Camelot, al tempo delle favole. Artù siede sul trono e cerca di scappare, ma gli inglesi lo acclamano non appena si affaccia sul portone. Come un fulmine arriva Merlino in bermuda e occhiali da sole, lo rassicura e gli dice che la sua storia sarà ricordata per sempre, ci faranno perfino un film! Artù, in effetti il glabro e perplesso Semola, gli chiede: “E cos’è un film?”. Merlino, veloce e sornione: “E’ come la tv, ma senza pubblicità”.
Molti anni dopo, in una potente metanarrazione, Truman Burbank lotta contro la gabbia televisiva che lo tiene in trappola mentre il mondo curiosa da un buco della serratura catodico e impietoso. La moglie Meryl si lascia andare a tanta pubblicità, ma altre scene vedono cartelloni alle spalle di Truman stesso. Spoof, inganni: pubblicità di prodotti inesistenti. Un film in cui la verità è fatta di menzogne non può piazzare prodotti veri.
Sono, forse, due casi estremi. La realtà è fatta di centinaia di film la cui trama è ben felice di ospitare immagini, scene e riferimenti a prodotti di vario genere – mancano solo le testate nucleari, il resto c’è tutto – associandoli agli stili inarrivabili di protagonisti oleografici, alle condivisioni tribali di gruppi sociali, alle prassi surreali dei cartoni animati. Product placement, trucco neanche tanto nascosto che spalanca mercati a compagnie aggressive capaci di comprendere la potenza del mezzo cinematografico.
Pur in un mondo sempre più definito dalla long tail, e incline a sottrarre peso ai brand di status che impazzavano negli anni Ottanta e Novanta, il canale seduttivo dell’economia si sa muovere con accortezza, adattandosi a un ecosistema che evolve in modo poco prevedibile. E il mercato più fertile è quello adolescenziale, in cui un’armata agguerrita di teen-agers digitali e precoci scala le posizioni sociali anche attraverso l’appropriazione materiale e simbolica di oggetti eloquenti.
La complessità di mercati che partono dal cinema e arrivano agli adolescenti passando per le carte di credito di papà, è analizzata da Francesca Masoero nel libro “Product placement, teenpic e adolescenti 2.0” (Torino, Kaplan, 2012). Circostanziato e approfondito come pochi, il libro di Masoero incede con ritmo stretto offrendo al lettore una narrazione distesa e morbida, senza mai perdere la pertinenza tecnica e riuscendo al tempo stesso a sorridere con dolcezza di quanto appaia vulnerabile la domanda di senso e identità del teen world.
Il libro può essere considerato un manuale di product placement, funzione che svolge incisivamente spiegando nel dettaglio casi di successo ed errori, intuizioni e sviste. Fino ai casi bizzarri ma logici di negozi o prodotti che cambiano etichetta al traino di invenzioni cinematografiche, il reverse product placement (ne sono esempi la catena di ristoranti “Bubba Gump Shrimp Co.” creata nella finzione di Forrest Gump, o i supermercati “Kwik-E-Mart”, di fatto i “7-Eleven” con insegna copiata dal film I Simpson.
Davvero efficace nei suoi profili tecnici, il libro di Masoero risulta ancora più utile (e piacevole) per la lunga e intensa analisi del mondo psicologico e sentimentale degli adolescenti, travolti da una velocità inedita e in esplorazione di territori complessi, dalla paura per il soprannaturale all’attrazione carnale, dal fascino per il mistero al cameratismo da spogliatoio, dai valori acqua-e-sapone alla carica energetica e qualche volta malinconica della musica.
Qualche decennio fa gli adolescenti sedevano placidi a tavola nella “Famiglia Benvenuti” (il protagonista maschile, Giusva Fioravanti, avrebbe di lì a poco cambiato mestiere passando al terrorismo nero, ma questa è un’altra storia); o battibeccavano con i vincoli familiari tra le pagine del Corriere dei Piccoli con le storie di Valentina Mela Verde. Già le pulsioni scomposte ma intriganti di Pandora e Cain Groovesnore (in Una ballata del mare salato di Hugo Pratt) entravano più decisamente nel magma degli orizzonti adolescenziali.
Dagli anni Ottanta – Masoero lo racconta nei dettagli più riposti – si passa dal cinema sui giovani, innocuo e oleografico, e dal cinema per i giovani, ben più denso di messaggi generazionali con Il Selvaggio, Gioventù Bruciata, Il seme della violenza, a un approccio diretto: i film adottano il punto di vista di teen-agers in piena ebollizione, riprendendo l’intuizione degli anni Cinquanta e portandola a sistema. Si mettono a fuoco le prime esperienze, si tratti di baci o di birre. Arriva l’ondata dolcemente repressiva con topoi più rassicuranti (basti pensare a Titanic). Ma gli adolescenti aspettano che il Vaso di Pandora venga scoperchiato di nuovo, e stavolta sul serio. Lo farà The Blair Witch Project, una produzione indipendente diventato prodotto di massa. E una valanga di film che esploreranno tutte le possibili aree del mondo adolescenziale.
Tra le tante suggestioni che il libro di Francesca Masoero offre – inclusa una sana retrospettiva autobiografica che ogni lettore dovrebbe fare per sorridere di sé con indulgenza – l’analisi del solco che separa, anche in questo campo, l’Italia dal resto del mondo. Meno corruschi e contraddittori di quanto non appaiano nella produzione americana, gli adolescenti italiani mescolano insieme sdolcinature mielose e inaspettate consapevolezze, fanno casino quando non dovrebbero ma metabolizzano da adulti precoci le vicende della vita.
Esaminando un fenomeno economico e culturale con una cassetta degli attrezzi molto efficace, “Product placement, teenpic e adolescenti 2.0” fornisce risposte appropriate e illuminanti sui mercati del cinema dei giovani, e al tempo stesso costruisce domande forti su questioni psicologiche e filosofiche che ci aiutano ad affrontare le dinamiche intergenerazionali, tema sempre più cruciale nell’emersione di una società inedita.
Product placement, teenpic e adolescenti 2.0
Francesca Masoero
Edizioni kaplan, 2012
Euro 20,00