1. Premessa
“Stat Roma pristina nomine, nomina nuda tenemus” (Bernardo Morliacense, De contemptu mundi, lib. 1, v. 952).
Il motto nominalista qui citato come incipit ha riscosso un certo successo da quando, nel 1980, Umberto Eco, modificandolo leggermente (rosa al posto di Roma), ne ha fatto l’epilogo del suo romanzo forse più famoso: Il nome della Rosa. Bernardo Morliacense, monaco benedettino del XII secolo, vero autore dell’esametro, con le sue parole ci ammonisce del fatto che i luoghi esistono prima e a prescindere dal nome che gli attribuiamo, ed all’uomo non ne resta che il nome, poiché gli è in qualche modo negata la possibilità di giungere alla vera essenza delle cose. Le dottrine di tipo fenomenologico invece poggiano la conoscenza del mondo esclusivamente sull’esperienza che di esso abbiamo, che viene quindi assunta come realtà.
In effetti “l’attribuzione del nome” è, per l’uomo, l’atto primigenio di riconoscimento. Abbiamo bisogno di “chiamare” le cose, i luoghi, le persone per identificarle: il nome rende leggibile e sensata, esperibile e dunque dotata di valore, ogni singola porzione di mondo, e conferisce ad essa una prima forma di identità. Ma di cosa è fatta l’identità di un luogo? Come si costruisce? Quanto è progettabile? Senza dipanare meandri filosofici troppo complessi, abbandonando quindi Bernardo ed Aristotele, e avvicinandoci invece alle teorie e le pratiche del design contemporaneo, cercheremo di raccontare quale possa essere un approccio progettuale “descrittivo” e partecipato di costruzione dell’identità di un territorio. La riflessioni sono articolate a partire da un progetto di alta formazione1 del consorzio Polidesign del Politecnico di Milano svoltosi tra marzo e giugno 2008, focalizzato sulla valorizzazione dei sistemi territoriali, che si è concluso con una esperienza progettuale in Puglia, in cui 10 designer professionisti si sono confrontati con un progetto di brand del territorio.
2. Localizzare il design
Una premessa deve essere fatta per introdurre motivazioni e modalità con cui il design si relaziona alla dimensione locale. Come disciplina razionale e scienza dell’artificiale il design è nato tendendo all’ottimizzazione della produzione, in un ottica in cui progetto, processo e prodotto erano del tutto slegati a luogo ed al contesto, proprio perché replicabili, virtualmente in un numero infinito di volte, su scala industriale. Nel contesto di produzione e consumo contemporaneo invece il design, confrontandosi con le dinamiche di globalizzazione e smaterializzazione dei beni, con l’emergenza del locale e la necessità di generare valore in un regime di “distinzione”, coglie la dimensione territoriale come opportunità e responsabilità di progetto. La dimensione locale del progetto di design non è da considerare tanto una scala o ambito di applicazione, quanto un approccio finalizzato a rendere visibili e a valorizzare le caratteristiche peculiari di un contesto, il suo milieu e i suoi valori, incorporati nella cultura locale, nei luoghi e nella comunità di persone che vi risiede. La dimensione locale è cioè una condizione progettuale, in cui luoghi, produzioni tipiche, identità, conoscenze, capitale umano e intangibile, valori e risorse territoriali, comunità di pratiche, comunicazione, reti, diventano insieme vincoli/requisiti ed obiettivi di progetto. Ogni luogo va inteso quindi sia come contesto ma anche come pratica di progetto e la necessità di negoziare in base al contesto le scelte progettuali evidenzia fortemente la volontà del design di focalizzare la sua attenzione sulle specificità legate all’identità e diversità delle risorse dei luoghi in cui interviene, portando a generare un modello di valorizzazione di tipo “situato” (Villari, 2005) e quindi a processi da declinare di volta in volta. Contemporaneamente tuttavia, una riduzione e normalizzazione delle pratiche progettuali in termini di forme e processi replicabili rende sostenibile economicamente l’azione di design e la distingue da altre pratiche a scala paesaggistica di tipo artistico o pianificatorio, sostanzialmente sviluppate ad hoc.
La natura del design contemporaneo cioè media le logiche della ricerca di efficienza e standardizzazione di processo con un approccio di costruzione negoziata in base al contesto sociale ed economico, raggiungendo equilibri ogni volta diversi che tendono a stabilizzarsi col tempo e con l’apprendimento. La dimensione locale di un progetto, intesa come capacità di generare e preservare le differenze dotate di peso e significato (resilienti all’omologazione o ibridazione culturale) va quindi associata ad una accumulazione di esperienza che consenta di rendere replicabili anche in altri contesti alcuni processi, in termini di approccio metodologico. La replicabilità quindi non sta nelle forme, ma nel processo e nel metodo adottato che coordina e controlla risultati di volta in volta in volta diversi, ma inevitabilmente legati tra loro dalla riconoscibilità delle pratiche di design, all’interno di alcune regole (Caprioli, Corraini, 2006).
Dimensione locale come vincolo e requisito di progetto, significa quindi considerare il contesto come opportunità, considerando il luogo una istanza sociale: secondo Dematteis (1995) ogni luogo corrisponde alla spazializzazione di fatti sociali, valori, significati e rapporti. In questo senso, il progetto è “descrittivo”: “progettare il territorio significa essenzialmente costruire rappresentazioni interpretative di contesti locali (…): il progettista rappresenta e allo stesso tempo interpreta, si pone in una situazione di ascolto, di esplorazione di nuovi significati, per scoprire possibilità già inscritte nelle cose esistenti” (Dematteis, 1995).
Dimensione locale come pratica di progetto implica la modalità con cui strutturare l’azione di design, che va attuata direttamente nel contesto, considerato come “spazio vissuto”, cioè definito dalle pratiche umane: solo calarsi “nell’esistente” consente di poter interpretare e trasformare un contesto antropizzato con un approccio human and community centred.
Dimensione locale come obiettivo di progetto infine significa progettare per la comunità e con la comunità che in un determinato contesto risiede, trasformando in obiettivi il senso di appartenenza e l’apprendimento della stessa comunità, quindi adottando un processo collaborativo e partecipato nella valorizzazione di una identità locale, finalizzato a condividere tutte le fasi dell’azione e a costruire il consenso.
L’approccio di design alla valorizzazione del territorio insiste particolarmente sul valore politico dell’azione progettuale. Non si tratta semplicemente di un progetto di sviluppo del territorio, ma di riproduzione e distribuzione nel luogo del suo valore: è un processo che parte da un approccio di salvaguardia (e non di deprivazione delle qualità proprie di un territorio), ma che di fatto le restituisce al luogo in forma non “conservativa” quanto, rinnovata, attiva e controllabile, cioè in grado di gestirne l’evoluzione, la generazione di sapere e il legame con la comunità.
3. Territorializzare e contestualizzare con il design
“Un progetto di valorizzazione del territorio muove dalla necessità di ricontestualizzare le sue risorse in un contesto più ampio, di localismo cosmopolita” (Sachs, 1998, Manzini, Vugliano, 2000, Manzini, Jegou, 2003). Si tratta cioè di dimensioni locali tra di loro connesse su due assi: da una parte, ogni luogo della terra è connesso agli altri attraverso relazioni orizzontali, che mettono a confronto la dimensione locale con quella globale, attraverso la dialettica nodo/rete, come nodo di connessione tra le reti corte (che generano e rigenerano il tessuto sociale e produttivo locale) e le reti lunghe (che connettono quel luogo e quella comunità con il resto del mondo) (De Rita, Bonomi, 1998). Dall’altra ogni fatto sociale si localizza con certi rapporti verticali che legano l’agire umano a determinate condizioni territoriali e naturali.
Queste connessioni corrispondono a “strategie di organizzazione” e sono quindi oggetto specifico dell’attività di progetto: il processo di territorializzazione corrisponde alla creazione di un sistema di relazioni orizzontali tra le risorse, i beni, i valori territoriali e le attività umane presenti in territorio, oltre che con quelli di un altro contesto; i processi di contestualizzazione invece risiedono principalmente nella deliberata ricostruzione (fisica o simbolica) di una relazione verticale tra un valore o una risorsa territoriale e il suo contesto: dal legame con il suo luogo originario alla riproduzione di un nuovo luogo di esperienza e fruizione.
Per quanto possa apparire un controsenso, spesso adeguati e sostenibili processi di territorializzazione e contestualizzazione sono gli unici in grado di permettere la sopravvivenza delle identità locali nel contesto globale. Una identità locale, è una entità viva, in trasformazione, che necessità di essere continuamente ricreata, socializzate e trasmessa. Per questo, una profonda relazione con il suo contesto è uno dei fattori che da una parte genera senso, significato e valore (in termini di comprensione dell’origine dell’identità stessa), dall’altro può mettere a repentaglio la sua esistenza. Di solito infatti una identità sopravvive fino a quando le relazioni con il suo contesto sono attive e significative: quando il contesto si evolve e modifica, se il l’identità non è in grado di rielaborarsi (conservando le sue tipicità ma integrandosi nel nuovo sistema) è destinata a diventare marginale od elitaria o a scomparire. La creazione di nuove connessioni, attraverso i processi di territorializzazione e contestualizzazione, è il modo con cui dei valori locali e delle tipicità territoriali possono essere attivati, dinamizzati e rinnovati in continuità, e messi in grado di dialogare (attraverso forme e numeri di relazioni sostenibili) con contesti più ampli come quelli che il mondo contemporaneo richiede.
4. Dall’identità al brand del territorio
Tornando alla questione del progetto dell’identità, Francesco Zurlo (2003b) sostiene che «l’identità di un territorio è una scelta di progetto», che va costruita a partire da uno specifico patrimonio di valori che definiscono il suo capitale territoriale, (Zurlo, 2003a). La ricchezza di un territorio è infatti individuabile nella produzione di beni materiali, nei sistemi socio-culturali legati alle bellezze storico-architettoniche, culturali, ambientali, ma anche alla cultura eno-gastromica o alle produzioni agro-alimentari locali. Quindi da un lato l’identità funziona come significato, cioè immagine, forma, uso, imprinting originario del luogo; dall’altro come prodotto culturale (Aime 2004; Sen, 2006) è frutto di una costruzione sociale, di processi di negoziazione e di scelta. L’antropologia ha recentemente introdotto la differenza tra identità agite e identità percepite: in questa visione l’identità si può considerare lo spazio (e quindi il risultato) tra il progetto autonomo di essere in un certo modo (dati i vincoli e le opportunità ambientali) e il riconoscimento di tale progetto da parte di altri (Anolli, 2006). Come qualsiasi processo di tipo culturale, ovviamente la negoziazione dell’identità di un luogo richiede tempi di sedimentazione lunghi e complessi, che hanno spesso durata molto più estesa rispetto a quelli di una comunità. L’azione di design lavora quindi sulla dimensione temporale del processo di costruzione dell’identità, per renderla sincronica, o quanto meno accettabile, in termini di intervallo di attesa, ai tempi di un insieme di utenti e fruitori. Per questo agisce per fasi sovrapposte, legando azioni a breve termine, con risultato immediatamente percepibile, con progetti strategici di lunga durata. La progettazione del brand di un territorio rientra proprio in un processo strategico capace di coniugare le azioni di breve durata con quelle di ampio respiro. Ovviamente il brand del territorio non corrisponde solo al “nome”, ossia al naming di un luogo, ma ad una complessa strategia che aggrega, in maniera più o meno consapevole, intorno a specifici segni di riconoscimento, un definito complesso di valori, di associazioni cognitive, di aspettative e di emozioni.
Tradizionalmente il brand si può articolare in una serie di elementi identificativi, quali (Cautela, 2008): il nome (naming), i simboli (symbolizing), l’immagine/icona distintiva (picturing), il jingle (animating), lo slogan (describing), i caratteri (wording o lettering). Da una parte il brand deve assolvere alla funzione di rappresentazione del territorio in termini di identificazione e posizionamento, in un insieme unico e corrente, ma declinabile nelle sue eventuali specificità (il brand del territorio come fine); dall’altra può diventare occasione per progettare l’immagine di un luogo in termini di nuove e possibili traiettorie sviluppo (il brand del territorio come mezzo). In sostanza il progetto del brand include una “visione strategica” proiettata nel futuro, di come il luogo oggetto di progetto sarà percepito dai suoi abitanti o dai suoi fruitori e per questo oltre ai dispositivi di comunicazione istituzionali (il logo) ne costruisce una offerta e un’esperienza.
Appare interessante sottolineare come all’interno di un progetto didattico e di ricerca, sia potenzialmente più interessante sperimentare questa seconda opportunità, orientandosi verso un progetto dell’identità del territorio che sia in qualche modo “opera aperta” potenzialmente estensibile, che abiliti il territorio stesso, in quanto soggetto della rappresentazione, a raccontarsi e proporsi come valore. Ma soprattutto che, in quanto recinto condiviso di significati, permetta alla sua stessa comunità di riconoscersi e auto-rappresentarsi. Assistiamo sempre più spesso a luoghi “insorgenti”, in cerca di “strutture” che permettano essi di connettere insieme risorse, cultura e persone, attraverso processi concertati di consenso sociale (Scotini, 2003). Un approccio situato e descrittivo di brand del territorio in questo contesto, diventa strumento “performativo” dell’identità di un luogo perché individua delle leve su cui concentrasi per l’elaborazione di successivi scenari di valorizzazione e che definiamo per questo “meta-brand”.
5. Il workshop
Entrando nello specifico dell’attività progettuale (da cui queste riflessioni sono in parte derivate), l’esperienza formativa del corso BST si è conclusa con un project work intensivo di una settimana, svolto in un contesto territoriale ben definito, a cavallo delle province pugliesi di Brindisi, Bari e Taranto. Il workshop ha risposto alla volontà di svolgere, a conclusione del percorso didattico, una sperimentazione applicativa sul campo, attraverso un processo di ricerca-azione di design. Il workshop ha rappresentato, per i progettisti coinvolti, un percorso articolato e condiviso di messa a fuoco delle risorse e dei bisogni del territorio, e di interlocuzione con i vari stakeholders territoriali per la progettazione partecipata di scenari di sviluppo.
Il processo di ricerca-azione è stato articolato in:
1. una attività preparatoria, chiamata “metadesign”, di ricerca, documentazione e raccolta dati, svolta a distanza, attraverso delle attività di ricerca desk, finalizzata alla conoscenza dell’area oggetto di progetto e al suo capitale territoriale, per rilevare, comprendere e leggere quei fattori locali rilevanti per la sua valorizzazione;
2. la fase progettuale svolta nel contesto, finalizzata alla costruzione dell’identità visiva vera e propria del territorio e quindi del suo sistema di offerta turistica.
L’attività di metadesign ha approfondito in particolare i seguenti ambiti di ricerca e documentazione:
– i valori territoriali, in termini di attrattori territoriali culturali, cioè le caratteristiche storiche, geografiche, monumentali;
– l’ iconografica del territorio, in termini di ricognizione di colori, materiali, segni, simboli ed icone esistenti legate al territorio e attraverso le quali un territorio già si identifica e si comunica ( ad esempio gli stemmi dei comuni, marchi di promozione già esistenti);
-le imprese e gli attori del territorio, cioè le attività imprenditoriali locali legate in maniera diretta e indiretta la comparto turistico, che rappresentano i potenziali portatori di interesse del progetto di brand del territorio (ospitalità, agenzie viaggio e operatori turistici, produzioni tipiche, consorzi per la promozione del territorio).
A questa prima fase di ricognizione, ne è succeduta una di interpretazione e organizzazione dei dati raccolti: il fenomeno territoriale complesso dell’area, è stato modellizzato, elaborando le informazioni raccolte, tramite mappe sintattico-cognitive, esplicitando e descrivendo i suoi molteplici elementi, con l’obiettivo di identificare delle possibili successive aree di opportunità ed intervento. L’utilità di queste rappresentazioni di supporto del processo di analisi per il successivo progetto è stata evidente nel contributo che esse hanno offerto alla comprensione del territorio, e nella condivisione delle informazioni tra i vari gruppi di lavoro e gli attori locali: come risultato meta-progettuale, l’esplicitazione del capitale territoriale in forma sistematica e strutturata, attraverso mappe, schemi, diagrammi e visualizzazioni, si può considerare infatti sia un obiettivo intermedio del processo (propedeutico ad “avvicinare” il territorio e orientare e ottimizzare il successivo lavoro di interpretazione e sviluppo progettuale sul luogo), ma spesso costituisce un output finale di per sé, in termini di prima proposta e visione progettuale. In questo caso, affinando le capacità di visualizzazione del design nel rappresentare in maniera percepibile e comprensibile, quindi condivisibile, stratificazioni, densità, complessità territoriali, nonché le opportunità e dinamiche di trasformazione e di cambiamento “già inscritte” nel luogo, è stato possibile utilizzare questi elementi come aspetti identitari e di riconoscibilità e quindi leve per il progetto. I progettisti coinvolti hanno quindi adottato l’approccio di tipo “descrittivo” di decodifica di capacità presenti nel contesto e di abilitazione diretta del territorio all’espressione delle sue potenzialità, e contemporaneamente, attraverso questi stessi strumenti di visualizzazione, hanno perseguito un obiettivo di condivisione dell’intero progetto di valorizzazione del territorio con i suoi attori e protagonisti, rendendo intelligibili, quindi oggetto di confronto e strumenti di costruzione del consenso, tutte le fasi del processo e le motivazioni del progetto finale di brand. Attraverso questi strumenti, la capacità di visualizzazione tipica del design mette a supporto dei decisori un percorso leggibile di scansione temporale del progetto, con tipici strumenti di rappresentazione quali le mappe, i diagrammi, gli story-board, gli scenari (Jegou, Manzini, Meroni, 2004).
La successiva attività di visione strategica e concept generation ha avuto come finalità la progettazione dell’identità visiva e della offerta strategica del territorio: il progetto del brand quindi è stato inteso in senso lato in termini di strategia complessiva di comunicazione del territorio e della sua offerta, e corredato di tutto l’apparato visivo necessario per identificare il Sistema Turistico Locale denominato “Terra di mezzo”, in termini di attori da coinvolgere, immagine coordinata e progettualità da attivare. Dal punto di vista degli attori, sono stati coinvolti, per i necessari momenti di confronto e feedback, gli stakeholder rappresentati dalle istituzioni e da alcuni operatori del comparto alberghiero e della produzione tipica locale; dal punto di vista dell’immagine il project work ha portato a definire una serie di progetti di brand identity del sistema turistico, che seppure limitati ad un fase di concept design, lasciano intravedere i possibili sviluppi del progetto e le applicazioni nel medio lungo termine, oltre che la declinazione in forme e supporti di comunicazione diversi, in una unità coerente ma in grado di differenziarsi per comprenderne i diversi aspetti, per veicolare il distretto sia a livello BtoB (nuove attività economiche, nuove imprenditorialità, modelli di sviluppo trainati dal turismo etc) che BtoC (turista finale, incoming etc); dal punto di vista della progettualità strategica, il project work ha ipotizzato una prima proposta di attività ed azioni di sviluppo (in termini di itinerari e sinergie territoriali) nonché di modello di funzionamento che il potenziale sistema turistico (e quindi i suoi attori) deve attivare per costruire una rete di offerta complessiva accessibile al turista in un’ottica di servizio, di incentivazione dell’incoming e di aumento della qualità dell’offerta.
6. I progetti2
L’area tra le province di Bari, Taranto e Brindisi è un’area che presenta indubbie e peculiari qualità territoriali, ma soffre dell’essere compressa tra aree limitrofe molto più note come il Gargano ed il Salento. L’area è delimitata a nord dal centro di Poligano a mare e a sud dall’oasi WWF di Torre Guaceto.
Le sue caratteristiche morfologiche presentano una variegata orografia che degrada dolcemente dalla collina al mare, per concentrare lungo una fascia costiera di ampiezza di una paio di chilometri le maggiori attrattive di tipo turistico balneare, ed alcuni centri di rilievo con pregevoli architetture (dal greco, al romanico al barocco) e spettacolari scorci (dal già citato Polignano a mare, con i suoi vicoli che si aprono all’improvviso sul blu di una scogliera a strapiombo sul mare, a Ostuni, città “bianca” di calce che risplende giorno e notte come un faro da una collina). Sempre lungo la linea costiera è rintracciabile un tracciato difensivo di torri di avvistamento saracene che costituisce una sorta di infrastruttura territoriale di grande potenzialità, ed è di altrettanto grande interesse floro-faunistico l’oasi wwf, per le sue diversità tipologiche (zona umida, secca, uliveto). L’entroterra racchiude invece una terra principalmente dedita alla coltivazione di ulivi, di cui alcuni centenari, in cui le masserie sparse rappresentano dei momenti isolati di notevole pregio, che potrebbe essere messo a sistema. Insieme a questo patrimonio minore diffuso sono ovviamente da segnalare alcune località eccellenti, come alcuni centri di grande fascino (Cisternino) e popolarità: tra tutti ovviamente, Alberobello con i suoi famosi trulli. Le produzioni locali del territorio comprendono ovviamente tipicità locali che spaziano dai prodotti enogastronomici, al vino, alla lavorazione della paglia, ai merletti. L’idea di rappresentare questo territorio come “Terra di mezzo”, è nata proprio come risultato dell’analisi di questi valori territoriali, con la volontà di non puntare esclusivamente alla linea di costa come elemento caratterizzate, ma contemporaneamente di fondere insieme gli elementi più esclusivi e riconoscibili, dalle masserie, agli ulivi secolari, alla luce.
Tutti i progetti sono partiti con l’idea di mettere a sistema il capitale territoriale dell’area di progetto ma soprattutto con la finalità di renderlo comprensibile e quindi accessibile al turista. Per questo sono stati esplorati dei brand ampi, cioè in grado di essere declinati sui diversi ambiti di offerta territoriale (dalla cultura, alla natura, ala mare, alle produzioni tipiche) e sufficientemente profondi a comprendere target di utenti di diverse fasce, con il risultato di offrire, per ogni concept proposto, un brand unico con varianti, principalmente differenziate in base all’uso dei colori.
Segni di poesia
Il brand concept “Terra di mezzo. Segni di poesia” fa leva sui segni iconici tipici dei tetti dei trulli, per stilizzare, a partire in particolare dal simbolo del sole, un marchio declinato in quattro varianti cromatiche legate a altrettanti percorsi tematici quali “sapori e passioni”, “natura e libertà”, “città e culture”, “mare e intensità” e utilizzabile in campagne di comunicazione istituzionale, come in prodotti e merchandising promozionale. Gli slogan comunicativi applicati alla comunicazione istituzionale, associano al marchio testi raffinati, estratti da letteratura relativa al territorio, ad esempio riguardo agli ulivi secolari: “sculture viventi, antiche, supreme”.
Quinte mobili
Il concept “Terra si mezzo. Quinte mobili”, lavora invece sull’idea di avvicinare il territorio dal mare, quindi come una serie di quinte degradanti sulla costa, delle quali ognuna rappresenta un diverso percorso di esperienza e conoscenza del territorio, che può essere quindi composto a piacere dal visitatore, combinando fra loro i vari livelli. Questo concept ipotizza un “brand dinamico” che sia anche strumento di accesso alle informazioni ma soprattutto di organizzazione dell’esperienza di visita: infatti, anche in questo caso i tematismi (che sono sei: mare, terra, servizi, prodotti, arte, eventi) sono associati ai colori, e, a seconda delle scelte dell’utente, il logo si compone di volta in volta in maniera diversa e personalizzata, rappresentando visivamente le percentuali dei percorsi tematici che compongono il pacchetto turistico. Lo slogan stesso, “scegli come essere”, ben descrive la possibilità per questo marchio di diventare strumento di accesso e fruizione del territorio da parte dei visitatori, oltre che memoria personale dell’esperienza.
Terre d’incastri e d’incontri
Il concept “Terre d’incastri e d’incontri” ha individuato cinque ricorrenze tematiche/cromatiche (ambiente, arte/architettura, attività produttive, produzioni tipiche, folklore/eventi), che lavorano con il concetto della polifonia dei sensi e della commistione delle esperienze. La strategia di comunicazione e offerta turistica si basa infatti sull’evento (diffuso nel territorio) come momento di originale e inaspettata intersezione e stratificazione dei contrasti forti che caratterizzano le cinque aree di interesse individuate per il territorio, ad esempio legando l’arte contemporanea agli ulivi secolari attraverso l’evento “Sculture viventi”. La stessa metafora dell’incontro viene utilizzata nel marchio, astraendo dagli elementi del territorio trame, ritmi, intrecci e riponendoli come texture dei loghi nelle diverse declinazioni cromatiche.
Dal micro al macro
Il concept “Terra di mezzo. Dal micro al macro” propone un sistema di comunicazione e offerta del territorio che dalla macro scala ambientale e territoriale, si avvicina alla scala dell’esperienza diretta del fruitore, passando dai riti della socialità ai prodotti della cultura materiale. Lo stesso logo elabora graficamente e percettivamente diverse scale di rappresentazione del territorio, astraendo in segno iconico la rappresentazione topografica e cartografica tipica della macroscala. I tre ambiti tematici individuati (ambiente socialità e cultura materiale) sono declinati in altrettanti itinerari di offerta del territorio (turismo naturale, turismo culturale, entertaiment), avvalendosi di un sistema di card integrate che permettono di acquistare dei pacchetti di visita di diversa durata e tematica.
7. Conclusioni
Come precedentemente precisato, i risultati progettuali proposti, sia in termini sia di approccio complessivo che di temi specifici, sono limitati ad in una fase di concept, quindi suscettibili di ulteriore implementazione e sviluppo. Tuttavia è interessante sottolineare come l’interlocuzione proficua con gli attori locali istituzionali (Regione Puglia, nella persona dell’assessore al turismo e Comune di Ostuni) o meno (imprenditori locali) abbia costituito un momento di positiva verifica dell’attività di ricerca-azione situata. Le attività di meta-progetto e di concept generation hanno fatto leva sulle capacità strategiche del progetto di design poiché “il concetto di visione è strettamente connesso a quello di vocazione” nelle azioni di valorizzazione del territorio (Mollica, 2005). Ci si augura quindi che le proposte elaborate vengano raccolte dagli attori istituzionali coinvolti come opportunità da sperimentare in termini di azioni innovative e programmi di sviluppo concreti da attivare sul territorio.
Note
1 Corso di alta formazione “Brand dei sistemi territoriali. Progettare la marca di un territorio e l’incoming turistico”. Direzione: Francesco Zurlo, POLI.design, Piergiorgio Mangialardi, PROTUA. Coordinamento: Marina Parente, Politecnico di Milano. Coordinamento project work: Eleonora Lupo, Politecnico di Milano. Docente responsabile project work: Francesco Ermanno Guida, AIAP / Politecnico di Milano. www.polidesign.net/bst
2 Ovviamente, i progetti sono stati sviluppati durante un workshop di una sola settimana, con il conseguente livello di implementazione limitato ad un concept o a un prototipo non definitivo, e con un grado di elaborazione grafica commisurato alla strettezza dei tempi di produzione. In generale, quindi, essi vengono considerati per le logiche adottate e per le strategie complessive in cui si inseriscono, non penalizzando gli ovvi livelli di approssimazione. Inoltre, il progetto del sistema turistico locale dell’area, è tuttora in fase di valutazione ed implementazione da parte del gruppo di ricercatori del consorzio Polidesign del Politecnico di Milano coinvolti e di alcuni dei progettisti che hanno partecipato al corso.
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