complessivo riferito a tutti i 43 siti UNESCO italiani.
La ricerca conclusasi nel 2012 ha avuto come universo di riferimento gli attuali 47 siti UNESCO italiani, cresciuti dunque nel frattempo di quattro unità. Anche in questo caso, gli elementi che, fra gli altri, appaiono di interesse per questo lavoro, sono tre.

 

Il primo di essi è l’aggiornamento del dato relativo alla numerosità dei piani di gestione giunti effettivamente al termine dell’iter di realizzazione ed approvazione. Per questo punto, si è proceduto ad un contatto diretto con i soggetti gestori dei siti UNESCO e ad un’analisi dell’informativa disponibile sui siti web dei soggetti gestori stessi. Il secondo elemento riguarda invece l’effettiva presenza di una parte dedicata al sistema di monitoraggio dei risultati all’interno dei piani di gestione approvati, con un particolare grado di attenzione alla presenza di indicatori di risultato effettivamente misurabili e dunque non astratti. Il raggiungimento di questo obiettivo conoscitivo è stato possibile, mediante una puntuale analisi dei contenuti di tutti i piani di gestione effettivamente realizzati. Il terzo ed ultimo elemento di analisi ha riguardato lo studio della capacità da parte dei soggetti gestori dei siti UNESCO di attuare nella pratica applicativa i sistemi di monitoraggio descritti nei piani di gestione. Per lo sviluppo di questo profilo di indagine, si è proceduto ad un contatto diretto con almeno un soggetto referente per ciascuno dei siti UNESCO individuati al punto precedente.

 

I risultati sullo stato di avanzamento dei piani di gestione

 

Con riferimento ai risultati ottenuti, ove possibile saranno ora presentati già secondo un profilo comparativo fra quanto emerso con le due diverse ricerche. Per quanto riguarda la diffusione dei piani di gestione nei siti UNESCO italiani, con la prima indagine empirica si era rilevato che in 19 casi (44,2%), il piano era stato completato (anche se non sempre era giunto al termine del processo di approvazione ed invio al Ministero), in 16 casi (37,2%) la sua redazione era in fase più o meno avanzata e in 8 casi (18,6%), il piano era invece ancora da realizzare, completamente o quasi. Dalla seconda indagine empirica, che come si ricorderà fa riferimento ad un universo di 47 invece che 43 siti UNESCO, si è ottenuto, a distanza di tre anni, un risultato che rappresenta solo un piccolo miglioramento: ad aver completato il piano sono stati 25 siti (53,2%), in 6 casi (12,8%) il piano è apparso in una fase di realizzazione piuttosto avanzata e nei restanti 16 casi (34,0%) l’effettiva realizzazione del piano è sembrata arretrata, se non addirittura assente.

 

Nel complesso, la situazione non appare molto soddisfacente: nonostante l’enfasi posta su questo strumento negli ultimi anni, il numero di piani completati è cresciuto di sole sei unità, un risultato abbastanza scarso, soprattutto tenuto conto del fatto che vi sono state quattro nuove iscrizioni, per le quali tale documento è stato predisposto, in presenza di un obbligo esplicito, assieme alla candidatura.

 

Inoltre, appare quasi paradossale che sia aumentato il numero di casi (da 8 a 16) in cui il processo di redazione è molto arretrato. Per comprendere questo dato possono essere fornite due spiegazioni. La prima è che vi sono stati casi in cui, nei quattro anni intercorsi, non si è riusciti a portare a compimento il processo di redazione, che era già abbastanza avanzato. In questi siti, aver bloccato il processo di compimento del piano per quattro anni ha significato di fatto dover ripartire da zero con il processo di redazione (cosa che non appare certamente un elemento positivo alla luce dei processi di contenimento della spesa pubblica cui si è fatto cenno nell’introduzione). La seconda spiegazione che può essere fornita riguarda invece la modalità differente con cui, in parte, sono state condotte le due ricerche. Nel caso infatti il piano non fosse stato completato, nella prima ricerca empirica veniva richiesto al soggetto gestore un giudizio sul grado di realizzazione, mentre nella seconda ricerca empirica è stato il ricercatore, di fronte alla documentazione effettivamente presentata, a “giudicare” il grado di realizzazione del documento: appare perciò evidente che i singoli soggetti intervistati, come peraltro è lecito attendersi per queste tipologie di indagine empirica, siano stati nella prima occasione più “generosi” nel giudicare il proprio operato rispetto a quella che, probabilmente, era la realtà oggettiva dello stato di avanzamento del loro piano di gestione.

 

La carenza di competenze manageriali

 

Come si è già detto, con la prima indagine empirica si erano anche investigate le competenze disciplinari adoperate (o in previsione di esser utilizzate) per la redazione dei piani di gestione. Ciò che è emerso è una prevalenza di figure di architetti, partecipanti alla stesura dei piani nell’85,0% dei casi, seguiti da conservatori e storici dell’arte (coinvolti nella redazione del 65,0% dei piani), economisti (52,5%), archeologi (45,0%), ingegneri (45,0%) e giuristi (27,5%), e via seguendo per altre tipologie di competenze presenti in misura minore.

 

Da questi dati emerge come via sia una decisa prevalenza degli architetti. Il numero di professionalità specializzate in materie economiche e manageriali non sembra essere così basso, ma in realtà la medesima ricerca segnala come spesso il ruolo degli economisti sia piuttosto marginale: se si guarda alla competenza del soggetto responsabile del piano, emerge come nel 57,5% dei casi sia un architetto, contro il 3,75% degli economisti (dopo gli architetti le figure più rappresentate fra i responsabili sono gli archeologi e gli storici dell’arte, ciascuno con il 7,5% dei casi). Tale circostanza, sebbene in taluni casi possa avere dei fondamenti più che giustificati, ad un livello di analisi generale porta a rilevare però un problema di scarsità o assenza di cultura manageriale, che emerge dall’analisi dei piani di gestione, e che i restanti risultati delle due ricerche empiriche tendono a confermare.

 

La (scarsa) presenza di strumenti per il monitoraggio della gestione

 

L’ultimo risultato della prima ricerca empirica che qui si vuole citare è che fra i 40 soggetti gestori dei siti UNESCO italiani che hanno partecipato all’indagine, solo 20 hanno dichiarato di aver considerato (per i piani già approvati) o di voler considerare (per quelli in corso di approvazione) degli indicatori di risultato per il monitoraggio e il controllo della gestione. Tale dato non appare molto alto, in quanto, come si è già detto, adeguati indicatori sono imprescindibili per la realizzazione di un’efficace azione di “monitoraggio, valutazione e feed-back” (per riprendere i requisiti delle linee guida dell’UNESCO) sulla gestione. Quanto detto appare ancora più preoccupante se si considera come, sempre dall’analisi dei questionari utilizzati per la prima ricerca empirica, sia emerso che solo 11 dei 20 siti, che dicevano di avvalersi (o volersi avvalere) degli indicatori, fossero in realtà in grado di citarne concreti esempi, mentre invece ben 12 degli altri 20 siti, quelli cioè che non utilizzavano (o non intendevano utilizzare) gli indicatori, non prevedevano nessun altro strumento di monitoraggio sulla gestione complessiva del sito.

 

A distanza di quattro anni dal completamento della prima ricerca empirica, i risultati ottenuti con la seconda ricerca non appaiono molto più confortanti. Lo studio realizzato sui 25 piani di gestione effettivamente pubblicati, ha messo in luce come solo 12 piani di gestione (il 48,0% sui piani approvati e il 25,5% sui siti UNESCO italiani) abbiano un’apposita sezione dedicata ai sistemi di monitoraggio della gestione e, di questi, siano 10 quelli che intendono implementare tali sistemi mediante appositi indicatori di risultato. La situazione non appare dunque affatto migliorata rispetto a quattro anni fa.

 

La misurazione (mancata) dei risultati

 

Restano ancora da analizzare i risultati derivanti dall’ultimo profilo di indagine della seconda ricerca empirica, relativo alla presa di contatto diretta con almeno un soggetto referente della gestione per i siti, nei cui piani era presente una sezione dedicata ai sistemi di monitoraggio (i 12 documenti a cui si è appena fatto riferimento). Scopo di quest’analisi era verificare se in tali siti si fosse riusciti a mettere in pratica quanto dichiarato nel piano di gestione. Il quadro emergente è che solo in 2 casi su 12 si è entrati nella fase di misurazione, seguendo le linee predisposte nel piano di gestione; va comunque segnalato come nemmeno in questi casi si sia pienamente intrapreso un percorso di valutazione dei risultati e di analisi degli scostamenti fra obiettivi dichiarati e risultati ottenuti, come richiesto dall’UNESCO.

 

Alla luce di questi risultati, il quadro complessivo appare piuttosto negativo: il piano di gestione, di cui, se ben interpretato, si sono mostrati i possibili pregi nel precedente paragrafo, ai fini del monitoraggio e del controllo di gestione, appare sempre di più come un’opportunità mancata per i siti UNESCO italiani.

 

Nel prossimo paragrafo si cercherà di trarre delle considerazioni riassuntive di quanto emerso, proponendo al tempo stesso alcune possibili soluzioni alle problematiche riscontrate.

 

4. Riflessioni conclusive

 

Riprendendo dunque quanto emerso dai paragrafi precedenti, ed in particolare dai risultati ottenuti dal lavoro di ricerca empirica, appare evidente come ci sia ancora molto da fare.

 

Una corretta analisi critica non può tralasciare il fatto che spesso la gestione di un sito UNESCO mostri caratteri di complessità gestionale non trascurabili. In primo luogo, in molti casi la gestione di un sito UNESCO è affidata a più soggetti contemporaneamente. In questo senso, non è probabilmente casuale che gli unici due casi che dall’analisi empirica siano apparsi in grado di applicare, almeno in parte, i sistemi di misurazione descritti nei piani, fossero casi in cui la gestione del sito era affidata ad un unico soggetto referente. La realizzazione di un efficace sistema di monitoraggio per un sito UNESCO deve dunque essere in grado di contemperare diversi interessi e di consentire una misurazione su vari livelli e l’aggregazione di dati raccolti da molteplici soggetti, quando necessario.

 

Tale problema coinvolge anche la definizione degli indicatori di risultato: in particolare, di fronte ad un contesto già problematico sarebbe assolutamente sbagliato aggiungere ulteriori elementi di complessità: perciò, gli indicatori dovrebbero sempre avere i requisiti della selettività, della tempestività, dell’effettiva misurabilità e, quando possibile (cosa che non sarà sempre facile nel campo di applicazione dei siti UNESCO), della capacità di influenzare i risultati ottenuti da parte di chi misura.

 

Un’ulteriore peculiarità dei sistemi di gestione dei siti UNESCO dovrebbe essere quella di garantire condizioni di reale accountability e trasparenza gestionale, elementi richiesti dall’UNESCO, ma in realtà molto scarsi nell’attuale situazione dei piani di gestione italiani. Inoltre, lo studio dei singoli piani di gestione ha mostrato le loro lacune anche dal punto di vista della partecipazione degli stakeholder nei processi decisionali e di definizione delle priorità, nonostante tale elemento sia compreso, a vario titolo, non solo nei sei elementi chiave proposti dalle linee guida dell’UNESCO (si rivedano in particolare i punti a), c) ed e)), ma perfino nella definizione stessa del piano di gestione, per la realizzazione del quale si richiama all’importanza di “processi partecipativi”. L’effettiva adozione di una governance partecipata potrebbe risolvere anche il problema dell’accountability, in quanto obbligherebbe, in un certo senso, le organizzazioni responsabili della gestione del sito a dare un riscontro sui risultati concretamente ottenuti a tutti gli stakeholder convenuti nel processo partecipativo di definizione degli obiettivi. Si ritiene infatti che l’adozione delle politiche partecipative renderebbe tutti gli stakeholder più consapevoli delle azioni in corso e maggiormente interessati a verificare quanto è stato compiuto.

 

Alla luce di quanto sottolineato, un ultimo elemento che appare necessario sviluppare nei sistemi di gestione dei siti UNESCO italiani è quello della presenza di una maggiore cultura manageriale. L’analisi dei siti UNESCO portata avanti con queste ricerche ha mostrato infatti come siano lontane una cultura di responsabilizzazione sui risultati, una governance di sistema e un’efficace azione di pianificazione/programmazione legata a quella del monitoraggio e del controllo di gestione. Una maggiore cultura manageriale è necessaria, si ritiene, a livello strutturale, e deve cioè pervadere tutti i soggetti gestori di patrimonio UNESCO, al di là delle loro specifiche competenze.

 

Ciò detto, appare necessaria anche una maggiore diffusione delle specifiche competenze economiche e manageriali nei processi di redazione dei piani di gestione e nella loro concreta attuazione. Solo in questo modo si può pensare di poter disporre di documenti di pianificazione realmente utili, che tengano conto di tutte le variabili in gioco e che applichino correttamente i concetti di monitoraggio e controllo, favorendo al tempo stesso una loro adeguata ed efficace implementazione.

 

Note
(1) Per approfondimenti sulla lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO si rimanda al suo sito ufficiale: whc.unesco.org/en/list.
(2) Tale operazione è costituita da un corpus di interventi normativi, consistenti nel decreto legge 52/2012, contenente “Disposizioni urgenti per la razionalizzazione della spesa pubblica” (convertito nella legge n. 94/2012) e nel decreto legge 95/2012, contenente “Disposizioni urgenti per la riduzione della spesa pubblica a servizi invariati” (convertito, con modificazioni, nella legge 135/2012).
(3) Sul rapporto fra contesto istituzionale e manageriale delle aziende ed amministrazioni del settore pubblico, si veda Borgonovi (2005).
(4) L’aziendalizzazione non è da intendersi, come in taluni casi viene fatto in maniera scorretta, come un processo di “impresalizzazione” delle amministrazioni pubbliche, né tanto meno come un processo di espropriazione della funzione pubblica di taluni servizi di rilevante interesse generale. Essa va invece considerata, concordemente a quanto affermato dallo stesso Anselmi (1995, p. 18) come “il processo di acquisizione dei criteri di gestione economico aziendali per le unità pubbliche nazionali e locali”.
(5) I risultati ottenuti nelle due ricerche non sono analizzati in dettaglio, non essendo questo lo scopo del presente lavoro. Per un’analisi maggiormente dettagliata dei risultati delle ricerche condotte, che sono qui posti in comparazione, si rimanda, per la ricerca conclusa nel 2009, a Badia (2009) e Badia (2011); per la ricerca conclusa quest’anno, che sarà  oggetto di future pubblicazioni non ancora edite, si rimanda invece a Badia e Donato (2012), per una visione dei primi risultati ottenuti.

 

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