Rich of territory: working towards to a civic consciousness | Ricchi di territorio: puntare sulla coscienza civica

By now, the territory has become a “dense” word, full of meanings, projects, expectations, not only for the town planners, which still frequent it, but also for economists and for cultural professionals. The territory is a mass of physical places, of communities that inhabit it and go through it, of forces and powerful potentialities, of tangible and intangible assets and economic and human resources.

The editorial underlines the relevance of educational resources in the safeguarding the territory and how cultural skills could help in setting-up a civic consciousness.

Abstract

By now, the territory has become a “dense” word, full of meanings, projects, expectations, not only for the town planners, which still frequent it, but also for economists and for cultural professionals. The territory is a mass of physical places, of communities that inhabit it and go through it, of forces and powerful potentialities, of tangible and intangible assets and economic and human resources.

The editorial underlines the relevance of educational resources in the safeguarding the territory and how cultural skills could help in setting-up a civic consciousness.

Territorio è divenuto ormai una parola “densa”, densa di significati, di progetto, di aspettative, non solo per gli urbanisti, che da sempre lo frequentano, ma anche per gli economisti e per gli operatori della cultura. Territorio è un coacervo di luoghi fisici, di comunità che lo abitano e lo attraversano, di forze e potenzialità propulsive, di patrimoni materiali e intangibili, di risorse economiche e umane.
È un oggetto complesso e integrato, di cui è fondamentale conoscere e interpretare le relazioni che lo strutturano per poterlo “maneggiare”, per poter pensare a forme di valorizzazione e di governo.

A fronte di questa ricchezza, però, si palesa una grande debolezza: la povertà culturale; l’incapacità di valutare i danni e i problemi che modelli di valorizzazione che oggi appaiono vincenti comporteranno nel futuro fino a compromettere il valore delle risorse; la difficoltà a esplicare, sia da parte dei politici che dei progettisti dei vari settori, una sensibilità profonda nei confronti di questa ricchezza.
Nonostante ciò, qualcosa si muove. La significativa propulsione partita dal livello locale con diverse forme di governance sta sicuramente mettendo radici e producendo un incardinamento identitario della popolazione sui territori; identità aperta ai cambiamenti, alle rimodulazioni e all’arricchimento di linfe nuove e diverse di cui il territorio con continuità si nutre e si trasforma: identità quindi come concetto mobile e non come concetto regressivo.
Fare dell’identità, così concepita, la forza del locale che si coniuga con la globalizzazione ed essere capaci di mantenere la vitalità e l’apertura dei territori a fronte del rischio di omogeneizzazione e di appiattimento delle culture: questa è la sfida che ormai tutti noi disegniamo. Ma la vitalità dei territori locali si mantiene e si arricchisce anche attraverso i “prodotti” della globalizzazione, ad esempio quelli delle nuove tecnologie, e quindi la sfida consiste anche nella capacità di recepire i processi di internazionalizzazione in modo fertile piuttosto che creare barriere difensive rendendo, così, la cultura qualcosa di morto e annullandone il valore di processo e il connotato progressivo.
Progetti che continuamente si rinnovano acquisendo nuovi “materiali” dall’esterno, che manipolano la “conoscenza” producendo innovazione, reinterpretando l’identità con una profonda conoscenza della storia; progetti che assumono connotazione internazionali, che richiamano fruitori di tutto il mondo. In questo fiorire di idee, attività e processi, manca qualcosa a cui non si è ancora posto rimedio e di cui molto si sta parlando in questo periodo: una forte spinta verso lo sviluppo della coscienza civica.

In questo, la scuola può avere un’importanza rilevante; ma certamente la nostra scuola non lavora molto in questo senso: far crescere i ragazzi sul concetto di “bene comune” è comunque operazione non facile, soprattutto per come si sono messe le cose nella nostra società; eppure è una delle strade maestre per far sì che i territori, di cui siamo ricchi, ri-diventino parte di noi e della nostra storia e come tali vengano difesi e promossi.

In alcuni paesi europei, mi riferisco in particolare alla Francia, l’intervento nella scuola (sia nelle strutture fisiche che nell’organizzazione didattica) è uno dei punti principali da affrontare negli interventi di riqualificazione urbana e la “riuscita educativa” costituisce uno tra gli obiettivi centrale da raggiungere. L’intervento nelle scuole, che accompagna la realizzazione di questi programmi, diventa spesso il momento di costruzione dell’identità “mista” del quartiere, dell’ascolto dei bisogni, dello sviluppo della progettualità della comunità, della rivisitazione della storia urbana per una nuova costruzione condivisa. Non basta certamente una campagna di disegni in cui i ragazzi sono chiamati a raffigurare come vorrebbero cambiare il loro quartiere, operazioni molto frequenti nella scuola italiana. Serve molto di più; serve una crescita della coscienza civica che configuri il non gettare la carta per terra e il non scrivere sui muri come un atteggiamento naturale, che porti operatori e amministratori a salvaguardare il bene comune nei progetti di trasformazione del territorio anche per preservarne la potenzialità di sviluppo e l’immagine a livello internazionale.
In tal senso, il modo di agire dei soggetti diventa centrale: l’etica diventa parte integrante della cultura del territorio come sopra inteso; allora può avere un senso parlare di responsabilità sociale d’impresa nonché delle pubbliche amministrazioni, è solo allora che i bilanci sociali possono acquisire un valore prospettivo di governance, che non è certamente quello della pura e semplice rendicontazione, magari ritagliata ad hoc per evidenziare soltanto i connotati positivi del mandato.