Leveraging large-scale events to enhance urban identity – Strategie per la promozione dell’identità urbana e grandi eventi

Absract

Globalization and the resulting compression of space and time have fundamentally altered the competitive landscape for places. As a consequence, place promotion has emerged as a critical strategy for attracting people, investment, and economic development. Institutions and urban managers are increasingly focused on building strong place brands to differentiate their territories in a globalized world.

Abstract Ita

Oggi come mai prima d’ora la promozione del territorio è diventato un argomento centrale nelle agende di istituzioni e urban manager. La globalizzazione e la conseguente compressione spazio-temporale hanno cambiato le regole alla base della competizione economica e hanno contribuito alla creazione di una nuova gerarchia sociale dei luoghi. L’interesse crescente mostrato nei confronti dei processi di costruzione dell’immagine, sia quando si parla di città sia quando più genericamente parliamo di territori, deriva dal bisogno di attrarre flussi, di persone e risorse, utili alla promozione dello sviluppo locale.

Oggi come mai prima d’ora la promozione del territorio è diventato un argomento centrale nelle agende di istituzioni e urban manager. La globalizzazione e la conseguente compressione spazio-temporale hanno cambiato le regole alla base della competizione economica e hanno contribuito alla creazione di una nuova gerarchia sociale dei luoghi. L’interesse crescente mostrato nei confronti dei processi di costruzione dell’immagine, sia quando si parla di città sia quando più genericamente parliamo di territori, deriva dal bisogno di attrarre flussi, di persone e risorse, utili alla promozione dello sviluppo locale.

Premessa

Con sempre maggior frequenza l’elemento chiave alla base della costruzione di un’immagine di successo pare essere la presenza di stimoli culturali. L’enfasi sulla dimensione culturale della rigenerazione del territorio dipende il larga misura dai correnti dibattiti sulla relazione tra cultura, creatività e città: il successo della rigenerazione urbana è intrinsecamente legato alla capacità delle città di promuovere la creatività e attrarre professionisti di talento facendo perno, tra le altre cose, anche sulle risorse culturali che la contraddistinguono.

L’articolo si concentra sulle politiche a supporto della rigenerazione urbana e sui processi di costruzione e promozione dell’immagine di alcune aree metropolitane italiane. Sebbene tale definizione includa una larga gamma di interventi, dalla pianificazione fisico-territoriale all’organizzazione di eventi, il lavoro si concentra in particolare sulla capacità dei grandi eventi di essere strumento strategico per la costruzione e la promozione dell’identità di un territorio.
In Italia, le città di Genova e Torino, rispettivamente Città Europea della Cultura nel 2004 e sede delle Olimpiadi Invernali nel 2006, sono al momento i più interessanti esempi della rigenerazione culturale che passa attraverso i grandi eventi.

Lo studio condotto in questo articolo, attraverso l’analisi dei due eventi sopra citati, mira ad evidenziare le relazioni che legano risorse culturali, intento strategico della politiche nella ridefinizione dell’immagine della città, iniziative pratiche, come festival, concerti, mostre etc., e crescita socio-economica del territorio.

1. Nuove forme, nuove dimensioni, nuove categorie e nuovi approcci

Lo studio delle trasformazioni urbane non è un oggetto nuovo per la sociologia. Le indagini classiche tendono però a fare della città il “palcoscenico” del mutamento sociale ovvero studiano l’oggetto città in qualità di luogo in cui i fenomeni sociali, e in particolare i movimenti innovatori, prendono forma e si manifestano. Oggi la città resta uno dei temi cari alla sociologia ma il modo in cui la si studia è profondamente cambiato e le indagini più recenti guardano alla città come soggetto o, per meglio dire, attore sociale (Mela, 1996).
Negli ultimi anni in Europa è, infatti, cresciuta la consapevolezza dell’importanza del ruolo giocato dalle città nel guidare l’innovazione e la crescita economica locale e similmente è andato aumentando il bisogno di sviluppare strategie di rinnovamento urbano. Numerosi sono, ad esempio, gli sforzi compiuti al fine di creare spazi urbani esteticamente attraenti e con una migliore qualità della vita allo scopo di attrarre turisti, investimenti, lavoratori e aziende.
Accanto all’interesse per le aree edificate e le infrastrutture materiali, è andata crescendo l’attenzione per gli aspetti immateriali come la progettazione, la costruzione e la promozione dell’immagine del territorio metropolitano e la messa a punto di una identità di brand che lo distingua indiscutibilmente dagli altri. In altri termini le città hanno iniziato a vedere se stesse come prodotti da vendersi nel sempre più concorrenziale mercato globale e hanno accettato l’idea che l’acquisizione di un’identità di marca non solo sia utile al territorio per far leva sull’incoming di nuovi o più ingenti flussi turistici ma rappresenti soprattutto un valore aggiunto per lo sviluppo economico complessivo dell’area.

Come già anticipato, l’articolo si propone di analizzare due città italiane che hanno fatto dell’organizzazione di grandi eventi uno strumento di auto ri-posizionamento nella rinnovata gerarchia sociale dei luoghi cui si faceva riferimento sopra. Genova e Torino sono state scelte come casi emblematici da inserire in questo studio per le seguenti ragioni:
– Entrambe le città, nei primi anni Novanta, hanno affrontato una dura crisi postindustriale che ha evidenziato la necessità di un ri-posizionamento strategico del loro territorio urbano;
– Lo sviluppo dell’economia locale è stato supportato, in entrambi i casi, dallo svolgersi di eventi che hanno guidato tanto il processo di posizionamento quanto quello di rilancio (Genova è stata insignita del titolo di Capitale Europea della Cultura1 nel 2004 e Torino, invece, è stata eletta capitale dei giochi olimpici invernali nel 2006);
– In entrambi i casi l’evento clou era uno dei tasselli di un’ampia strategia di rigenerazione urbana pensata per la città nel suo complesso ed iniziata ben prima che l’evento in sé avesse luogo.
Torino e Genova hanno considerato la riqualificazione del loro territorio non solo come meta finale ma principalmente come strumento utile al ri-posizionamento della loro effigie nell’immaginario sociale e, con l’obiettivo di migliorare la propria capacità attrattiva, hanno fatto della cultura, intesa come risorsa e non semplicemente come prodotto per il consumo, il proprio core business (Zukin, 1995:2).

2. Strategie urbane e politiche di marca: la cultura come business della città

La globalizzazione e la compressione spazio-temporale hanno cambiato le regole alla base della competizione economica e hanno contribuito alla definizione di una nuova gerarchia sociale dei luoghi. La crescente consapevolezza dell’importanza occupata dalle strategie di brand nell’economia urbana è legata all’avvento di una nuova fase economica, caratterizzata da processi di innovazione permanente che richiedono più alti livelli di formazione, esigono competenze flessibili e presuppongono un massiccio ricorso al «capitale immateriale» (Florida, 2002).
A differenza di quanto era accaduto nel primo periodo della rivoluzione industriale, in cui la crescita economica poggiava sull’accumulazione di «capitale materiale» come le macchine, nell’economia della conoscenza la competizione economica non dipende più massivamente dalla conquista di risorse materiali. Gli oggetti per i quali le città, o più in generale i territori, entrano in competizione hanno a che vedere con il bisogno che le città hanno di attrarre investimenti e venture capital di livello internazionale, di fidelizzare le aziende del territorio affinché non se ne vadano altrove, di intercettare personale altamente qualificato, nuove classi di cittadini, turisti e visitatori e di promuovere beni e servizi prodotti localmente.
In altre parole la competizione tra territori si basa sulla messa in campo di asset intangibili come la capacità di attirare e trattenere professionisti talentuosi e creativi, di mettere a disposizione luoghi di interazione che favoriscano il confronto e l’innovazione, di promuovere una percezione positiva della città a livello locale, nazionale e internazionale, di procurare attrezzature e servizi e di catturare l’attenzione di futuri visitatori.
L’economia della conoscenza, sostituendo l’economia fordista che dominava il panorama cittadino fino all’inizio degli anni Settanta, porta alla ribalta l’idea di «una nuova città scintillante e desiderosa di piacere [che] sorge dentro e al posto di quella moderno-industriale dominata dalla fabbrica e dalla sua razionalità pervasiva» (Amendola 2003: IX).
Le città contemporanee, riprendendo un concetto caro al sociologo inglese John Urry, diventano oggetto di «consumo visuale» (Urry 1995), ovvero di fruizione estetica, e i valori positivi che l’immagine della città porta con sé fanno della città stessa un marchio per i prodotti e le attività che hanno luogo sul suo territorio. In tale contesto progettare trasformazioni dello spazio urbano significa investire nella produzione di luoghi che si prestano al consumo visuale ovvero incentivare la fruizione estetica della città.

3. La riqualificazione post-industriale in Italia: Genova e Torino

Negli anni dello sviluppo della grande industria Genova e Torino erano due delle città che, unitamente a Milano, andavano a formare i vertici del Triangolo Industriale. L’area da esse circoscritta corrispondeva alla più produttiva regione italiana a vocazione manifatturiera e, almeno fino al declino economico degli anni Ottanta, le tre città sopra menzionate, capitali economico-commerciali della regione, erano simbolo di ricchezza e sviluppo.
Per affrontare la regressione economica e le conseguenze sociali che ne derivarono (disoccupazione, incremento della criminalità, caduta della qualità della vita, degrado ambientale etc.), le amministrazioni cittadine, tanto a Genova quanto a Torino, decisero di fondare le proprie strategie di crescita sulla valorizzazione del patrimonio e delle attività culturali attraverso un piano di rigenerazione urbana spesso formulato in termini economici ma mai come prima basato sull’investimento nella cultura.
Ma che cosa è una politica culturale? Quando un progetto di rigenerazione diviene politica culturale? La letteratura anglosassone relativa alla culture-led urban regeneration (Bianchini, Parkinson, 1993) è solita rispondere a queste domande distinguendo le politiche culturali impiegate a favore della rigenerazione economica in modelli orientati alla produzione o al consumo culturale. Da una parte gli investimenti a favore della produzione vanno a supportare le industrie culturali e le attività creative o, in altre parole, il mercato del lavoro creativo e delle professioni della cultura di quel territorio. Dall’altro lato la città stessa diventa bene di consumo e le pubbliche amministrazioni intervengono nella costruzione materiale e visibile del luogo attraverso, ad esempio, edifici, infrastrutture e servizi.
La bipartizione delle politiche culturali suggerita dagli studi anglosassoni pare però essere più un accorgimento didattico che uno strumento di interpretazione del reale. Considerata la numerosità degli interventi di brandizzazione del territorio realizzati a Genova e Torino con il contributo di architetti di fama internazionale cui venne affidata la progettazione di intere aree cittadine, si potrebbe erroneamente concludere che le azioni lì realizzate rispondano esclusivamente al modello orientato al consumo. Ma se da un lato l’architettura firmata contribuisce ad aumentare la visibilità della città come destinazione culturale e a far conoscere il potenziale di un’area a livello locale, nazionale e internazionale, la firma di Renzo Piano, Norman Foster o Gae Aulenti, rivela l’esistenza di un milieu creativo nella città o, al limite, interessato alla città e si svela, dunque, anche nella veste di intervento orientato alla produzione culturale.
Vediamo nel dettaglio il funzionamento dei due modelli separatamente. Sul versante delle politiche culturali per il consumo, la crescente domanda di città di design o di quartieri intitolati al design, dimostra come tra le istituzioni sia cresciuta la fiducia negli interventi promozionali che si avvalgono di strumenti di valorizzazione estetica e come il successo della città contemporanea, riprendendo Vicari Haddock (2004), sia sempre più legato «all’estensione della gamma dei luoghi adatti allo sguardo e all’esplorazione visiva» (Vicari Haddock 2004: 172): la costruzione di edifici “firmati” agevola il collocamento dei luoghi nell’immaginario sociale, contribuisce al posizionamento strategico della destinazione e supportano la caratterizzazione della città come prodotto culturale. Non deve dunque sorprendere che, proprio nell’era dell’architettura firmata (Amendola, 1998), tanto Genova2 quanto Torino3 abbaiano affidato parte consistente degli interventi di riqualificazione di alcune aree cittadine ad architetti di fama internazionale.
Ma se da un lato tali interventi volti alla manipolazione dell’ambiente visibile sembrano rispondere alla necessità di fare della città un oggetto di consumo, tali politiche impattano anche sulla produzione culturale urbana. Più in generale attraverso tali interventi, le autorità cittadine cercano di sviluppare un’immagine culturalmente vibrante della città stessa e di accrescerne la reputazione di luogo dinamico, con un alta qualità della vita, ottimo per vivere e lavorare e prossimo al gusto della classe creativa e dei professionisti dell’industria della conoscenza:

«culture as a “way of life” is incorporated into “cultural products”, i.e. ecological, historical, or architectural materials that can be displayed, interpreted, reproduced, and sold in a putatively universal repertoire of visual consumption» (Zukin, 1996: 227).

4. Il ruolo dei grandi eventi nella costruzione dell’identità urbana

Ospitare un evento sportivo o culturale, così come hanno fatto le città di Torino e Genova rispettivamente con i Giochi Olimpici invernali e l’Anno Europeo della Cultura, è una strategia complementare o alternativa per la conquista di un posizione competitiva nel panorama globale (Bianchini, Parkinson, 1993; Garcia, 2004).
Molte delle aree che in tempi recenti hanno mostrato i più significativi tassi di crescita sono state, infatti, precedenti location di grandi eventi: la città scozzese di Glasgow, ad esempio, oggi riconosciuta come meta culturale, deve la rinnovata reputazione al titolo di Capitale Europea della Cultura e al ricco calendario di manifestazioni culturali che ne conseguì e che diede alla città l’opportunità di mostrare il suo patrimonio culturale ma anche di rivelare le sue abilità di event manager.
Tutti i grandi eventi, indipendentemente dai differenti contesti in cui hanno luogo, dalle risorse naturali e culturali ivi disponibili e indipendentemente anche dall’evento in sé, catturano l’attenzione di milioni di persone in tutto il mondo. Come sostengono Landry e Bianchini, l’urbano diviene uno “spettacolo” (Landry, Bianchini, 1995) e la città si trasforma nell’oggetto di un continuo processo di “costruzione sociale” (Berger, Luckmann, 1969) che ne disegna l’immagine e la reputazione. Abitanti, city users, istituzioni, guide turistiche e media sono solo alcuni dei soggetti che, attraverso le proprie narrazione e le proprie azioni, contribuiscono a creare l’immagine percepita della città stessa.
Il processo, come chiaramente illustrato da Hall (Hall, 1997; Du Gay, Hall et al, 1997)4 , non è né lineare né consequenziale (vedi figura 1) ma dipende dal mondo in cui l’immagine interna (ovvero quella prodotta principalmente dagli abitanti e dall’amministrazione cittadina) e l’immagine esterna (vale a dire quella creata da persone e organizzazioni che non partecipano della vita quotidiana della città) si mescolano. Il modo in cui il territorio urbano è rappresentato e comunicato influisce sulla sua identità e, inoltre, sul suo consumo e la sua regolamentazione.

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Figura 1. Il «circuito della cultura» di Hall

Lo studio degli esiti metropolitani del processo circolare che lega produzione e consumo incontra l’interesse dei sociologi italiani verso la fine degli anni Novanta. Le indagini realizzate dal gruppo di sociologi della cultura che aderisce a Modacult5 e svolte in alcuni quartieri “creativi” della città di Milano (Bovone 2005; Bovone, Mazzette, Rovati 2005; Bovone, Magatti, Mora, Rovati 2002) rileva l’esistenza di una sinergia tra produzione e consumo.

«La città che consuma, erede postmoderna della moderna città produttiva, ci appare in realtà ancora molto produttiva. Possiamo affermare che in certi casi e in certi territori si verifica un’alleanza consapevole e dichiarata tra chi produce e chi consuma, un’alleanza che sembra non solo andare al di là di quello che potrebbe essere l’usuale conflitto di interesse tra chi vende e chi compra, ma sembra addirittura polarizzarsi intorno a un comune fine culturale» (Bovone, Mazzette, Rovati, 2005: 12).

Invece, la letteratura che si occupa degli effetti metropolitani prodotti dai grandi eventi, oltre a sottolineare la loro forza comunicativa nella costruzione della reputazione della città e di un’identità partecipata, mette in evidenza il ruolo chiave che questi possono svolgere nello sviluppo economico locale. Tuttavia, la relazione tra eventi, trasformazioni urbane e crescita economica non è scontata: evidenze empiriche segnalano il rischio che l’evento possa produrre buoni risultati (riduzione del tasso di disoccupazione, creazione di nuovi posti di lavoro, crescita economica, calo della delinquenza etc.) solo nel breve periodo e generare costi sociali elevati nel lungo periodo (cancellazione dei posti di lavoro direttamente connessi all’organizzazione dell’evento, edifici inutilizzati, degrado delle aree di nuova costruzione etc) (Bobbio, Guala, 2002; Garcia 2005).
Nelle pagine seguenti, desidero sottolineare le condizioni che, se soddisfatte, possono fare di un evento culturale lo strumento principe per il rilancio dell’economia e della reputazione di una città o di un territorio. Dal punto di vista metodologico l’indagine qui prende in esame due casi di studio, Genova 2004 e I Giochi Olimpici di Torino 2006, attraverso l’analisi secondaria dei dati raccolti attraverso questionario dalle agenzie responsabili dell’organizzazione degli eventi sopra citati. Per GeNova04 sono stati usati sia i dati raccolti dall’istituto Demoskopea sull’apprezzamento della città e degli eventi realizzati sia i dati CONSAV (Società Consortile di IMPRESE Attive nei Servizi Avanzati e aderenti ad Assindustria) relativi agli effetti socio-economici prodotti dall’anno europeo della cultura. Nel caso di Torino, invece, sono stati impiegati i dati prodotti da OMERO (Olimpiadi e Mega Eventi Osservatorio di ricerca) e originariamente destinati al monitoraggio dell’impatto dei Giochi Olimpici.

5. GeNova04

Verso la fine degli anni Novanta la città di Genova, insieme alla francese Lille, si aggiudica il titolo di Capitale Europea della Cultura per l’anno 2004. L’amministrazione cittadina coglie sin da subito l’opportunità di sviluppo che l’evento offre e negli anni che precedono l’anno europeo della cultura indirizza i propri sforzi nella trasformazione, fisica ma non solo, del territorio urbano.
Il caso di Genova è utile perché permette di capire come gli interventi concreti di riqualificazione urbana possano tradurre la circolarità produzione-consumo. In primo luogo perché, come detto prima, la trasformazione dell’ambiente fisico (restauro di antichi edifici, costruzione di musei, parchi e strade) è collegata alle politiche di costruzione e promozione dell’immagine immateriale della città, ma anche perché GeNova04 mostra la competenza operativa della città nell’organizzazione di eventi (Grossi, 2004) e ne mette in luce il capitale intellettuale e culturale.
Rispetto alle trasformazioni materiali i dati CONSAV del 2004 rilevano rispetto al 2003 un potenziamento delle infrastrutture e degli impianti, un consistente aumento dei visitatori alle iniziative aperte al pubblico (+ 85%) e un aumento di arrivi (+ 17 %) e pernottamenti (+11%).
Tali dati permettono di valutare la capacità dell’evento di impattare sulla trasformazione fisica del territorio e, dunque, ne confermano il ruolo di strumento di rigenerazione sul piano delle infrastrutture ma non permettono alcuna valutazione rispetto alla capacità dell’evento di incidere in maniera positiva sulla reputazione della città ovvero sul processo di costruzione dell’immagine percepita. A questo risponde, invece l’indagine di Demoskopea (Codice 2006) i cui dati mostrano il consolidarsi dell’immagine di Genova come città di cultura (mentre nel settembre 2004 solo il 18% degli italiani erano a conoscenza del titolo di capitale della cultura assegnato al capoluogo ligure, nell’aprile del 2004 la percentuale era già salita al 43%)6.
I dati qui riportati confermano il ruolo strategico dell’evento e il suo significativo contributo al ri-posizionamento della città sia in termini di reputazione, sia in termini di promozione della destinazione a livello internazionale sia, infine, sul lato delle trasformazioni fisiche volte al rinnovo di ampie zone del centro storico cittadino.

6. Torino Olimpica

La città di Torino, che nel 2006 ha ospitato i Giochi olimpici invernali, può essere considerata un altro grande esempio italiano di riqualificazione culturale del territorio urbano. Il caso di Torino olimpica presenta alcune somiglianze rispetto a quello di Genova descritto poco sopra: come già Genova, anche Torino sfrutta l’occasione delle Olimpiadi Invernali come cassa di risonanza per la promozione nazionale e internazionale della sua reputazione e imposta la propria strategia di branding facendo largo impiego dell’architettura firmata sia per la costruzione degli edifici simbolo dei Giochi Olimpici sia per la realizzazione di più generici interventi di rigenerazione post-industriale del territorio (Martina, 2006).
Non mancano tuttavia le differenze: diverse sono, infatti, la natura e la durata dell’evento. GeNova04 è stato un festival di eventi culturali lungo un intero anno, mentre Torino 2006 nasce come evento sportivo della durata di un mese cui, in un secondo momento, a corollario dell’iniziativa principale, si è sommato un ricco calendario annuale di eventi culturali. Sebbene gli eventi collaterali organizzati durante i Giochi Olimpici non siano mai stati considerati dal comitato organizzativo estranei alla programmazione in sé (Martina, 2006), il calendario di appuntamenti così strutturato chiarisce gli ambiti entro cui agiscono o possono agire le politiche culturali andando così a rispondere alla domanda che ha guidato la trattazione: che cosa è una politica culturale?
Il temine indica un’insieme di strumenti nelle mani dei detentori del potere, volto a identificare, sviluppare, organizzare e sfruttare le risorse culturali di una città o di una regione. Tra queste include non solo le arti visive tradizionali, espressione della “cultura alta”, ma anche la musica, il fumetto, il cinema, la moda e lo sport ovvero il complesso mondo delle industrie culturali che abitano il territorio.
Una politica culturale prevede, inoltre, sia interventi a sostegno del consumo che della produzione culturale e incide su un processo potenzialmente infinito di negoziazione dei significati.
In questa ottica Torino Olimpica in sé può essere letta come il risultato di interventi di riqualificazione fisica del territorio (consumo) e di interventi a sostegno delle industrie culturali (produzione) con l’obiettivo di riformulare l’immagine industriale della città e proporre una nuova declinazione dell’identità del territorio. La sua formulazione non è però definitiva ma, ad evento concluso, diventa il punto di partenza per un successivo processo di definizione dell’identità della città che, abbandonati i giochi olimpici, diviene, grazie al calendario di eventi denominato Torino2006, diventa centro nevralgico della produzione e del consumo culturale italiano e luogo di effervescenza urbana.
I dati delle indagini OMERO, quattro sondaggi realizzati tra novembre 2002 e marzo 2006, confermano l’evoluzione positiva della reputazione di Torino come centro culturale e confermano il miglioramento della sua posizione nell’immaginario sociale delle città creative: ad evento iniziato, infatti, il 96% degli abitanti di Torino ritiene che la città sarà in grado di superare le sfide imposte dalla crisi post-industriale, l’80% della popolazione annovera tra gli esiti positivi dei Giochi Olimpici la crescita del turismo culturale, il 93% la visibilità internazionale e il 63% la costruzione di nuove infrastrutture.

Conclusioni
Dalla fine anni Settanta, gran parte delle città dell’Europa occidentale hanno dovuto affrontare un processo di rigenerazione urbana che, soprattutto dopo gli anni Ottanta, ha visto la crescente presenza delle industrie culturali. Se si pensa alle fortune del capoluogo ligure dopo essere stato Capitale Europea della Cultura o al ri-posizionamento di Torino dopo le Olimpiadi, è facile capire perché le amministrazioni cittadine siano affascinate dai progetti culturali, ma, come chiaramente espresso da Bobbio e Guala (Bobbio, Guala, 2002), un evento può diventare il volano per lo sviluppo locale solo a precise condizioni. I casi di studio presentati in questo documento sottolineano come l’evento in sé non sia sufficiente tanto che entrambi i casi di studio qui presentati erano parte di un ampio processo di gestione strategica della destinazione.
La domanda chiave cui il lavoro cerca di rispondere è la seguente: che cosa determina il successo o il fallimento di una strategia culturale di rigenerazione urbana?
L’esito dipende, come si è già sottolineato, dalla coerenza tra l’immagine interna e l’immagine esterna e dalla capacità del sistema di regia del territorio (pubbliche amministrazioni, agenzie per lo sviluppo etc.) di mantenere in vita un circolo virtuoso di relazioni tra i diversi attori che intervengono nel processo di costruzione della reputazione della città secondo lo schema sintetizzato nel modello del “circuito della cultura” (Hall, 1997).
Uno dei vantaggi di questo sistema è la possibilità di prendere in considerazione l’importanza dell’immagine percepita della città a livello locale, nazionale e internazionale e il contributo delle narrazioni interne ed esterne alla creazione di questa immagine. In breve questo modello mette in evidenza il processo di negoziazione di significato che coinvolge i potenziali consumatori di città, i cittadini, i city users, le amministrazioni e i portatori di interesse che si trovano sul territorio.
Anche se il modello olistico del circuito della cultura è stato raramente impiegato per l’analisi della produzione culturale pare utile un suo impiego nello studio dei processi di rigenerazione urbana che, per definizione, vedono il coinvolgimento di attori diversi a più livelli. Permette, infatti, di mettere in luce le relazioni tra tutti i soggetti che, più o meno concisamente, prendono parte al processo di costruzione della reputazione della città, di identificare chiaramente le risorse presenti sul territorio, di individuare le iniziative operative, festival, concerti, mostre realizzate e, infine, di valutare l’impatto socio-economico dell’evento.

Note:
1 Il titolo Capitale Europea della Cultura (conosciuto anche con la sigla ECC) viene annualmente conferito dall’Unione Europea ad una o più città dei Paesi Membri. Nel corso di un intero anno la città capitale ha il compito di presentare agli altri cittadini europei le sue particolarità culturali e, allo stesso tempo, di ospitare, all’interno del proprio calendario delle attività, manifestazioni e progetti, di altre culture europee.
2 Grazie al lavoro di Renzo Piano, ad esempio, la città di Genova è oggi nell’immaginario popolare il simbolo per eccellenza della architettura italiana moderna. La mostra dedicata al lavoro dell’architetto genovese organizzata nel 2004, proprio in occasione dell’anno europeo della cultura, testimonia l’importanza del ruolo simbolico rivestito dalla sua firma nella percezione del rinnovamento della città che ebbe inizio del 1992 in occasione delle celebrazioni colombiane (Colombiadi), quando Piano progettò il completo restyling del fronte mare del porto antico, e continuò fino a tempi più recenti con il design delle stazioni della metropolitana.
3 Da parte torinese, l’amministrazione locale ha affidato il piano esteriore della propria riqualificazione a diversi famosi architetti e ha concentrato gli interventi sulla realizzazione di infrastrutture sportive poco tempo prima dei Giochi Olimpici Invernali: il Palavela, dove furono ospitate le gare di pattinaggio sul ghiaccio e short track, porta le firme di Gae Aulenti e Arnaldo Bernardi mentre Isozaki, architetto di origine giapponese, ha firmato il Palasport Olimpico, un edificio futuristico ricoperto di acciaio inossidabile e volto a ospitare eventi culturali, mostre e manifestazioni a conclusione dei Giochi Olimpici.
4 Hall and Du Gay hanno sviluppato un modello, chiamato “circuito della cultura” che spiega come la cultura è trasformata da chiunque sia coinvolto nel processo di produzione o di ricezione della stessa. Tale modello si riferisce ad un processo in cui I significati culturali sono prodotti in cinque differenti momenti (rappresentazione, identità, produzione, consumo e regolazione) attraverso un processo continuo di negoziazione disseminazione dei significati. Tale processo può essere applicato ad ogni prodotto culturale e, di conseguenza, in accordo con le premesse qui esposte, anche alla città.
5 Centro per lo studio della Moda e della produzione culturale, centro di ricerca dell’UCSC di Milano internazionalmente riconosciuto per lo studio sociologico della moda e che ha maturato una lunga esperienza di ricerca nel campo della riqualificazione culturale urbana.
6 Nella stessa indagine si legge, inoltre, che il 32% dei visitatori ha dichiarato di aver scoperto una città “sorprendente”, diversa da quanto si aspettassero e che ha “abbandonato la sua immagine industriale a favore di un presente fatto di arte e cultura […]” (Cfr. GeNova04 sito web).

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