Se ha funzionato nel Bronx…

Quello che serve complessivamente al nostro Paese è senz’altro l’individuazione delle priorità delle politiche culturali su scala nazionale e la loro indispensabile modulazione particolare su scala regionale e locale, mantenendo, però il minimo comun denominatore della “rinascita” identitaria, sociale e, quindi, anche economica, come nel Bronx. Il benessere in cui siamo (fortunatamente) avviluppati e dall’altra parte il degrado del livello medio del dibattito politico a cui siamo costretti ad assistere da troppi anni hanno provocato un mix micidiale di indifferenza, individualismo e scetticismo sul fatto che qualcosa possa cambiare, ma qualche piccolo segnale di speranza di rinnovamento c’è e le testimonianze proposte nei contributi di Paolo Bertani e Marco Serino aiutano ad alimentarla.

Nell’immaginario collettivo di noi piccoli europei, affascinati dalle leggende metropolitane e dagli stereotipi mutuati dalla produzione letteraria e cinematografica d’oltre Oceano, quello del Bronx è un mito negativo difficile da vedere in altra luce, ma, dalla testimonianza diretta di Paolo Bertani a proposito del Bronx Council on the Arts, pare proprio che attraverso le inesauribili energie di uno che ci credeva e un’adeguata scelta strategica, la cultura sia stato un efficacissimo strumento di rinascita identitaria, sociale e, quindi, anche economica.
Mentre noi mandiamo in crociera negli oceani su una lussuosa barca a vela famosi scrittori, musicisti di grido, cuochi di rinomata fama e intellettuali, perché in tali sofferenti circostanze possano meglio riflettere e illuminarci sulle future sorti e progressive della nostra malconcia realtà culturale, ci viene chiaramente dimostrato che la ricetta magica per risollevare il tutto consiste in ingredienti molto semplici, ma evidentemente difficili da trovare sul mercato nostrano: una comunità locale capace di rispondere positivamente e costruttivamente agli stimoli culturali, la capacità di ricorrere a fonti di finanziamento differenziate (e di disporre di risorse che permettono una pianificazione di lungo periodo), l’intelligenza di finalizzare le attività a target specifici, un sano partenariato tra soggetti pubblici e soggetti privati.
Dall’altra faccia dello specchio (e dell’Oceano) ci viene raccontato di come il teatro e le attività culturali a Scampia e in quel di Napoli abbiano recentemente contribuito alla costruzione di un laboratorio urbano, per offrire servizi essenziali alla vita civile dei cittadini che agognano una migliore qualità dello stare insieme e sarebbe interessante sapere da Marco Serino se dispone anche di misure e dati sull’effettivo successo di quanto realizzato, sicuramente rilevante sotto il profilo quantitativo e qualitativo.
Quello che serve complessivamente al nostro Paese è senz’altro l’individuazione delle priorità delle politiche culturali su scala nazionale e la loro indispensabile modulazione particolare su scala regionale e locale, mantenendo, però il minimo comun denominatore della “rinascita” identitaria, sociale e, quindi, anche economica, come nel Bronx. Il benessere in cui siamo (fortunatamente) avviluppati e dall’altra parte il degrado del livello medio del dibattito politico a cui siamo costretti ad assistere da troppi anni hanno provocato un mix micidiale di indifferenza, individualismo e scetticismo sul fatto che qualcosa possa cambiare, ma qualche piccolo segnale di speranza di rinnovamento c’è e le testimonianze proposte nei contributi di Paolo Bertani e Marco Serino aiutano ad alimentarla.
E’ così difficile raccogliere le briciole di amor proprio, che sembra riaccendersi nelle manifestazioni pubbliche solo quando vince la nazionale di calcio e farle coagulare intorno a un progetto culturale nazionale, in cui siano adeguatamente calibrati il rispetto per la tradizione, lo sguardo rivolto al futuro e l’attenzione alle sfide legate alla crisi economica e finanziaria, come anche alle inarrestabili modificazioni della compagine sociale, in cui gli immigrati hanno un ruolo sempre maggiore?
Se ce l’hanno fatta nel Bronx (ma sarà vero?…) non ce la possiamo fare anche noi, nelle nostre città e territori che, pur belli, sembrano essere senza cuore?
Sinceramente penso di si, ma come in tutte le sfide impegnative si dovrà faticare e lottare insieme, con convinzione, solidarietà e visione prospettica, per il bene di noi tutti e delle generazioni future.