Abbiamo scelto di chiudere l’anno pubblicando due articoli che delineano, dal nostro punto di vista, un passaggio cardine per la comprensione delle modalità attraverso cui gli attuali strumenti operativi possono essere messi a disposizione del Terzo Settore, del non profit e del sociale. Ci teniamo a distinguere tali ambiti con grande attenzione, perché molti, anche tra gli operatori del comparto, tendono ad accomunarli e renderli sinonimi, quando in realtà non lo sono.
Il percorso di lettura che vorremmo tracciare è quello dello sviluppo del Terzo Settore come mezzo per promuovere nella comunità locale, la “cultura del dare, come valore sociale esteso”. Lettura che noi riteniamo fondamentale e non più procrastinabile a causa dell’accentuarsi delle dinamiche di differenziazione della società, dinamiche che rendono necessario ripensare lo sviluppo dello Stato Sociale promuovendo la partecipazione e l’assunzione di responsabilità di una parte consistente della comunità.
Le domande che vogliamo porci riguardano le potenzialità insite negli strumenti descritti nel contributo di Alessandro Hinna, per capire se essi siano in grado di rafforzare le realtà organizzative mediante le quali si esprime la società civile: quel Terzo Settore che, peraltro, nel nostro Paese, presenta elementi di debolezza perfettamente descritti nell’articolo di Laura Basco.
Negli ultimi anni si è abusato di alcuni strumenti, quali le Fondazioni, soprattutto quelle a partecipazione, dove i privati convivono all’interno dello stesso strumento giuridico con soggetti pubblici. L’interrogativo di fondo diviene, allora, se le Fondazioni sono state capaci di valorizzare al massimo le “relazioni sociali”, al fine di rigenerare il tessuto della comunità. Facciamo qui riferimento alle “relazioni sociali”, perché crediamo che esse rappresentino il valore aggiunto per la crescita, la distribuzione e la circolazione di cultura all’interno di un territorio. Affinché un’infiltrazione economica funzioni e si concretizzi con azioni mirate in una determinata area territoriale, è necessario che vi siano una visione di lungo termine da parte del pubblico e l’azione di un “intermediario” che riduca la portata del rischio di insuccesso di un’operazione. Ogni singolo aspetto deve essere gestito attraverso la creazione di filiere di fiducia, che concordino nel definire “un’aspettativa di esperienze con valenza positiva per l’attore, maturata sotto condizione di incertezza, ma in presenza di un carico cognitivo tale da permettere di superare la soglia della mera speranza”(Mutti 1998).
Ci chiediamo, inoltre, che ruolo possano avere alcuni strumenti giuridici come le Fondazioni in un territorio: a livello amministrativo è comprensibile, in quanto vengono costruite per evitare di interloquire con i diversi livelli di governo, per emanciparsi da quei passaggi istituzionali di conferimenti delle risorse a cui il nostro Paese è avvezzo. Questo può avere sicuramente senso, ma se pensiamo che possano sostituire sui singoli territori il “dissesto dello Stato”, incapace di sviluppare politiche adeguate, è un errore; questi strumenti possono rappresentare, se costruiti dal basso, meccanismi di ascolto e di comprensione delle comunità e acceleratori per la crescita di porzioni di territorio, ma non possono funzionare, a lungo termine e su un’area estesa, prescindendo dal disegno organico del pubblico. I luoghi che soffrono di emarginazione e dove la cultura potrebbe rappresentare un veicolo di crescita, rimarranno sempre tali se non verranno attivate politiche a rilevanza nazionale e di respiro internazionale. Scampia, anche dopo l’intervento del teatro sociale, la formazione di un forte associazionismo di base, la costituzione sul territorio di strumenti di costruzione dell’identità, l’erogazione di finanziamenti dalla Regione Campania (in maniera non strutturata) rimarrà sempre Scampia. Possiamo ancora permetterci di non ascoltare?
Possiamo ancora permetterci di non ascoltare?
Abbiamo scelto di chiudere l’anno pubblicando due articoli che delineano, dal nostro punto di vista, un passaggio cardine per la comprensione delle modalità attraverso cui gli attuali strumenti operativi possono essere messi a disposizione del Terzo Settore, del non profit e del sociale. Ci teniamo a distinguere tali ambiti con grande attenzione, perché molti, anche tra gli operatori del comparto, tendono ad accomunarli e renderli sinonimi, quando in realtà non lo sono. Il percorso di lettura che vorremmo tracciare è quello dello sviluppo del Terzo Settore come mezzo per promuovere nella comunità locale, la “cultura del dare, come valore sociale esteso”. Lettura che noi riteniamo fondamentale e non più procrastinabile a causa dell’accentuarsi delle dinamiche di differenziazione della società, dinamiche che rendono necessario ripensare lo sviluppo dello Stato Sociale promuovendo la partecipazione e l’assunzione di responsabilità di una parte consistente della comunità.