Dalle rivolte del mondo arabo ai movimenti degli indignados in Spagna e Occupy Wall Street negli Stati Uniti: che cosa hanno in comune queste nuove forme di movimenti sociali e di protesta? Questo è l’interrogativo a cui cerca di dare una risposta il nuovo saggio “Reti di indignazione e di speranza” di Manuel Castells, professore di Sociologia della Universidad de Catalunya, a Barcellona.
Partendo dalla Tunisia e dall’Islanda, per passare attraverso l’esperienza araba, spagnola e statunitense, i nuovi movimenti, pur diversi tra loro, hanno mostrato dei caratteri comuni che costituiscono un elemento di dirompente innovatività e una possibile strada per il cambiamento futuro.
Essi sono nati spontaneamente a seguito dell’indignazione suscitata per il mal operato dei governanti, percepiti come corrotti e asserviti alle esigenze delle lobby economico-finanziarie e si sono alimentati del contesto di grave crisi economica, aggravato nei paesi arabi dall’esosità dei generi alimentari.
Connessi in rete attraverso una molteplicità di forme diverse – Internet, social network, blog, cellulari e media –, che hanno vanificato ogni tentativo di oscurantismo da parte dei governi centrali, come nel caso egiziano, i movimenti sociali del XXI secolo hanno operato nella rete, che ha dato loro ospitalità, ha veicolato le idee, i video, i messaggi di un disagio già familiare tra la popolazione.
Dalla rete, “spazio virtuale di auto comunicazione”, che ha unito le persone e ha permesso di superare la paura della repressione si è passati a occupare le piazze e i simboli del potere. Ci si è riappropriati degli spazi urbani. Questi sono divenuti un luogo di confronto e di autogestione, “lo spazio dell’autonomia”, in cui ciascuno è stato libero di esprimere la propria idea di cambiamento, la priorità idea di futuro, di portare all’attenzione tematiche prioritarie che abbiano l’uomo come centro delle politiche. Nessun leader ha dominato il movimento. Ciascuno si è fatto portatore della sua idea di miglioramento e l’ha asserita ad alta voce.
Le idee, nate in contesti specifici locali hanno alimentato la speranza di cambiamento in altri paesi, si sono diffuse “in modo virale” al mondo intero, aprendo dibattiti su Internet e, a volte, lanciando manifestazioni congiunte, come quella del 15 ottobre 2011, data in cui il network mondiale dei movimenti Occupy, ha mobilitato centinaia di migliaia di persone in 951 città di 82 paesi.
In alcuni casi, il cambiamento è arrivato portando alla caduta repentina di regimi politici ormai consolidati da decenni, com’è avvenuto in Tunisia e in Egitto, ovvero all’elaborazione di una Costituzione che ha visto partecipare l’intera popolazione in Islanda; in altri casi le richieste dei movimenti, molteplici e variegate, non si sono tradotte in cambiamento politico, ma hanno svolto un compito ben più rilevante. Hanno mirato a trasformare i valori della società, dando la possibilità di apprendere di nuovo come vivere insieme in una democrazia reale, gettando le basi di un futuro migliore.
Reti di indignazione e speranza
Manuel Castells
Egea, 2012
Euro 25,00