Sono in molti a sostenere che l’Italia sia terra di paradossi, di grandi contraddizioni, di strane anomalie, che non di rado si traducono in un ritardo competitivo che ci spinge a rivolgere lo sguardo altrove nella speranza di trovare all’estero ciò che in patria ci viene negato. Leggendo l’ultimo saggio di Pippo Ciorra, ordinario di Composizione presso l’Università di Camerino e curatore per l’architettura al MAXXI di Roma, la sensazione che si avverte fin dalle prime pagine è che anche l’architettura contemporanea nostrana sia un settore in crisi, incapace di reggere il confronto con quanto si registra a livello internazionale.
Attraverso una rapida indagine su quelli che l’autore considera gli aspetti maggiormente problematici dell’architettura italiana, il volume mette in evidenza come la principale conseguenza di questa situazione di stallo, sia il profondo degrado che minaccia la qualità del nostro paesaggio e delle nostre città. Un paese senza architettura è un paese che rinuncia a scommettere sulla bellezza e sulle possibilità offerte dal territorio, quale risorsa in grado di stimolare una crescita economica e sociale.
Ma quali sono i fattori che hanno portato un paese tanto osannato in passato per i suoi architetti e per le sue idee innovative – esportate e applicate in tutto il mondo – ad occupare oggi gli ultimi posti di un’ideale classifica dei luoghi che sanno valorizzare e promuovere l’architettura del proprio tempo? Ciorra non ha dubbi sull’ascrivere tale declino alla mancanza di un sistema capace di puntare sulle nuove generazioni di architetti e di garantire una giusta regolamentazione della professione di architetto. Sorprende constatare come uno degli ostacoli più difficili da superare per coloro che si affacciano per la prima volta al mondo del lavoro sia rappresentato dal numero esorbitante di architetti presenti nel nostro paese. Secondo i dati riportati nell’ultima ricerca organica sulla professione condotta dal CRESME – il Centro Ricerche Economiche e Sociali di Mercato per l’Edilizia e il Territorio – nel 2005 erano presenti in Italia 123mila architetti iscritti all’ordine, a fronte dei 30mila iscritti in Spagna, dei 27mila in Francia, dei 32mila in Inghilterra. Ciorra si definisce preoccupato “nel constatare quanti talenti e bravi architetti bruciamo ogni anno condannandoli a un sotto-utilizzo negli uffici tecnici – e non è l’esito peggiore – o negli studi di geometri e ingegneri, costringendoli ad abbassare lentamente e inesorabilmente le speranze di una accettabile realizzazione professionale”. Aumenta in maniera esponenziale il numero di neolaureati che decide di trasferirsi all’estero – attratti dal prestigio degli studi di architettura internazionali e da compensi adeguati alla propria preparazione professionale – e sono sempre meno coloro che desiderano tornare in Italia – stanchi di dover combattere contro un sistema del lavoro che li costringe a restare ai margini della scala sociale.
La soluzione per il ritorno dell’architettura in Italia non passa attraverso la commissione di progetti faraonici alle “archi-star” contemporanee, in quanto volendo reiterare a tutti i costi e in qualsiasi tipo di contesto il miracolo accaduto a Bilbao con la costruzione del museo Guggenheim, si finisce per tagliare fuori dal mercato locale le generazioni più giovani “che hanno come unica merce di scambio la qualità e l’originalità delle proposte, e che escono oppresse da un inevitabile senso di frustrazione e dalla sensazione di avere poche possibilità di sopravvivere e nessuna di crescere”.
Per uscire da questa impasse “servono una ripresa economica un po’ più solida di quelle annunciate e una qualche distribuzione del potere culturale e accademico, unite a un po’ più di coraggio e sensibilità da parte delle istituzioni e dei committenti nazionali piccoli e grandi”.
Senza architettura
Le ragioni di una crisi
Pippo Ciorra
Laterza, 2011
Euro 12,00