Vedere l’invisibile. La complessità dell’interpretare le città e i loro luoghi

La vita quotidiana di ciascun individuo all’interno delle città si sviluppa attraverso percorsi abitudinari che attraversano porzioni di spazio a cui vengono riconosciute specifiche identità e funzioni, trasformandole così in luoghi. Ma questa assegnazione non è sempre condivisa, e così allo stesso frammento di città possono essere attribuite identità e funzioni differenti da differenti individui. E per gli occhi di chi non riuscirà o non vorrà riconoscerle tale frammento resterà, almeno in parte, invisibile.

In tutte le città vi sono luoghi invisibili. Spesso l’idea di “invisibilità” richiama quella di “emarginazione”. Ma c’è anche un’altra invisibilità, al centro della quale si trovano quei processi ermeneutici attraverso cui gli individui assegnano e riconoscono significato ai luoghi, e che laddove non si sviluppano ne configurano al contrario proprio l’invisibilità. Un’invisibilità forse ancora più difficile da cogliere, ma che attraversa spesso le nostre stesse vite quotidiane.
Proprio la città è luogo per eccellenza di questa invisibilità, perché contesto in cui funzioni e significati dei luoghi possono facilmente mutare, incontrarsi, scontrarsi, sovrapporsi all’interno di confronti dialettici che si traducono in flussi di significato che coinvolgono gli attori sociali come i luoghi che questi vivono(1), con evidenti processi di significazione e ri-significazione. Analizzare tali processi ci permette quindi di approcciarci alla città con uno sguardo capace di svelare proprio quell’“invisibile” che si cela dietro l’immagine semplificante che vorrebbe per ogni luogo un solo significato, una sola identità.
Possiamo considerare il “luogo” una porzione di spazio sociale dotata di funzioni (e norme) che organizzano l’interazione al suo interno e di elementi simbolici che forniscono agli individui la chiave interpretativa per sintonizzarsi reciprocamente su tali norme. In questa accezione i luoghi possono quindi essere intesi come porzioni di spazio sociale caratterizzate da processi di significazione maggiormente visibili e a cui l’attore/la società è in grado di assegnare un’identità, procedimento che si rende visibile perlopiù attraverso la loro identificazione con un “nome”(2). In  questa prospettiva alla base dell’esistenza di un luogo vi è dunque un io/noi che assegna un’identità ad una porzione di spazio a partire dalla funzione (ciò che essa fa/permette di fare) che quella porzione di spazio svolge agli occhi di questo stesso io/noi; a questa assegnazione di funzione seguirà da un lato l’elaborazione di un quadro di norme per l’azione e l’interazione al suo interno e dall’altro lato la sua identificazione attraverso l’assegnazione di un nome che richiama la sua identità-funzione.
La collocazione, da parte degli individui e della società, dei luoghi all’interno di specifiche cornici, frame interpretativi(3), che permettano di ricondurne l’individualità ad un modello-tipo, più generale, rappresenta un processo fondamentale, in quanto i processi di significazione, proprio per la non-riflessività che caratterizza ampia parte del vivere quotidiano, sono proprio legati alla chiave (frame key) attraverso la quale viene selezionata la cornice, ovvero quegli indicatori cui viene assegnata maggiore rilevanza ed a partire dai quali quindi viene dedotta l’identità del luogo. Ma sebbene l’adozione un certo frame interpretativo, e quindi di una certa identità/funzione, sia sempre socialmente condivisa, è anche possibile che da parte di ciascun io/noi possa provenire una specifica assegnazione di identità (definizione) non necessariamente allineata con quelle altrui (sebbene le diverse voci possano emergere in momenti temporali differenziati e possano essere dotate di un diverso grado di potere). I processi di significazione infatti, saranno sempre necessariamente al centro di processi dialettici, parte di quel “flusso” culturale e di significati che attraversa i luoghi. Un allineamento perfetto di frames è tutt’altro che scontato e le diverse definizioni, tra loro collimanti, alternative (ovvero differenti ma non in conflitto tra loro) o oppositive (con l’una che intende esplicitamente negare l’altra), di cui sono fatti oggetto i luoghi, fanno allora emergere i luoghi invisibili, quelle porzioni di spazio sociale che sfuggiranno nel loro stesso esistere al nostro sguardo spesso distratto e semplificante.
La visibilità o invisibilità del luogo non dipende quindi mai soltanto dalle peculiarità espressive ed estetiche di tale luogo o dalle capacità interpretative dell’osservatore ma sempre invece dall’interazione dei due processi. È importante quindi riconoscere la potenziale mutabilità dei significati assegnati ai luoghi in diversi momenti del tempo, sia in una prospettiva che intenda il tempo in senso ciclico, sia in una che lo intenda invece in senso lineare: non solo il medesimo luogo può vedersi infatti riconosciuti significati, funzioni, identità differenti all’interno di una successione di fasi, ma parallelamente a questo stesso luogo possono venire attribuiti significati, funzioni ed identità alternanti all’interno di processi ciclici di ri-significazione, sviluppati tanto da parte di una medesima collettività quanto da parte di collettività differenti. Ecco che allora la stessa visibilità o invisibilità del luogo agli occhi dell’attore non sarà mai un risultato stabile nel tempo bensì sempre e soltanto il risultato di un processo continuamente aperto.
In entrambi i casi, sia quello di mutamento nel tempo lineare sia quello di mutamento ciclico, si possono però sviluppare processi di dissonanza tra i diversi significati/funzioni/identità. Nel primo caso una dissonanza tra il permanere del trascorso e l’emergere del nuovo, con spazi di sovrapposizione e di compresenza tra il mutare ed il permanere, tanto per quanto riguarda il luogo fisico quanto in riferimento al soggetto interpretante. Nel secondo caso una dissonanza tra le differenti attività sviluppate all’interno del medesimo spazio lungo i diversi momenti del ciclo temporale routinario. Se è vero cioè che “gli individui di una società ripartiscono culturalmente lo spazio in cui vivono determinando per ogni area definita una serie di comportamenti previsti e attesi”(4), la definizione di ciascuna porzione di spazio non solo non può essere assegnata in modo stabile ma al tempo stesso in molti casi si rivela anche circoscritta entro settori specifici propri dei cicli temporali della routine. Ecco che allora la significazione degli spazi può rivelarsi temporalmente mutevole tanto in senso ciclico quanto in senso lineare. Ecco che allora la visibilità e l’invisibilità possono emergere in alternanza secondo oscillazioni più o meno ampie. E in situazioni in cui possono essere presenti indicatori sedimentati nel tempo e riferentisi ad una vera e propria sequenza di identità-funzioni diverse e in un contesto in cui questa identità dipende essenzialmente dalle attività, dalle pratiche, sviluppate nel luogo considerato, ecco che allora la mancata possibilità di osservare in modo diretto tali pratiche rischierà di portare all’invisibilità, almeno parziale, di questo stesso luogo in quanto impedirà il corretto riconoscimento delle funzioni da esso svolte, ovvero della sua identità. E quanto più l’identità precedente era netta e facilmente percepibile, quanto più essa ha lasciato tracce, e quanto più la nuova identità fatica a rendersi visibile, tanto più tale rischio di invisibilità sarà forte. Ecco che allora individui o collettività differenti, portatori di competenze e sensibilità culturali diversificate, possono esprimere da questo punto di vista capacità interpretative eterogenee, e quindi sviluppare tendenzialmente differenti processi di significazione.
Naturalmente si tratta di processi sui quali incidono, e non poco, anche i rapporti di potere. Se da un lato di fronte al luogo ri-significato vi può essere infatti la difficoltà ad identificarne la nuova identità, dall’altro lato vi può anche essere il rifiuto di riconoscere tale nuova identità da parte di chi aveva definito quella precedente, in qualche modo interpretabile come primaria, originaria. Un rifiuto che può portare ad un “ignorare pacifico” ma anche ad un “opporsi conflittuale”. Il luogo diventa così “invisibile” sia nel caso in cui tra il segnale-indicatore e la chiave di decodifica non vi sia corrispondenza, sia quando la nuova identità non viene riconosciuta come legittima da parte di chi intende mantenere l’identità precedente. In entrambi i casi (disallineamento dei frame e rifiuto esplicito del nuovo frame) ciò che emerge in modo particolarmente esplicito è così quella dissonanza in realtà sempre latente tra il “vecchio” e il “nuovo”, ma anche tra le diverse funzioni-identità compresenti. La trasformazione dello spazio in luogo, o la ri-significazione di un medesimo luogo attraverso funzioni-identità differenti, vedrà quindi in realtà non solo due ma sempre almeno tre attori coinvolti: chi aveva definito l’identità originaria, chi propone la nuova identità, ma anche chi, meno direttamente inserito in tali processi, ne diventa tuttavia protagonista perché chiamato a riconoscere l’una o l’altra, e magari invece ne coglie la compatibilità reciproca. Per questo la trasformazione estetica e strutturale dei luoghi possiede pari rilevanza rispetto alla loro trasformazione funzionale, rappresentando il fattore forse principale attraverso il quale proprio l’osservatore esterno può percepire il mutamento. Le diverse funzioni (due o molteplici), le diverse identità, permangono come stratificate nelle tracce, anzitutto visibili ma anche di semplice memoria, che attraversano i luoghi.
Ecco perché la visibilità o l’invisibilità non possono rappresentare risultati stabili: in ogni momento l’una o l’altra traccia possono emergere, a seconda degli indicatori di frame messi in campo e a seconda dello sguardo dell’osservatore. Sia che le tracce si siano sedimentate in modo progressivo lungo il tempo, sia che esse si rinnovino costantemente nell’oscillante ri-funzionalizzazione del luogo. E quanto meno gli indicatori di frame, che segnalano la chiave di lettura da adottare, saranno evidenti, tanto più difficilmente l’occhio distratto coglierà la trasformazione funzionale ed identitaria dei luoghi(5).

Note
(1) Hannerz U.(1998), La complessità culturale. L’organizzazione sociale del significato, Il Mulino, Bologna.
(2) Agustoni A.(2000), Sociologia dei luoghi ed esperienza urbana, Franco Angeli, Milano, p. 19.
(3) Bateson G.(1983), Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano; Goffman E.(2001), Frame analysis. L’organizzazione dell’esperienza, Armando, Roma.
(4) Fabietti U.; Remotti F.(2009), Dizionario di antropologia, Zanichelli, Bologna, pp. 192, 743.
(5) Un’analisi più diffusa di questi temi è sviluppata in Becchis G., Genova C., Cornici come lenti. Lo spazio cittadino tra processi e dialettiche di ri-significazione dei luoghi, in Proglio G. (a c. di)(2010), Le città (in)visibili, Antares, Castagnito, pp. 132-156.

Riferimenti bibliografici

Agustoni A.(2000), Sociologia dei luoghi ed esperienza urbana, Franco Angeli, Milano.
Bateson G.(1983), Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano .
Becchis G., Genova C.(2010), Cornici come lenti. Lo spazio cittadino tra processi e dialettiche di ri-significazione dei luoghi, in Proglio G. (a c. di), Le città (in)visibili, Antares, Castagnito, pp. 132-156.
Fabietti U., Remotti F.(2009), Dizionario di antropologia, Zanichelli, Bologna.
Goffman E.(2001), Frame analysis. L’organizzazione dell’esperienza, Armando, Roma.
Hannerz U.(1998), La complessità culturale. L’organizzazione sociale del significato, Il Mulino, Bologna.