Le forme di sostegno messe in atto da soggetti privati a favore di organizzazioni attive nel campo del sociale, hanno assunto in tempi relativamente recenti caratteristiche diverse rispetto al passato. Quale conseguenza del progressivo abbandono dei tradizionali modelli di produzione e consumo, la possibilità di affiancare alla nozione di capitalismo termini come benessere e coesione sociale è divenuta reale, dando vita al fenomeno del capitalismo sociale, ossia un capitalismo che considera prioritari gli investimenti volti ad apportare un miglioramento delle condizioni di vita di tutta la comunità.
L’analisi delle principali caratteristiche delle attuali e innovative modalità attraverso cui si manifesta l’intervento dei privati nei settori sociali è il filo conduttore del volume scritto da Francesco Perrini e Clodia Vurro, rispettivamente direttore e ricercatore senior presso il Centro Ricerche su Sostenibilità e Valore (CReSV) dell’Università Bocconi di Milano.
Il principale cambiamento sul quale si soffermano i due autori è l’evoluzione subita dal concetto di filantropia, con le conseguenze che questo comporta sia dal punto di vista di chi investe sia dal punto di vista di chi riceve il finanziamento. Da una filantropia classica, fatta di elargizioni sporadiche di denaro a titolo gratuito, in cui era predominante un bisogno ed un soddisfacimento di tipo individuale, si è passati ad una filantropia attiva, il cui elemento distintivo è rappresentato da interventi continuativi di lungo periodo, che creano un elevato grado di coinvolgimento del finanziatore nei progetti che decide di sostenere, apportando non solo denaro ma anche altri tipi di risorse, quali consulenze per la redazione di business plan o per l’elaborazione di strategie di marketing e fundraising, e canali privilegiati di accesso a reti di investitori, potenzialmente interessati a sostenere una stessa causa.
Come messo in evidenza da Perrini e Vurro, sebbene le origini di questo fenomeno siano rintracciabili già alla fine degli anni ’60 negli Stati Uniti, è nel corso degli anni ’90 che la trasposizione di logiche e processi propri del mondo profit a realtà attive nel Terzo Settore acquisisce una fisionomia ben definitiva, riassumibile nell’espressione “social venture capital”, che include “esperienze d’investimento a favore dell’innovazione sociale che spaziano dai fondi promossi da operatori del private equity e del venture capital sino ai cambiamenti strategici di fondazioni e altri enti non profit”.
Tra i numerosi casi di venture capital sociale, il volume cita, ad esempio, la Fondazione “Creative Capital: Sustaining the Arts”, che nata a New York nel 1999 favorisce la crescita professionale di molti artisti, mettendo a disposizione degli stessi risorse finanziare destinate a sviluppare un progetto artistico nella sua interezza, dalla fase di ideazione fino alla sua effettiva realizzazione. Avvalendosi di una strategia di investimento completa – capace di tenere nella giusta considerazione sia le valutazioni iniziali sulle potenzialità di crescita di un progetto, sia le eventuali modalità d’uscita dallo stesso progetto, nel momento in cui si raggiunge una piena autonomia finanziaria -, “Creative Capital: Sustaining the Arts”, in più di dieci anni di attività, ha investito oltre 14 milioni di dollari in 324 iniziative culturali, che hanno coinvolto 411 artisti.
E proprio le fondazioni risultano essere il vero protagonista dei cambiamenti in atto nel campo del filantrocapitalismo, termine coniato dal giornalista Matthew Bishop, in virtù delle loro caratteristiche organizzative e del loro assetto societario. Il volume oltre a fornire un’approfondita descrizione del ruolo svolto dalle fondazioni nello sviluppo dell’iniziativa sociale, si propone anche come una guida, pratica e accurata, per la redazione del piano strategico e del social business plan da parte di nuove imprese, intenzionate a sviluppare un’idea sociale su base imprenditoriale. Una delle accuse sovente mossa al Terzo Settore è, infatti, quella di essere costituito da una miriade di piccoli e medi enti inadeguati a realizzare un approccio attivo di imprenditoria sociale, a causa della mancanza di valide modalità gestionali. Perrini e Vurro mostrano come l’adozione di pratiche di social venture capital e venture philanthropy, possa contribuire a far acquisire alle organizzazioni attive nel sociale una maggiore consapevolezza delle logiche che muovono il mondo delle società profit, e possa offrire al Terzo Settore gli strumenti e le competenze per dialogare alla pari con i finanziatori privati.
Social Venture Capital & Venture Philanthropy
Modelli e processi d’investimento nell’innovazione sociale
Francesco Perrini, Clodia Vurro
Egea, 2010
Euro 28,00