Una catastrofe distruttiva e luttuosa e un incontro seminariale tra esperti di tutto il mondo che si confrontano sull’efficacia del design come strumento di crescita della comunità del territorio, due eventi assai distanti tra loro, eppure possibili occasioni di migliorare il nostro modo di stare al mondo e di progredire nella costruzione di civiltà. La prima, certo, mai auspicabile, ma di fatto accaduta, la seconda costruita con paziente lavoro tra ricercatori ansiosi di verificare ipotesi e approcci professionali, che allargano la propria sfera d’azione al disegno dei territori.
Sulla prima speriamo siano effettivamente realizzati i momenti di coinvolgimento e di confronto con le comunità locali di cui si parla nell’articolo, in quanto se la terra ha tremato e distrutto o reso inagibile una parte sostanziale di una città storica, sedimento di civiltà e centro pulsante di vita fino al 6 aprile di quest’anno, a noi tremano i polsi nel constatare come l’approccio all’emergenza seguito fino ad oggi, che ha allontanato i cittadini, vittime della catastrofe, dalla gestione operativa e logistica delle azioni intraprese a seguito del sisma. Il “lasciateci fare, ci pensiamo noi” di coloro che vengono da altrove, aiuta senz’altro a ridosso dell’emergenza, momento in cui i fattori emotivi e lo shock subìto rendono meno efficace l’intervento immediato, ma non possono costituire un approccio corretto al ri-disegno degli spazi vitali della comunità colpita dall’evento. Coniugare il “presto e bene” non è certo facile, ma anche in questo caso, un ampio e serrato confronto sulle variabili in gioco perché il “bene” sia correttamente inteso si rende necessario e urgente. Anche le aziende (organismi con i quali in questo periodo di tendono, erroneamente, a identificare le istituzioni e le amministrazioni pubbliche) a seguito di calamità o eventi imprevisti utilizzano analisi strategiche di ampio respiro nel momento in cui devono reinventarsi e riposizionarsi sul mercato e sarebbe ben triste e nefasto se la fretta e l’improvvisazione dovessero caratterizzare ai giorni nostri un ricostruzione di questo livello.
I designer nella loro Scuola estiva hanno ipotizzato percorsi che ci possono aiutare, tra l’altro, nel far rivivere la città, nella scoperta del cibo locale, nella mobilità collettiva sostenibile, nelle reti produttive localizzate a zero emissioni, nel rappresentare per comprendere, comprendere per intervenire e per la salute, tra individualità e collettività, tutti temi che sentiamo molto vicini e necessitanti di approcci innovativi e, soprattutto efficaci nel dare risposte percorribili, di lettura immediata e applicabili su larga scala.
Le Scuole di cui si dà conto in queste pagine illustrano quanto profonda sia la riflessione e quanto elaborate siano le metodologie disponibili per intervenire su temi così delicati: tutto sta a volerne tenere conto, in una contingenza di costume generalizzato in cui sembrano prevalere le scorciatoie, le “furbate”, la creatività istintiva, rispetto allo studio serio e alla dialettica democratica propriamente intesa (questi ultimi sicuramente più faticosi e impegnativi).
(Ri)disegnare e (Ri)progettare città e territori: tra le urgenze di una catastrofe e il diletto di una Scuola estiva internazionale
Una catastrofe distruttiva e luttuosa e un incontro seminariale tra esperti di tutto il mondo che si confrontano sull’efficacia del design come strumento di crescita della comunità del territorio, due eventi assai distanti tra loro, eppure possibili occasioni di migliorare il nostro modo di stare al mondo e di progredire nella costruzione di civiltà. La prima, certo, mai auspicabile, ma di fatto accaduta, la seconda costruita con paziente lavoro tra ricercatori ansiosi di verificare ipotesi e approcci professionali, che allargano la propria sfera d’azione al disegno dei territori.